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Esami di maturità: la gioventù sarda è più ignorante di quella del “resto della penisola”

Alla vigilia dell’esame di stato delle scuole secondarie di secondo grado, ossia il vecchio esame di maturità, il Ministero ha fornito i dati relativi alla prova di quest’anno. Per la Sardegna si registra, non per la prima volta, il record assoluto di non ammessi, col 7,1% di respinti, il doppio del dato medio italiano (3,5%).

Da molto tempo la Sardegna registra questo tipo di primati, non solo in relazione alla conclusione del percorso scolastico, ma anche nell’andamento degli altri cicli di istruzione. Benché tali notizie appaiano regolarmente sugli organi di informazione, non hanno mai attirato l’attenzione della politica e tutto sommato non suscitano grandi reazioni nell’opinione pubblica. È come se si desse per scontato che la gioventù sarda, di generazione in generazione, sia sempre la più tonta e la più ignorante dell’intero stato italiano. Un esito che ci meritiamo, dunque (come pensano molte persone sarde a proposito di tutte le magagne strutturali e mai risolte che ci affliggono). È un pensiero consolatorio e deresponsabilizzante, in fondo, quello della congenita inadeguatezza al mondo della nostra genia. 

Queste notizie mi fanno sempre pensare a quel che scriveva Cicitu Masala a proposito della sua (sua e della sua generazione) esperienza scolastica, in Il parroco di Arasolè:

Sono nato in un villaggio di contadini e di pastori, fra Goceano e Logudoro, nella Sardegna settentrionale e, durante la mia infanzia, ho sentito parlare e ho parlato solo in lingua sarda: in prima elementare, il maestro, un uomo severo sempre vestito di nero, ci proibì, a me e ai miei coetanei, di parlare nell’unica lingua che conoscevamo e ci obbligò a parlare in lingua italiana, la «lingua della Patria», ci disse. Fu così che, da vivaci e intelligenti che eravamo, diventammo, tutti, tonti e tristi.

C’è un nodo mai sciolto nel rapporto tra la Sardegna e la scuola italiana. Un nodo complicato, aggrovigliatosi negli anni. Limitarci a valutare solo gli esiti finali, contingenti, di una questione così stratificata non ha molto senso. Per affrontarla servirebbero studi appropriati e una consapevolezza civile e politica di uno spessore fin qui mai visto, né a livello istituzionale né a livello accademico. Come sappiamo, in realtà il tema non è affatto nell’agenda della nostra politica, a dispetto della retorica da campagna elettorale e della comunicazione istituzionale. Tant’è che manca a tutt’oggi una legge quadro regionale sulla scuola e le stesse prerogative pure offerte dallo Statuto in tale materia non sono mai state attivate. 

La scuola italiana in Sardegna resta dunque una sorta di innesto mal riuscito, che ha sì prodotto alfabetizzazione diffusa (ma rigorosamente monolingue. in italiano) e un accesso di massa all’istruzione superiore, ma al prezzo di una deprivazione culturale drammatica. Deprivazione che si configura come una vera e propria “violenza epistemica”, per usare una categoria tratta dagli studi post-coloniali (in questo caso, dalla studiosa Gayatri Chakravorty Spivak). 

La rimozione o la riduzione a istanza “identitaria” della questione linguistica, da parte dei ceti dirigenti e dell’intellighenzia sarda, ha contribuito a perpetuare tale fenomeno e a fare della scuola al contempo uno dei pochissimi fattori di possibile emancipazione sociale e una causa di subalternità collettiva. Non a caso l’esclusione delle lingue di Sardegna dagli studi curricolari è sempre andata di pari passo con l’esclusione della storia sarda. Fatte salve le eccezioni occasionali dovute alla buona volontà di qualche insegnante o alla lungimiranza di qualche dirigente scolastico (vedi il caso di Perfugas).

