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Contro la favola della «transizione energetica non governata» e i suoi cantori

Lo story telling degli pseudo ambientalisti

Se arrivasse ora un alieno da una galassia lontana, cercando di ambientarsi nel dibattito pubblico sardo, si farebbe certamente questa domanda: cosa sta avvenendo in Sardegna a proposito della «transizione energetica»?

Metto le virgolette, perché un alieno, anche se appunto alieno, se è riuscito ad arrivare fin qui non è scemo e capirebbe di essere di fronte a quella che in filosofia si chiama “lotta per le definizioni”.

E quando è in corso una lotta per le definizioni, cioè quando si è nel mezzo di un conflitto per far prevalere una visione piuttosto che un’altra (possiamo tranquillamente anche parlare, usando Gramsci, di lotta per una visione integrale di un certo problema, quindi di «egemonia»), non c’è strategia migliore di far passare un messaggio subdolamente, utilizzando la tecnica logica di una «premessa maggiore» che si da per scontata e da cui ogni altro ragionamento e conclusione discendono. 

Bene, un chiarissimo esempio del modo in cui si vuole drogare il dibattito e quindi ingabbiare la discussione per arrivare a concludere, fondamentalmente, che dobbiamo accettare la realtà della trasformazione delle nostre terre e dei nostri mari in immensi impianti industriali che sfuggono completamente al nostro controllo, in nome di un interesse superiore, ce lo fornisce il giornalista ambientale Lorenzo Tecleme quando scrive che «ciò su cui tutti gli attori politici in campo sembrano concordare è che quello in corso in Sardegna sia un caso da manuale di transizione non governata».

Sulla base di questa premessa poi il peraltro informato e appassionato Tecleme, arriva a concludere che la «transizione ecologica» è fondamentalmente invisa ad un’area politica e sociale amplissima e trasversale.

La «moratoria» della giunta Todde (che non è una moratoria e su questo aspetto rimando ad un altro mio articolo: «ha fatto da punto di caduta di un’area ampissima e variegata che va dalla stampa di destra (l’Unione Sarda, principale quotidiano conservatore dell’isola, è impegnata in una dura campagna contro le rinnovabili), a parte dell’ecologismo, ai sindaci, alla politica tutta, compresi gli esponenti locali di Europa Verde».

Certo, il companatico retorico è sempre quello che «l’energia debba essere pulita, pubblica, sarda», ma il punto è che la presunta transizione, cioè quella che realmente sta sbarcando in Sardegna, non so se sia pulita, sicuramente non è pubblica, non è sarda e peggio non è democratica e non è commisurata in alcun modo alle nostre esigenze, ai nostri territori, alle nostre condizioni.

Allora che si fa? La accendiamo facendo spallucce perché dall’altra parte c’è quel cattivone di Mauro Pili che ha concentrato intorno a se le forze di Mordor cariche di carbone, gas e petrolio?

Mi perdonerà l’amico Tecleme se lo strattono ancora un po’, ma siamo dentro una narrazione dove le forze del bene (quelle che sostengono la «transizione» – se pure «non governata») sono come in un fortino assediato, da una orda di oscuri e potentissimi lobbisti o da figuranti facilmente manipolati: «nel migliore dei casi la lotta anti-eolico, per dire del fenomeno più comune, diventa una battaglia di retroguardia. Nel peggiore, un involontario regalo al sistema fossile. E non basta un accenno all’importanza della lotta alla crisi climatica in coda ad ogni comunicato per lavarsi la coscienza».

Bene, partiamo con lo rispedire al mittente il trucchetto logico che sta alla base di tutto questo story telling pseudo ambientalista finalizzata a farci ingoiare il nuovo boccone avvelenato di marca coloniale: non è affatto vero che «tutti gli attori politici in campo sembrano concordare  che quello in corso in Sardegna sia un caso da manuale di transizione non governata»». Io per esempio non concordo per niente. 

Per inquadrare il problema ci può essere utile rileggere quanto scriveva Gramsci sulla distinzione (di comodo) tra «società politica» e «società civile»:«siccome nella realtà effettuale società civile e Stato si identificano, è da fissare che il liberalismo è una regolamentazione di carattere statale, introdotto e mantenuto per via legislativa e coercitiva: è un fatto di volontà consapevole, e non l’espressione spontanea e automatica del fatto economico» (Gramsci, Quaderni del Carcere, Q. 13, §18) «Liberalismo» e – aggiungerei per il caso specifico di cui stiamo discutendo – colonialismo! Quello che sta avvenendo è piuttosto un caso da manuale, anzi un nuovo poderoso capitolo, della penetrazione coloniale dell’isola che non è affatto «non controllata», bensì è pianificata e sovradeterminata per legge, esattamente nella maniera in cui la stiamo subendo che – lo ricordo – dipende da dispositivi legislativi avallati da praticamente tutto l’arco parlamentare (Governo Draghi sostenuto da PD, M5S, Forza Italia, Lega e Governo Meloni sostenuto da FdI, FI e Lega). 

