
L’inerzia della politica e il silenzio della scuola sarda sulle dichiarazioni del ministro Valditara
La Sardegna è una terra senza politica.
È il dramma della nostra contemporaneità. Ciò si traduce nell’inerzia con cui chiunque occupi ruoli decisionali nella Regione Autonoma affronta (o *non* affronta) i problemi strutturali e le necessità collettive dell’isola.
La giunta Todde non fa eccezione. Molto rapida e decisionista nel distribuire posti ben pagati di consulenza e prebende assortite, non lo è stata altrettanto, in un anno, nel farsi carico di tutti i dossier aperti sulle sue scrivanie. L’elenco è lungo ed è più o meno sempre lo stesso da vari lustri: trasporti, sanità, spopolamento, lavoro, settori economici in sofferenza, questioni ambientali e infrastrutturali, acqua, incendi, energia, scuola, ecc. Suonano disarmanti, dunque, le parole della Presidente Todde, pronunciate in Consiglio regionale, in difesa del proprio operato, così stridenti e di corto respiro davanti alle sfide strategiche cui deve rispondere.
Se la partita energetica ha occupato gran parte del tempo della giunta in carica, sia pure con esiti maldestri e con evidenti rischi – per la Sardegna – di finire dalla padella alla brace, di tutto il resto si è parlato – e fatto – poco o nulla. A dispetto dei proclami e della supponenza che caratterizza la comunicazione istituzionale di questi mesi.
Tra le altre cose, è passato sostanzialmente sotto silenzio e senza alcuna reazione il lancio della nuova politica scolastica fatto a mezzo stampa dal ministro competente Valditara. Dichiarazioni pubbliche in cui il ministro ha delineato i suoi propositi per le “indicazioni nazionali” ministeriali, di cui dovranno tenere conto le varie sovrintendenze scolastiche e le varie amministrazioni dell’istruzione nelle regioni. Anche in quelle autonome.
Qui c’è già da fare qualche precisazione. Le regioni autonome non hanno lo stesso grado di competenza in materia scolastica. Le due Province autonome del Trentino e del Süd-Tirol hanno un grado di competenza maggiore di quello della Regione sarda, ad esempio. Ma la Regione sarda non ha del tutto le mani legate. L’art. 5 dello Statuto sardo recita:
Salva la competenza prevista nei due precedenti articoli, la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione, sulle seguenti materie:
a) istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi;
b) lavoro; previdenza ed assistenza sociale;
c) antichità e belle arti;
d) nelle altre materie previste da leggi dello Stato.
Insomma, in materia scolastica la Sardegna, volendo, potrebbe legiferare, integrando la legislazione statale e adattandola alle sue particolari esigenze. Uno spazio vago, quanto a estensione, ma esistente. Su cui comunque provare a far valere le proprie ragioni. Anche in contrasto col governo centrale, all’occorrenza. Cosa ne ha fatto di tali prerogative la Regione sarda in quasi ottanta anni di autonomia? Nulla. Non esiste ancora un’organica legge regionale sulla scuola. Le proposte che sono state fatte nel corso degli anni, anche quelle più strutturate e ben confezionate, sono state regolarmente ignorate dalle forze politiche che hanno dominato la scena fin qui.
Oggi, sulla scuola sarda calano, dall’alto e dall’esterno come sempre, i propositi del ministro Valditara: programmi orientati al nazionalismo italiano più retrivo, scuola “delle regole”, disciplina, bibbia. Un programmino niente male, per una scuola ottocentesca. In ambito italiano si sono levate diverse critiche a tali proponimenti, ma non se ne è parlato poi tanto. Niente che abbia superato il filtro che divide le notizie e il conseguente dibattito dal senso comune della cittadinanza, ben presidiato dall’egemonia culturale destrorsa di questi tempi. In Sardegna tuttavia non è successo neanche questo. Eppure avremmo motivi ulteriori per preoccuparcene.
La giunta Todde ha aperto un conflitto con il governo a proposito del dimensionamento scolastico, questo sì. Problema che però è datato e ormai incancrenito anche a causa dell’inerzia delle precedenti giunte regionali, in particolare quella di centrosinistra presieduta da Francesco Pigliaru, la famigerata giunta “dei professori”, che ha fatto più danni della grandine anche in questo ambito specifico.