I problemi specifici della scuola, in Sardegna, si sommano a quelli generali, comuni a tutto il sistema dell’istruzione italiana. Una scuola vecchia sia nell’impostazione sia nel personale, sistematicamente definanziata, burocratizzata, piegata a forme di aziendalismo privatistico, ostinatamente sotto attacco della politica, che vorrebbe farne – oggi più che mai – uno strumento di controllo sociale e di indottrinamento ideologico. Il che rende ancora più urgente attivare tutte le competenze in materia concesse dal nostro statuto di autonomia e provare persino a forzarle un po’. Naturalmente, a patto che dietro un intervento del genere ci sia una preparazione adeguata, un’idea, una prospettiva, sia in termini di orizzonte ideale sia in termini strategici. È lecito dubitare che le compagini che oggi si contendono il governo della Regione Sardegna siano in grado, anche volendo, di intervenire positivamente. Ma non c’è pericolo: non ne hanno alcuna intenzione.


Immagine: orizzontescuola.it

Cumpartzi • Condividi

2 commenti

  1. Faccio un commento rivolto a questo giornale e l’associazione che lo sostiene, non verso gli autori che scrivono.

    Ok, siamo messi male, ma continuare con la litania delle cose che non funzionano (la scuola, l’occupazione militare, il settore turistico) e continuare a lamentarci dell’inadeguatezza della “classe dirigente”, non cambiera’ le cose di una virgola. Anzi, probabilmente le peggiora, perche’ rinforza la rassegnazione e l’idea che le cose miglioreranno solo quando emergera’, come per miracolo, una nuova “classe dirigente” (termine gia’ di per se’ molto problematico).

    Sarebbe utile invece vedere delle proposte e usare questo giornale e associazione per promuovere interventi e iniziative attuabili domani e “dal basso” (per es. attraverso associazionismo, piccola impresa, ecc.).

    La scuola non funziona certo. Questa associazione potrebbe mettere insieme genitori, insegnanti, esperti, e cercare di creare proposte e idee che altri genitori e insegnanti potrebbero adottare, domani, e senza aspettare la Regione, il ministero, o la presa del palazzo.

    Si accenna per esempio alla scuola di Perfugas, ma e’ difficilissimo per una persona interessata trovare informazioni riguardo questo esempio e che risultati abbia ottenuto. Come pretendiamo che la situazione cambi in questo modo?

  2. Oliver, capisco il senso e l’intenzione del tuo commento, ma credo che la critica sia mal indirizzata.

    ANS e, per la sua parte, S’Indipendente (che è una testata di informazione e opinione) hanno un ruolo propositivo e proattivo, non solo nei loro scopi sociali ma anche di fatto.

    S’I ha una sua collocazione specifica e, in questa, ha una parte rilevante proprio la critica al potere e la segnalazione dei problemi, da un certo punto di vista e nell’ottica della crescita democratica della Sardegna. Non gli si può chiedere di fare altro.

    ANS, per quanto la riguarda, è già un pezzo avanti nella realizzazione di azioni concrete di varia natura e vario respiro, da sola o in collaborazione con altri soggetti, privati e pubblici, collettivi o individuali. Non è un partito, dunque non ha tra i suoi obiettivi quello di concorrere all’amministrazione della cosa pubblica, ma può e deve concorrere ad accrescere la coscienza civile delle persone e incentivare la partecipazione attiva alla sfera pubblica. Che non è solo quella istituzionale – su questo concordo con te – ma anche quella che parte dal basso, dalle comunità, dalle iniziative autonome.

    In una realtà culturalmente degradata, anagraficamente vecchia, demograficamente povera e economicamente debole come quella sarda non è affatto facile.

    I problemi della scuola, nello specifico, sono di origine strettamente politica e sono ascrivibili a una grave responsabilità dello Stato centrale e poi della politica sarda. S’I può giusto segnalare il problema e analizzarne cause e possibili risposte. ANS fa già qualcosa di più. Per esempio, ha collaborato proprio con l’istituto comprensivo di Perfugas. I risultati ottenuti da quest’ultimo sono stati resi noti, anche sugli organi di stampa. Magari si potrebbe dare loro un risalto maggiore (o almeno renderli più facilmente recuperabili).

    ANS in ogni caso è un’organizzazione aperta. Ogni contributo è il benvenuto.

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