Si su chelu fit in terra

Melchiorre Murenu (1803-1854), detto “L’Omero del Màrghine”, povero, analfabeta e reso cieco dal vaiolo, commentò con i seguenti versi il cosiddetto il “Regio Editto sovra le chiudende e i terreni comuni” del 6 ottobre 1820 col quale si autorizzavano comuni e privati a recintare terreni di loro proprietà non soggetti a servitù di pascolo (ma anche quelli soggetti, previa comunicazione ai consigli delle comunità), di passaggio, di fontana o di abbeveratoio:

Tancas serradas a muru

fattas a s’afferra afferra

si su chelu fit in terra

lu dian serradu pure.

Murenu non poteva sapere che esattamente due secoli dopo, un decreto governativo, il 199 di fine 2021 (il cosiddetto “Decreto Draghi”), avrebbe chiuso pure il cielo, oltre naturalmente a migliaia di ettari di terreno e di chilometri quadrati a mare. Per comprendere appieno la situazione attuale, è dunque necessario guardare indietro nel tempo. La Sardegna ha una lunga storia di colonizzazione economica e culturale, iniziata con la privatizzazione delle terre comuni e l’estrazione mineraria durante il periodo sabaudo e proseguita con l’occupazione militare e industriale nel dopoguerra.

Questi processi hanno sistematicamente marginalizzato la popolazione locale, privandola delle proprie risorse e identità culturale. Un esempio di ciò è l’imposizione del monolinguismo italiano, che ha soffocato la lingua sarda e, con essa, una parte fondamentale della cultura dell’isola.

Oggi, la Sardegna affronta la “quarta colonizzazione”. Questa nuova ondata di sfruttamento si manifesta attraverso la costruzione massiccia di impianti energetici industriali e non è affatto vero che si tratta di una «transizione energetica non governata». Ci sono decreti del precedente governo e di quello in carica, ciò significa che dietro c’è la precisa volontà – o la complicità – di tutta la classe politica italiana (e conseguentemente sarda, Psd’az compreso).

Secondo i dati forniti da Terna s.p.a., sono state presentate 824 richieste di connessione per nuovi impianti energetici, con una potenza complessiva di 54,39 GW. Questa cifra è enormemente sproporzionata rispetto alle necessità energetiche sarde (circa 9 GW) e rischia di trasformare l’isola in una distesa di impianti industriali, che di fatto spoglia i sardi non solo della loro terra e del loro mare, ma anche e soprattutto delle residue libertà democratiche.

Faccio solo un esempio. Ieri (primo agosto 2024), insieme a diversi attivisti e ai cittadini di Muros che ci hanno ospitati, abbiamo assistito ad un dibattito sui “progetti fotovoltaici a Muros” dove il sindaco ha illustrato l’imminente realizzazione di quattro impianti agrivoltaici nella vastissima cosiddetta area industriale del paese.

“Cosiddetta”, perché il paese, dato il passato sacrificato alle attività industriali dell’Italcementi, ha una vastissima zona industriale che però potrebbe essere destinata ad altre attività e invece viene sacrificata sull’altare di una nuova selvaggia e impositiva transizione. L’aspetto più inquietante – spiega il sindaco Federico Tolu – è che queste pratiche «sono considerate edilizia libera, basta una comunicazione al SUAP» e partono i lavori in automatico.

Insomma per rifare una veranda o toccare un magazzino in campagna ci vogliono montagne di autorizzazioni, per privatizzare aree gigantesche di territorio comunale, basta una comunicazione e partono i lavori.

Il quadro normativo: favorire i grandi impianti

Il punto è che non è una «transizione non governata», ma una licenza di colonizzare, recintare, espropriare, passando bellamente sulla testa della gente, delle comunità, delle amministrazioni. 

Questo non avviene per caso, per sfortuna o per volontà divina, ma perché la legislazione italiana ed europea ha storicamente favorito la costruzione di grandi impianti energetici da parte delle multinazionali, escludendo le comunità locali dalla possibilità di produrre e consumare energia in modo autonomo. A partire dal Decreto Legislativo del 2003, passando per il “Decreto Rinnovabili” del 2011, il Decreto Draghi” del 2021 e ai provvedimenti del Governo in carica per tramite di decreti firmati dal ministro Picchetto Fratin, le procedure autorizzative sono state progressivamente semplificate per favorire i grandi investimenti, concentrando il controllo della produzione energetica nelle mani del governo centrale e delle grandi aziende.

Quella a cui stiamo assistendo è un nuovo gigantesco, traumatico editto delle chiudende, governato dallo Stato centrale e reso esecutivo con la complicità di una classe politica e culturale passiva o compiacente. 

La mobilitazione popolare.

Da anni in Sardegna assistiamo ad una mobilitazione popolare senza precedenti, animata spesso da persone le cui biografie testimoniano una lunga militanza nelle lotte contro le fabbriche inquinanti, per le bonifiche, contro l’occupazione militare. Si sono tutte bevute il cervello? Sono tutte spie dell’Unione Sarda? Non scherziamo per cortesia! 

