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Giovani e futuro, ma quale futuro? 

de Ninni Tedesco Calvi

Il 17 novembre si celebra la Giornata internazionale degli Studenti in memoria dei nove studenti e professori cecoslovacchi che a Praga, nel 1939, per aver partecipato ad una manifestazione anti-nazista, furono giustiziati senza processo mentre più di 1200 vennero deportati nei campi di concentramento. Nello stesso giorno, tutte le università dell’allora Cecoslovacchia vengono chiuse.  

Dal 1941, questa data è stata celebrata come Giornata Internazionale dello Studente e nelle scuole e nelle università di tutto il mondo si continua a lottare contro la repressione, per il fondamentale diritto umano di accedere all’istruzione gratuitamente a tutti i livelli e per una società inclusiva e democratica. In questa occasione il ministro Valditara ha il coraggio di scrivere: “Per questo è importante difendere ogni giorno il diritto allo studio e costruire tutti insieme una scuola sempre più attenta alle esigenze, alle inclinazioni e ai progetti di vita di ciascuno studente, perché la scuola sia sempre di più il luogo per eccellenza di realizzazione della persona umana”. Già, ci vuole davvero coraggio nell’affermare con tanta leggerezza e ipocrisia parole che non corrispondono a nessuna realtà di nessuna scuola italiana, ancora di meno sarda, fanalini di coda di tutti i parametri sui quali si definiscono i valori di qualità dell’istruzione.  

Da dove cominciare? Tale è il disastro della scuola pubblica in Sardegna che occorre cominciare dai dati e dalle scelte del governo. In seguito, i punti da toccare sono nell’ordine: situazione attuale, scelte politiche di Roma e di Cagliari, cause e prospettive. 

La situazione attuale. A novembre del 2022 il Ministero dell’ISTRUZIONE pubblica i dati del nuovo dimensionamento scolastico sulla base di proiezioni ISTAT sino al 2034, organizzate su criteri di denatalità. Scrive Valditara “L’intervento normativo di riforma del sistema di dimensionamento della rete scolastica nazionale discende da una stringente indicazione europea, nell’ambito delle misure del PNRR, che mira ad adeguare la rete scolastica all’andamento anagrafico della popolazione studentesca […]”. 

La proposta tiene conto della riduzione degli studenti ma applica anche alcuni correttivi che tengono conto delle specifiche criticità di alcuni territori: comuni montani, piccole isole, minoranze linguistiche, cessazioni previste dei dirigenti scolastici, nuove immissioni in ruolo di dirigenti scolastici. Dichiarazioni subito smontate dai sindacati, CGIL e Cobas in particolare. 

I parametri per il dimensionamento della rete scolastica devono essere definiti con un decreto dei Ministeri dell’Istruzione e del Merito e dell’Economia e delle Finanze, in accordo con la Conferenza Unificata; in caso di mancato raggiungimento  di tale accordo, il decreto può essere emanato anche dai soli due ministeri che devono individuare autonomamente un parametro compreso tra 900 e 1000 alunni attraverso il quale stabilire il numero di dirigenti scolastici assegnati a ciascuna regione a cui deve corrispondere il numero di scuole funzionanti. 

Appare subito chiaro dai dati che le regioni più penalizzate saranno quelle meridionali, isole comprese. Infatti, quattro di esse, la Regione Campania, seguita Puglia, Toscana e Emilia-Romagna, in virtù del fatto che la decisione è stata presa escludendo il parere della conferenza Stato regioni, hanno fatto ricorso davanti alla Corte Costituzionale contro il provvedimento dei nuovi parametri imposti dal governo. Effettivamente i numeri sono piuttosto allarmanti: 128 scuole in meno in Campania, 79 in Calabria, 58 in Puglia, 42 in Sardegna e 92 in Sicilia: in pratica più la metà dei “tagli” si concentra in 5 sole regioni.  

Scelte politiche di Roma e di Cagliari  

La Sardegna invece ha ritenuto di non dover fare ricorso e, dopo una solo apparente e informale protesta dell’assessore Biancareddu durante una video conferenza col Ministro (“una legge di stampo fortemente centralista dove la Regione è chiamata ad applicare dati meramente algebrici ed è relegata a mera esecutrice di queste norme” ed ha aggiunto, “ … ci penalizza in quanto è basata esclusivamente su dati numerici algebrici. Non si può fare la riforma della scuola contando solo la popolazione e gli alunni”), ha subito passivamente le scelte centraliste di Roma. 

