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L’eccidio di Iglesias e la resistenza del Sulcis-Iglesiente

Centocinque anni fa si svolsero i fatti passati alla storia come Eccidio di Iglesias.

Essi si inseriscono nella cornice più ampia della stagione degli scioperi dei minatori sardi e non solo, se consideriamo i moti cagliaritani del 1906, che iniziò già nel 1904 e che fu caratterizzata dall’avanzamento di richieste di aumenti salariali e soprattutto di miglioramento delle condizioni di lavoro all’interno delle miniere, molto spesso gestite da società non sarde.

Proprio nel 1904 a Buggerru l’esercito aveva aperto il fuoco sulla folla di minatori che si erano radunati per richiedere, tra le altre cose, l’abolizione della riduzione dell’intervallo di riposo imposto dalla direzione della miniera. I morti erano stati quattro, i feriti undici.

A Iglesias, l’8 maggio 1920, i lavoratori della miniera di Monteponi sospesero il proprio lavoro e si recarono alla Sottoprefettura della città per chiedere aumenti salariali e la fine dei razionamenti; vennero rassicurati dal sottoprefetto Farina, che garantì di farsi portavoce delle loro richieste. I minatori tornarono a lavoro, ma la direzione, per punirli, decise di detrarre dal loro salario le ore che erano state impiegate per scioperare. Dopo svariate richieste, l’11 maggio, i minatori tornarono in massa alla Sottoprefettura per chiedere al vicedirettore della miniera, l’ingegnere Andrea Binetti, che il provvedimento fosse sospeso, in modo da poter ricevere quello che spettava loro di diritto.

Il colloquio fu teso e la risposta fu negativa; Binetti venne prelevato dal suo ufficio e portato in testa al corteo di tremila persone che si mosse dentro la città a forza di urla di protesta contro la società mineraria torinese Monteponi. Il corteo, il cui intento era raggiungere la Prefettura, continuò la sua marcia sino ad un cordone di carabinieri che si era radunato per fermarlo; erano circa le 10 del mattino quando le guardie regie spararono sulla folla, tra la via Satta e la piazza Municipio.

Cinque minatori furono uccisi: Raffaele Serrau, 23 anni, Pietro Castangia, 18 anni, Emmanuele Cocco, 37 anni, Attilio Orrù, 40 anni, di Iglesias, Efisio Madeddu, 40 anni, di Villaputzu, Salvatore Melas, 50 anni, di Bonacardo, e Vittorio Collu, 18 anni, di Sarroch. Altri due, feriti gravemente, morirono pochi giorni dopo. Almeno una trentina di minatori rimasero feriti.

Il Sulcis Iglesiente è un territorio massacrato dagli effetti del ricatto occupazionale, attuato da decenni attarverso lo sfruttamento delle risorse minerarie prima e con l’installazione dell’industria metallurguca poi, in nome della modernità, del progresso e del benessere, dietro le cui facciata sono invece nascosti (o forse neanche più di tanto), un chiaro intento coloniale e di annullamento dei diritti (al lavoro e alla salute in particolare) di chi vive nei territori interessati.

Ricordare l’Eccidio di Iglesias e tutta la stagione degli scioperi minerari non significa soltanto rendere omaggio a chi ha dato la vita per lottare contro un oppressore che utilizzava un diritto fondamentale, come quello al lavoro, per sfruttare le persone, ma anche per ricordarci di quanto e come il Sulcis-Iglesiente abbia resistito e continui a resistere.

Per tutti i morti ammazzati dalle guardie regie italiane, dalla silicosi dopo anni di lavoro nelle gallerie delle miniere, dai tumori causati dalle polveri velenose prodotte a Portovesme che il maestrale sparge in tutto il territorio circostante, dai materiali tossici lasciati ogni primavera dalle esercitazioni militari. Per chi ha creduto alla promessa di benessere e oggi si ritrova senza un lavoro e senza alternative perché lo Stato di cui siamo costretti a far parte non vuole occuparsene.

Il Sulcis-Iglesiente convive quotidianamente con tutto questo, e nonostante tutto questo, resiste.

Immagine tratta da “La Provincia del Sulcis-Iglesiente” (https://www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com/2025/05/oggi-a-iglesias-ricorre-il-105-delleccidio-dei-minatori-11-maggio-1920/)

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