Maschilismo e femminismo non sono la stessa cosa

De Ninni Tedesco Calvi

In alcuni spazi social frequentati da attivisti del mondo dell’autodeterminazione si è recentemente aperta una discussione sui concetti di “femminismo” e “maschilismo”, sui quali è per me necessario fare chiarezza, e comincio con l’affermare che la categoria di “maschilismo” non è in alcun modo, per nessun verso, in alcuna accezione, equivalente o assimilabile a “femminismo”.

Talvolta questi dubbi si discutono anche all’interno di gruppi di lavoro o di associazioni nelle quali si condividono percorsi e progetti di militanza, e trovo sia segno di responsabilità e di maturità politica affrontarne le diverse sfumature e limarne le asperità ove vi fossero. Scriverne, pertanto, è per me – anche in quanto coordinatrice di S’Indipendente – un dovuto atto di chiarezza.

Le parole sono pietre, lasciano segni pesanti, ma sono anche “azioni”, per dirla con Wittgestein, ovvero ci definiscono e ci identificano, pertanto dobbiamo usarle con attenzione, con la consapevolezza che provocano reazioni alle quali (e delle quali) dobbiamo rispondere.

Se io dichiaro di essere  razzista perché – a mio modo di vedere – razzismo significa valorizzare le culture di tutti i popoli, non sto risemantizzando un termine: mi sto collocando in un filone di pensiero contiguo ai sostenitori della destra radicale. E questo accade che io lo voglia o no, che creda veramente o meno nel valore della supremazia di una razza sulle altre, ammesso e non concesso che le razze esistano (e non esistono, sia chiaro!).

Se dichiaro, pubblicamente di essere un camerata perché in spagnolo “camarada” significa “compagno” (gli antifranchisti della guerra di Spagna fra loro si chiamavano appunto “camarada”), faccio qualcosa di più di una brutta figura e mi qualifico, perché – nell’ambito della lingua che sto usando, vale a dire l’italiano – “camerata”, vuol dire fascista e da lì non si esce.

Se, parlando della Sardegna, sostengo che le mie posizioni sono nazional-socialiste, perché ritengo che si debba procedere verso la liberazione nazionale e sociale della Sardegna, sto esprimendo un messaggio completamente fuorviante, perché storicamente “nazional-socialista” significa nazista, ovvero una politica di potenza di uno Stato su base razziale, imperialista, guerrafondaia.

Sembra assurdo persino farli certi discorsi, eppure… In questa stessa ottica il termine “maschilismo” non vuole dire, nella lingua e nella cultura italiana e occidentale in genere (che è comunque una cultura di riferimento dominante che ci piaccia o no, che la combattiamo o meno), “difesa dei diritti dei maschi” e non può essere, in tal senso, equiparabile al “femminismo”. No. Mi dissocio totalmente da chiunque faccia tale affermazione. Lo faccio da femminista storica, da donna, da antisessista prima ancora che da coordinatrice di S’I, ma lo faccio anche in questa veste, perché “maschilismo” – che lo si voglia o meno – esprime l’assunto che l’uomo sia superiore – fisicamente, socialmente, intellettualmente – alla donna.

Nel 2014 la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha pubblicato un saggio dal titolo “Dovremmo essere tutti femministi” (in Italia edito da Einaudi) nel quale afferma che negare la parola è negare la sostanza: «Non è facile parlare di genere. È un argomento che crea disagio, a volte persino irritazione. Tanto gli uomini quanto le donne sono restii a discuterne, o si affrettano a liquidare il problema, perché pensare di cambiare lo status quo è sempre una scocciatura. C’è chi chiede: “Perché la parola “femminista”? Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani, o giù di lì?”. Perché non sarebbe onesto. Il femminismo ovviamente è legato al tema dei diritti umani, ma scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare la specificità del problema del genere. Vorrebbe dire tacere che le donne sono state escluse per secoli. Vorrebbe dire negare che il problema del genere riguarda le donne, la condizione dell’essere umano donna, e non dell’essere umano in generale».

Dietro il maschilismo non vi sono grandi elaborazioni filosofiche, anzi, esso deriva quasi completamente da un assunto dogmatico di supremazia dell’uomo sulla donna. Non esiste una storia del maschilismo mentre esiste, eccome e per fortuna, una storia del femminismo e dell’antisessismo, che è poi la lotta al patriarcato. Una storia che risale alla Rivoluzione francese (solo ufficialmente), che è prima lotta per l’affermazione dei diritti e che poi diventa lotta di liberazione, lotta di autodeterminazione, che ha attraversato diverse fasi storiche, ideologiche e culturali, tanto che stiamo vivendo la cosiddetta “quarta ondata” del movimento femminista, che ha come fondamentale caratteristica, che la contraddistingue, l’intersezionalità.

Questo concetto è stato introdotto da Kimberlé Crenshaw, giurista e attivista statunitense, un concetto  che non si occupa soltanto di donne, ma anche di tutte le persone e le comunità oppresse e emarginate. Il femminismo intersezionale propone un modello inclusivo, che non cancella gli uomini, ma all’interno del quale tutti coloro che non sono considerati “normali” da questa società capitalista, escludente, marginalizzante – dalle donne alle persone con disabilità, passando per la comunità LGBTQ+, alle persone nere e in generale a tutte le minoranze e le nazioni oppresse -, hanno lo stesso diritto a essere rappresentati.

Ora, certamente, l’Assemblea Nazionale Sarda è una delle poche realtà democratiche presenti in Sardegna e va assolutamente difesa e sostenuta, anche se commette errori. E a mio avviso, pur restando sacrosanta la libera opinione di ciascuno, all’interno di un’associazione democratica bastata sui principi dell’autodeterminazione, il concetto di “maschilismo” non dovrebbe essere lasciato alla libera interpretazione. Sarebbe, appunto, un errore, o almeno un equivoco.

Si vuole usare il termine “suprematismo” anziché quello di “maschilismo”? Va bene. Si vuole ragionare sui chiaroscuri di certo pensiero femminista? D’accordo. Non ci sono dogmi e di tutto si può discutereMa non credo si possa dire che uno spazio indipendentista o un movimento per l’autogoverno è maschilista, nel nome di una discrezionale idea di “parresìa” (la libertà di parola per gli antichi greci).

Per quanto mi riguarda dunque, rifacendomi al settimo punto dell’editoriale di esordio: “Rinuncia a riferimenti sessisti nel testo, nelle immagini o in documenti sonori”, sono stata e continuo a essere convintamente “antisessista” e quindi coerentemente non maschilista, e antimaschilista.

Sic et simpliciter

Foto de presentada: Chloe s. on Unsplash

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