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Marcia Mondiale della Pace – S’Imprenta

S’Imprenta – Rassegna stampa dalla colonia

Tutti i sabato mattina su S’Indipendente

Ci siamo accorti che le basi militari erano servitù dopo decenni dall’installazione, le abbiamo viste come facenti parte del paesaggio, non le abbiamo discusse, anzi “ci portano lavoro”, sono le parole che ancora si sentono, per fortuna sempre meno.

Con la petrolchimica ci hanno convinto che l’industrializzazione ci avrebbe portato modernità e ricchezza, come se esistesse un percorso capitalistico predefinito e lineare per tutti. 
Rovelli comprò la Nuova e l’Unione per propagandare questa idea.
Lo scudetto, una rara vittoria sarda, puzza di petrolio, non ce lo diciamo mai per non sporcare il mito, per non rovinare l’autoconsolazione e perché no, quei momenti di pura felicità davanti ai goal di Gigi Riva e alla rete che si gonfia ad infrangere i record. 

Abbiamo accettato la sostituzione della lingua sarda come momento di civilizzazione, per non essere grezzi e antichi, per non sfigurare in pubblico.
Lo abbiamo appreso “con entusiasmo”, scriveva Sergio Atzeni nell’articolo Nazione e narrazione.

In realtà bacchettavano le mani a scuola, per cancellare il peccato originale di essere nati sardi e parlare nella lingua dei padri e delle madri. Scriveva il poeta Cicitu Masala, entravamo a scuola intelligenti e vispi e uscivamo tonti e silenti.

Per una volta, di fronte a questa devastante ondata coloniale, chiamata “transizione” dalle fossili (ma l’assessore all’industria Cani vuole il metano) l’abbiamo capito prima: sono nuove servitù

Buona parte del merito va al mondo indipendentista, per decenni ha denunciato le basi e le altre servitù coloniali, e ora le abbiamo riconosciute. In altre parti dello stato italiano non esiste minimamente una resistenza simile, l’elaborazione sarda è molto più avanzata, o se vogliamo totalmente diversa.

Uno studio sull’influenza sociale del ’69 di Moscovici aveva dimostrato che le minoranze possono imporre le proprie idee alla maggioranza, a patto che siano coerenti e determinate nel tempo. I semi dell’elaborazione dei decenni passati hanno dato i loro frutti. Prima ancora che un obiettivo, l’indipendentismo è un metodo di analisi e di narrazione della realtà.

Motivo per cui, in Italia non ci capiscono e la stampa di regime attacca i “sardi contro le rinnovabili”, sottintendendo che siamo retrogradi, che non capiamo che il loro modello è giusto, e che vogliamo restare antimoderni, a lume di candela (come se ora fossimo al buio). 

Il rifiuto del modo con cui stanno portando avanti questa transizione non origina nel retrogrado antimodernismo o ad un mantenimento de su connotu. Ha origine nella Giustizia: sociale-redistributiva, dell’autodeterminazione, paesaggistico-ambientale.

Di fronte alle ingiustizie si deve lottare, non abbiamo altra scelta se non contrastarle con tutti i mezzi, senza compromissioni. 

Stasera, 23 novembre, ci sarà la marcia della pace

Alle ore 17, in piazza Garibaldi, promossa dall’associazione internazionale umanista Mondo Senza Guerre e Senza Violenza in collaborazione con comitati di sensibilizzazione per la Pace e la Nonviolenza in tutto il mondo.

Se guardiamo alle questioni internazionali, la parola “pace” rischia di essere vuota, in assenza di Giustizia
In Sardegna siamo strettamente collegati alle guerre internazionali.

Le basi militari, la base sperimentale di Quirra, le esercitazioni Nato, la RWM, l’aeroporto di Decimomannu e gli F35, fanno della Sardegna una base logistica delle guerre.

La petrolchimica e il piano sulle rinnovabili pongono la Sardegna (non da sola) come hub energetico europeo. La “transizione” ha avuto un’accelerazione con le sanzioni alla Russia. Dunque ancora una volta siamo in mezzo alla geopolitica internazionale di guerra.

  • Non siamo rappresentati in Europa, ma ne subiamo le scelte. 
  • La legge elettorale regionale blocca chiunque non sia allineato con le coalizioni coloniali.
  • Cestinano la volontà di 210.729 sardi che hanno firmato legge popolare prevista dallo statuto sardo.
  • Intendono bloccare il dissenso “non violento” di chi si sdraia per terra con la 1660 approvata per ora solo al senato.  

Lo sgombero di mercoledì 20 del Presidio selargino

Lo sgombero dei presidianti dal terreno dell’ormai ex proprietario Melis, espropriato contro la sua volontà, ha visto un dispiegamento di forze repressive fuori dal normale, le operazioni affidate all’antiterrorismo. La zona è interdetta, strade chiuse, chi è riuscito ad avvicinarsi per documentare l’espianto degli degli ulivi e la devastazione della vigna, ha dovuto farlo tagliando per i campi, seguito da un drone e da poliziotti.
Ironia della sorte, il 21 novembre era la festa mondiale degli alberi.

Il messaggio è chiaro: il potere coloniale ha deciso dall’alto, anche contro il parere del consiglio comunale che ha votato per il ricorso straordinario al presidente della repubblica, tutt’ora in corso, e non intende cambiare. 

Le vie principali sono tuttora interdette, gli abitanti della zona devono passare nelle stradine secondarie, dietro richiesta di documenti.