Dunque, dinanzi alla drammatica situazione della scuola sarda, l’amministrazione piega la testa. Qualche dato sulla Sardegna: la Sardegna è prima nella classifica di abbandono scolastico nella scuola secondaria superiore. Nell’isola il 13,2% dei minori non arriva al diploma delle superiori, abbandona prima gli studi. Ma non basta; il 9,7% dei diplomati si trova in condizioni di «dispersione implicita», cioè senza le competenze minime necessarie, secondo gli standard Invalsi, per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università. Basso anche il livello di scolarizzazione: a fronte del 14,5% della media nazionale, il 23% dei giovani sardi tra i 18 e i 24 anni non hanno un diploma, possiedono soltanto la licenza media (dati Open Polis). “Gli Istituti Scolastici Autonomi della Sardegna negli ultimi 20 anni sono stati accorpati in maniera selvaggia e senza alcun riguardo verso le specificità territoriali, passando da 412 agli attuali 273. Le cause? Secondo l’analisi dei sindacati della scuola, che hanno più volte denunciato il fenomeno, tra i motivi principali dell’alto tasso di abbandono degli studi c’è la politica di dimensionamento (la burocrazia ministeriale usa questo termine ma quello esatto è ridimensionamento) perseguita negli ultimi due decenni da tutti i governi nazionali e fatta propria dalle amministrazioni regionali.” -Scrive Costantino Cossu sul Manifesto del 23 agosto 2023 – “Una politica che, in nome del risanamento della finanza pubblica, ha ridotto drasticamente il numero delle scuole. Nell’isola i tagli lineari si sono abbattuti su una realtà geografica e su un contesto sociale molto particolari. Sono tantissimi i paesi piccoli e piccolissimi dove, chiuse le scuole elementari e le scuole medie e raggruppati i vari ordini di insegnamento in unità plurime, per poter andare a scuola già da tempo studenti di ogni età sono costretti a viaggiare in autobus per tratte anche superiori a un’ora (un’ora all’andata e una al ritorno) e su strade pessime”.  

Nelle nostre scuole studiano 198 mila studenti e studentesse. Il dato però segnala un calo costante negli ultimi cinque anni scolastici per complessive 15.000 mila unità, dovuto non solo alla diminuzione delle nascite (motivo che utilizza il governo per giustificare i tagli) e quindi dei giovani in età scolare, ma anche al fenomeno dell’abbandono scolastico. 

Gli insegnanti. Nell’analisi delle serie storiche è interessante notare come rispetto a cinque anni fa aumenta il numero complessivo di docenti (+1.329), ma diminuisce di oltre 1.500 unità il numero di docenti a tempo indeterminato e parallelamente cresce nettamente il numero di docenti a tempo determinato (+2.890), segno evidente di una maggiore precarietà del lavoro di insegnante (dati ADKronos),  particolarmente evidente negli insegnanti di sostegno, proprio laddove sarebbe necessaria una stabilità e continuità, soprattutto per i casi più gravi. Nell’ultimo anno scolastico di cui si hanno i dati (2021-22), su un totale di 6.796, ben 4.585 erano a tempo determinato dei quali 704 con contratto annuale. 

In generale la nuova legge di bilancio italiana ha, inoltre, previsto la riduzione del bilancio dell’Istruzione, nel prossimo triennio, di oltre 4 miliardi di euro mentre sono stati aumentati di alcune decine di milioni di euro i finanziamenti alle scuole private.  

(Non è questa la sede per affrontare il tema dello spropositato aumento invece delle spese militari. Evidentemente il Bel Paese ha più bisogno di armi che di laureati)! 

Cause e prospettive. Il ridimensionamento, ovvero i tagli, viene giustificato con il decremento anagrafico, che, lo ribadiamo, non tiene conto in alcun modo delle speciali condizioni dei territori dell’isola e del drammatico sistema di viabilità e trasporti. La dispersione invece come la giustificano? In un suo scritto sul sito della Fondazione Sardigna, che condivido totalmente, Francesco Casula afferma “Gli studenti sardi sono più tonti di quelli italiani? O poco inclini allo studio e all’impegno? E i docenti sono più scarsi o più severi? Io non credo. Come non penso che svolgano più un ruolo determinante o comunque esclusivi, la mancanza o l’insufficienza delle strutture scolastiche (laboratori, trasporti, mense ecc.), anche se certamente influenzano negativamente i risultati scolastici. 

E allora? 
E allora i motivi veri sono altri: attengono alle demotivazioni, al senso di lontananza e di estraneità di questa scuola. Che non risulta né interessante, né gratificante, né attraente. La scuola italiana in Sardegna infatti è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Dunque non a un sardo. E tanto meno a una sarda.” 