Intanto che si definisce la contesa istituzionale, resta inevasa la domanda di intervento sulle indicazioni nazionali del ministero e soprattutto la necessità di una normativa regionale sarda, senza la quale qualsiasi giunta ha pochi strumenti per opporsi alle decisioni governative.
I motivi per farne una priorità nell’agenda politica sarda sono molti. L’intento di fare della scuola un luogo di indottrinamento reazionario e nazionalista, ancora più di quanto non sia già e di quanto sia stata in passato, per la Sardegna suona doppiamente minaccioso. Dovremmo sapere, e dovrebbe saperlo prima di tutto il mondo della scuola stessa, che la scolarizzazione di massa nell’isola ha avuto sì degli effetti positivi ma che sono stati ampiamente controbilanciati da altrettanti effetti negativi: l’acculturazione forzata, lo stigma sulla cultura locale e sulla lingua, l’esclusione sistematica della storia sarda, la tolleranza e a volte l’aperto favore per la propaganda militarista fin dalla scuola primaria, un classismo malcelato via via crescente al crescere dell’età dei discenti, dalla primaria alla secondaria. Non va meglio nel nostro ambito universitario, provinciale e chiuso, pavido, legato strettamente alla politica e troppo spesso compiacente verso di essa, connesso ai settori più opachi delle professioni e degli interessi privati.

La subalternità della politica sarda anche in questo caso produce mostri. Incapace di assumersi la propria responsabilità verso la collettività che nominalmente rappresenta, somma alla sua pochezza di fondo un’ignoranza imbarazzante sul pezzo di mondo in cui è situata. Difetto oserei dire accentuato nel campo del centrosinistra. Queste debolezze sono più evidenti quando a Roma si assumono decisioni discutibili in sé e decisamente pericolose per la Sardegna. Decisioni a cui la nostra politica, che sia di centrodestra o di centrosinistra poco cambia, non ha niente da opporre.
Essendo la scuola un fattore decisivo non solo per il nostro presente ma a maggior ragione per il nostro futuro, tanto più è grave il silenzio e la noncuranza con cui sono state accolte le dichiarazioni del ministro Valditara. Silenzio della politica ma anche, va ribadito, silenzio della nostra classe intellettuale accademica e della nostra classe docente scolastica. Forse quest’ultimo è il più grave, perché segnala ancora una volta la diffusa inconsapevolezza sulla nostra condizione storica proprio nella sede principale in cui si formano le coscienze civili delle nuove generazioni.
Se c’è da rivolgere un appello accorato a farsi carico della situazione difficile della scuola sarda bisogna rivolgerlo prima di tutto alla scuola stessa e a chi ci lavora. Il mondo della scuola deve darsi il coraggio di farsi attore politico, senza deleghe ai soliti partiti e ai decrepiti sindacati confederali italiani. Sarebbe fondamentale che la scuola in Sardegna acquisisse finalmente in tutto e per tutto un ruolo di fattore emancipativo, di lievito democratico e non, come rischia di essere sempre più, uno strumento di perpetuazione della nostra subalternità. Attendiamo fiduciosi qualche segnale in tal senso.
Un commento
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Il mondo della scuola non ha alcun ruolo politico e neppure può averlo perché come tutte le istituzioni in italia e, quindi, in Sardegna non è al servizio dello Stato, ovvero, dei cittadini ma è asservita al governo di turno. Diversamente le baronie scolastiche non esisterebbero. Ritengo pertanto utopistico che la scuola si “svegli”. Ritengo altrettanto utopistico che un partito italiano faccia gli interessi della Sardegna e dei sardi. Ricordatevi quanti sono andati al voto per le regionali e quanti hanno votato per la Todde: il 45,4% del 51,9% che è andato a votare. E sappiamo bene perché i sardi disertino il voto visto il comportamento delle persone che si candidano, prima e dopo le elezioni. E l’indottrinamento, visto il periodo di “apartheid” subito nel 2020-2021 che ancora oggi persiste, è una normale conseguenza della ignavia che ha pervaso chi, per primo, avrebbe dovuto ribellarsi e non l’ha fatto! E se non ha agito prima, per quale motivo dovrebbe farlo ora? Quale neurone dovrebbe fargli pervenire un dubbio, se li utilizzano solo per il proprio tornaconto personale anche a scapito della salute e del futuro dei loro figli?