Una persona che abita nelle campagne ci scrive: “qui in campagna ancora siamo circondati da polizia, in entrata e in uscita, la mia domanda è: possibile che tutto ciò sia legale? Cioè noi che abitiamo qui abbiamo praticamente tutte le strade tenute in pattuglia da agenti più o meno in borghese.

Come si può parlare di pace in queste condizioni, con i sardi in piena lotta e senza strumenti democratici?
Pace significa forse tornare all’accettazione passiva delle servitù? 

L’ulivo, simbolo mondiale della pace, a Selargius è diventato simbolo di lotta e di resistenza, nel presidio s’arrebellia de is olias. Dove Terna piantava muri, i presidianti hanno piantato centinaia di ulivi, ma non in segno di pace.

Il capovolgimento del significato dell’ulivo fa il paio con il capovolgimento del significato di “Giustìtzia” (maiuscola) opposta e contrapposta rispetto alla legge dell’apparato coercitivo statale italico, de “sa giustìtzia” (minuscolo) che in sardo significa polizia e carabinieri, che assume sotto i vari dominatori il punto di vista esterno. È diventato malaugurio che porta via.

I comitati partono da un punto al limite dell’impossibilità della vittoria, tra direttive UE, capitali finanziari affamati di finanziamenti pubblici, decreti italici, polizia e forze repressive statali, in regione siede la stessa che ha coadiuvato Draghi, sindaci che si voltano dall’altra parte. Dunque, qualsiasi avanzamento è una vittoria.
Senza la Pratobello24 il dl 45 sarebbe stato molto più permissivo.
Il tavolo di trattativa più efficace è l’assedio al palazzo, non i quindici minuti concessi dal potere su sedia di fantozziana memoria. Se qualche comitato (non Pratobello) ha trattato ed ha ottenuto delle modifiche al dl 45 lo deve soprattutto alla forte protesta della Rete Pratobello.

La politica regionale ha, invece, solo da perdere, il risultato va misurato tenendo conto di questi punti di partenza, parecchie camicie inamidate usciranno inzaccherate dalle loro stesse responsabilità, deterrente per future genuflessioni.

Todde, ad esempio, non ha degnato di uno sguardo le 12 occupanti donne (“Lei ha sempre finto di non vederci. Ci ha ignorate. Come fossimo sedie e non esseri viventi“, dal testo Le Invisibili). C’è la sanità allo sfascio, i trasporti allo scatafascio, ma trova il tempo per festeggiare la vittoria in Umbria e nell’Emilia Romagna del centro sinistra. Sono le priorità di una donna perfettamente integrata nel sistema di potere italico.

L’Indip pubblica un articolo: “Natale si avvicina, dal centrosinistra regalini agli amici per 22 milioni. Senza bando”.
Fino a qualche anno fa il movimento a Cinque Stelle faceva dell’onestà una sua bandiera. Non a caso sono in crollo verticale ovunque, in Umbria hanno preso il 4,7%.

La Pratobello24 non è solo uno strumento burocratico

Chi anche tra i comitati l’ha scambiata per una questione meramente legislativa ha sbagliato valutazioni.

Il movimento Pratobello è riuscito a spostare continuamente l’attenzione politico-mediatica, pur partendo da una posizione di forza totalmente sbilanciata. I partiti avranno sicuramente l’ultima parola, ma bisogna capire a che prezzo avranno imposto la decisione. Ne sarà valsa la pena?

Nella terza settimana di presidio del palazzo di via Roma, i comitati sono stati ricevuti in regione per un nulla di fatto.

Ad agosto 2023 (ecco dov’eravamo quando c’era Solinas) scrivevamo Comitati contro la speculazione o laboratori politici anticoloniali?”, già da quel tempo si capiva che non erano semplici comitati di quartiere.

Quei laboratori sono cresciuti, hanno messo radici, hanno protestato, prodotto moratorie e leggi, hanno avuto delle dolorose ma fisiologiche potature e portano avanti con determinazione e creatività strategica la lotta politica contro il potere coloniale e le sue servitù.
È necessario trovare il dialogo con gli altri comitati tematici non compromessi, A Foras, No Scorie No Nucle, No RWM, i movimenti storici anticoloniali, il mondo che con il territorio ci lavora, cioè quello agricolo, pastorale, turistico e ripartire con una nuova elaborazione da un livello di consapevolezza più alto e più diffuso.

Questa settimana abbiamo assistito ad atti prepotenti (Presidio di Selargius e Pratobello24 ignorata) che hanno il chiaro obiettivo di schiacciare anche psicologicamente la resistenza, data la sproporzione di forze.
Quello che non hanno capito è che le idee non si fermano, nemmeno davanti alla esuberanza muscolare italiota: le minoranze possono influenzare le maggioranze a patto che siano persistenti e determinate nel tempo.
Il popolo sardo è dalla parte dei comitati, lo si è capito nelle file dei banchetti, ascoltando i loro discorsi e dal loro sostegno. Il sostegno popolare rappresenta la forza dei comitati.

Il Presidio fa già parte della storia di Selargius e della Sardegna e continuerà ad esistere nelle memorie e nelle idee (queste ultime non si imprigionano) delle persone che l’hanno vissuto.
Una genna si serrat, una genna s’oberit!

P.s. il Presidio sgomberato stava in realtà nella zona su truncu ‘e s’ollastu (destino scritto nel nome); a su Padru, a poche centinaia di metri dall’ex Presidio, esiste ancora sa Barracca, nata parecchi mesi prima del Presidio. Ma sta su un terreno che il 5 dicembre verrà espropriato.

Sa cida in 1 minutu

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