E ancora una volta ribadiamo (cit. articoli scuola su s’Indipendente) che la Sardegna, unica “Regione” in Italia a non avere una legge sull’istruzione, non ha neppure una sua identità, una sua “specialità”, ad eccezione naturalmente del lavoro egregio, ma solitario e individuale di pochi/e insegnanti. Lo studente sardo non trova sui libri la sua storia, non parla la sua lingua, non studia la sua letteratura o la sua storia dell’arte. È, e non certo per sua responsabilità, lo studente grigio di cui parla Casula. Che uso hanno fatto i nostri amministratori dell’articolo 5 del nostro statuo “speciale”? Che indirizzo culturale, che prospettive di cittadinanza e di lavoro hanno dato ai nostri ragazzi e ragazze? Spesso l’emigrazione. 

Tra il 2016 e il 2022 in soli 7 anni, la Sardegna ha perso quasi 79.000 abitanti, il 5,7% della popolazione, con una accelerazione negli ultimi 2 anni che passano da una riduzione di 5000 abitanti l’anno a 13.000. Di questi quasi 21.000 sono perduti dalla provincia del Sud Sardegna, quasi 20.000 dalla provincia di Sassari, quasi tutti concentrati nel nord-ovest, 12.000 sono gli abitanti in meno di Nuoro e oltre 9.000 quelli persi in provincia di Oristano. La città metropolitana di Cagliari perde 11.600 abitanti nonostante il fiorire dell’economia e la centralizzazione delle istituzioni. 

Se sino al 2018 si registrava una costante crescita della popolazione nelle zone costiere, nel 2020 e nel 2021 questo processo si è interrotto o ha rallentato mettendo in crisi tutto il territorio regionale. Il saldo naturale è negativo in i 373 comuni su 377, positivo in soli 24 comuni su 377. 

In conclusione siamo sempre di meno, sempre meno istruiti e con sempre minori prospettive di lavoro, sviluppo, crescita, nonostante abbiamo per anni ricevuto fondi quando eravamo nell’obiettivo 1 dell’UE e nonostante prima i miliardi di lire e poi i milioni di euro spesi per progetti speciali (vedi amministrazioni regionali degli ultimi trent’anni). A queste somme si aggiungono la prima tranche di risorse PNRR assegnata che ammonta a 16.253.251,95 euro stanziati per 122 istituti della regione e le misure programmate dalla Regione Sardegna a sostegno dell’istruzione e della formazione dei giovani dell’Isola, cioè gli oltre 18 milioni di euro di nuovi finanziamenti per i percorsi triennali Ie FP (Istruzione e Formazione Professionale) per gli anni formativi 2023-2026. Infine la delibera della Giunta Regionale del 13 agosto 2023 prevede anche 11 milioni di euro a valere sul PR FSE+ 2021-2027. 

Concludo usando parole a me non congeniali ma necessarie per comprendere il senso dei fondi destinati dal PN e tratte dal 29º RAPPORTO Cronos 2022: “Il PNRR stanzia risorse significative per l’istruzione e la ricerca e stabilisce obiettivi che affrontano alcune debolezze del nostro sistema scolastico, come gli scarsi investimenti in capitale umano e i troppo ampi divari territoriali, con un vincolo di destinazione del 40% delle risorse al Mezzogiorno. La governance dei fondi implica inoltre il pieno coinvolgimento degli enti territoriali quali Regioni, Città Metropolitane e Comuni che hanno in gestione più di un terzo delle risorse totali del Piano.

Questo pone dei rischi circa il raggiungimento degli obiettivi. Infatti, sia l’evidenza degli anni passati che studi recenti mostrano come il livello di efficienza delle amministrazioni locali del Mezzogiorno sia in troppi casi inferiore rispetto al resto del paese ed evidenziano la loro minore attenzione alle esigenze complessive della scuola. Speriamo che questi problemi siano superati e che il PNRR non rientri tra le occasioni perse per colmare il gap che separa la nostra regione da quelle più virtuose in termini di investimenti in capitale umano”. Per citare l’illustre prof. Nicola Tanda ““Nelle classifiche della scuola superiore il Friuli occupa la prima posizione e la Sardegna quasi l’ultima. Mi domando: c’è qualche connessione tra questi risultati e l’uso proficuo che essi fanno della specialità del loro Statuto?”. 

Nessuno dei prossimi candidati o candidate alla presidenza della RAS ha presentato un piano per l’istruzione in Sardegna, né una proposta per la ricerca e il lavoro, e neppure una bozza di visione sociale, culturale e politica complessiva che concretamente e con dovizia di particolari, sappia parlare a un/una giovane sardo/a che non crede più nella politica e forse neppure nel proprio futuro.  

 “Siamo nella società della conoscenza, ma la nostra isola è ultima per numero di laureati e diplomati e all’apice per dispersione scolastico. Il vero investimento, quello più forte va fatto qui. Se vogliamo avere un futuro e soprattutto scegliercelo noi con gli strumenti culturali più opportuni». (Da un’intervista a Bachisio Bandinu).
L’importanza della scelta, ancora. 


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Immagine: noisiamofuturo.it

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