Usiamo l’analogia che preferiamo: stupro, saccheggio, ladrocinio. quella in corso è quello che volete, ma non una «transizione energetica non governata». Se mi stanno svaligiando la casa, la mia urgenza è di sventare la rapina, non di ragionare con i miei assalitori o fare un appello perché il furto si trasformi in un piano di ridistribuzione delle ricchezze. La rapina che sto subendo non è un «esempio da manuale di ridistribuzione non governata».

Neppure se c’è un decreto di un governo romano che da la licenza ai ladroni di sfondare la mia porta e saccheggiare quanto trovano in nome della lotta alla povertà. La mobilitazione della società civile è fondamentale per fermare questo ennesimo saccheggio e difendere la dignità e le risorse della Sardegna. Il popolo sardo deve riprendere in mano il proprio destino energetico e decidere autonomamente come e dove attuare la transizione energetica, senza subire imposizioni esterne, senza essere l’oggetto della libido di qualcun altro. E dire questo non significa essere per il carbone, per il petrolio, per la fine del mondo. 

Significa dire che questa volta lorsignori non passeranno, qualunque progetto esogeno vogliano impiantare per i loro interessi. Basta con queste stupidaggini, anche se poi arriva la mano tesa del «ma noi non siamo avversai, lo facciamo insieme?». No, non facciamo insieme un bel niente. Prima fermiamo tutto con chi è impegnato in questa battaglia di civiltà, ribadiamo la nostra autodeterminazione politica ed energetica e poi si vedrà. Nuovo giro e nuova corsa. 

Non è colpa nostra se siamo sotto assedio da due secoli da forze che, ad ogni generazione, trovano qualche stratagemma per saccheggiare una terra a cui non danno indietro niente di niente. 

Quindi, proposta di legge “Pratobello”?

Sì, convintamente! Non mi interessa se non è perfetta, se non prevede questo o quello, se è incostituzionale, se c’è dietro Bobbotti. Intanto facciamo vedere che il popolo è sul piede di guerra e sfatiamo il mito della passività dei sardi. Mi sarebbe piaciuto un dispositivo di legge elaborato dai comitati in sessione plenaria, ma poi c’è la realtà.

E questa è la realtà: i ladri stanno saccheggiando a mani basse e non risparmiano terreni agricoli, aree archeologiche, coste.

Io da parte mia non nutro alcuna fiducia nella giunta al governo e non voglio stare a guardare mentre i ladri fanno i loro comodi. Nel celebre Estremismo malattia infantile del comunismo, Lenin scrive che «Chi aspetta una rivoluzione ‘socialmente pura’ non vedrà mai una rivoluzione.

Egli parla di rivoluzione senza capire che cosa è una rivoluzione».

Ora abbiamo uno strumento giuridico normativo, una proposta di legge di iniziativa popolare che è senz’altro uno strumento di pressione. È un’occasione per dare un colpo sia al Governo statale che a quello regionale, a mio parere entrambi complici della colonizzazione.

Abbiamo le spalle larghe, ci prenderemo pure l’accusa di essere «amici di Pili» e «pedina dei fascisti». Per me il discorso è molto semplice: la colonizzazione non deve passare, la Sardegna deve diventare un Vietnam per i «nuovi feudatari industriali» – come li chiamava Simon Mossa.

E per fare questo non basta fare convegni o sperare che Todde faccia qualcosa di sinistra o di sardista. Le guerre si vincono con i soldati che si hanno – diceva Napoleone. Poi si possono vincere o perdere. Ma vanno combattute. 

Qualcuno replicherà che «allora non volete decarbonizzare», «dobbiamo fermare i tumori!», «le pale eoliche ci servono come gli ospedali, più ce n’è, meglio è».

Forse non ci siamo capiti: a queste condizioni, con questo quadro normativo, con questa invasione di SRL fantasma, con queste modalità impositive e coloniali, noi non vogliamo neanche una pala o un pannello, nemmeno un MW di potenza installata che non siano quelle che decidiamo noi con le nostre comunità, in base alle nostre esigenze, compatibili con i nostri territori. 

E non fatemi la lezioncina di persone col tumore, del carbone che inquina, della Saras. Sono anni che lottiamo contro la devastazione e lo sfruttamento della Sardegna e spesso gli attuali supporters della colonizzazione da FER erano a difendere Matrica o Ottana «perché portano posti di lavoro», come oggi sostengono la RWM per lo stesso motivo. 

Ma non per questo ora siamo disponibili ad accettare di diventare il gruppo elettrogeno dell’alta Italia perché in passato abbiamo subito la costruzione di impianti industriali inquinantissimi.

La cartina di tornasole per capire se un sistema è coloniale o meno, non è la quantità di emissioni, ma la sua compatibilità con il territorio, il ritorno in termini di sviluppo che ha in loco, la capacità per la comunità endogena di controllare il processo. 

Allo stato attuale bisogna bloccare tutto e aprire uno scontro strutturale tra interessi dei sardi e stato centrale. 

Per i nuovi feudatari industriali non ci sono aree idonee e per le loro guide indiane non ci saranno notti tranquille!


immagine: ai

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