
Apagón, prove tecniche di transizione
Ancora si dovrà attendere, forse anche per mesi, per conoscere le cause precise dell’Apagón, il black out spagnolo.
Appare invece sempre più scontato che l’infrastruttura elettrica è collassata perché non in grado di sopperire ad un improvviso disallineamento tra domanda e offerta.
Guarda caso si tratta di un problema denunciato da tempo da chi si occupa del tema della transizione energetica poiché al progressivo incremento di potenza rinnovabile installata non è corrisposto un equivalente adeguamento dell’infrastruttura elettrica in termini di potenziamento, ammodernamento della rete e realizzazione di idonei servizi ausiliari – impianti cioè in grado di intervenire prontamente, nel giro anche di pochi millisecondi, nel caso di improvvise riduzioni della produzione rinnovabile o variazioni della domanda elettrica per allineare fabbisogno e produzione elettrici e per mantenere la stabilità e la sicurezza della rete.
Per questo lo sviluppo delle rinnovabili deve procedere gradualmente e con una scelta accurata del del mix energetico e in parallelo con lo sviluppo dell’infrastruttura elettrica. Ma poiché nella generalità dei paesi, e tra questi l’Italia, il sistema elettrico è stato privatizzato e gli investimenti per il suo adeguamento richiedono cifre importanti, la strada seguita è stata la stessa delle autostrade, preferendo investire solo nei settori e nelle aree geografiche dove i profitti sono garantiti e promuovendo quindi quasi esclusivamente l’installazione di nuova potenza rinnovabile per accontentare gli amici di merende.
E così, a supporto delle rinnovabili, per compensare le loro inevitabili variazioni di produzione, e garantire la stabilità della rete, abbiamo attualmente le centrali termoelettriche a fossile più o meno flessibili, un po’ di idroelettrico e alcuni accumuli chimici, con questi ultimi però che, seppure in previsione andranno ad aumentare sempre più in termini di potenza, hanno capacità di stoccaggio piuttosto limitata e non superiore ad alcune ore, quindi non in grado di sostituire completamente le centrali termoelettriche in caso di funzionamento prolungato. Con la rete invece si è ancora più indietro e basta anche una breve ricerca in internet per trovare numerosi articoli contenenti gli inascoltati allarmi lanciati sulla necessità, in Europa e nei paesi dove le rinnovabili sono più sviluppate, di un loro indispensabile adeguamento.
Ovviamente questa situazione in Sardegna, diversi comitati, organizzazioni sindacali di base e alcune (poche) organizzazioni ambientaliste, la denunciamo da anni, e la stessa Todde quando ancora aveva incarichi ministeriali puntò il dito sull’inadeguatezza della nostra infrastruttura elettrica e il pericolo che in questo modo le rinnovabili finissero a esclusivo servizio degli speculatori. Ma figuriamoci se la stampa nostrana e in particolare quella di sinistra o che dir si voglia progressista, e da ultima il programma Presa diretta, ha mai dato spazio a questo argomento, tutta presa com’è verso la transizione senza sé e senza ma. Bisogna invece riconoscere che la stampa più allineata a destra spazio ne ha concesso, permettendo di far conoscere al grande pubblico la terribile speculazione in corso, ma sovente il solo intento è stato di criminalizzare le rinnovabili per continuare a promuovere il fossile.
Ecco quindi che oggi nell’isola ci troviamo con cinque, dico cinque!, centrali termoelettriche – di cui quattro a combustibile fossile e una a biocombustible di importazione – che ricevono generosi emolumenti per svolgere il servizio ausiliare. La rete elettrica di media e bassa tensione versa in pessime condizioni, però, non è chiaro per quale ragione, ci apprestiamo a rinforzare i nostri collegamenti col Continente attraverso le nuove reti ad alta tensione e, con grande gioia della destra, della pseudo sinistra e dei sindacati confederali – su questo punto vanno tutti molto d’accordo – ci apprestiamo finanche a realizzare le infrastrutture per lo stoccaggio e la distribuzione del metano con relativa conversione delle vecchie centrali termoelettriche e, se il caso, pure la realizzazione di qualcuna nuova e, ovviamente, la permanenza in attività della centrale termoelettrica della Sarlux.
Di questo passo, perciò, quando accaduto in Spagna sarà destinato a ripetersi altrove, persino da noi.
Ciò che è peggio, senza piani di transizione all’altezza, saremo destinati a una devastante, insensata e inutile invasione di rinnovabili accompagnata da un equivalente incremento di centrali termoelettriche a gas (giusto per non scontentare nessuno) con costi economici, ambientali, sociali e sanitari altissimi e l’impossibilità di centrare gli obiettivi di decarbonizzazione.
Chissà se la lezione spagnola servirà ad aprire un serio dibattito sulla transizione energetica o se invece sarà solo una delle tante notizie utili a sollevare per qualche giorno gli indici di ascolto
Immagine: BBC