Siamo ancora capaci di immaginare un futuro diverso?
de Carlo Sanna
Ci sono al mondo degli esempi ai quali possiamo ispirarci? Quali esempi solleticano la vostra fantasia? Avete mai pensato a come vorreste la vostra Sardegna indipendente?
Io sì, ci penso spesso, anzi ci penso sempre. E non perché sia profondamente masochista e tragga piacere dal paragonare la nostra situazione di potenziali uomini liberi rispetto alla subalternità che viviamo tutti i giorni. Ci penso perché è più semplice visualizzare un obiettivo ispirandosi alle altrui fortune. Come da bambino guardavo Michael Jordan e immaginavo di saltare più in alto di tutti, oggi cerco avidamente speranza nelle vicissitudini di altre genti, studio ordinamenti, cerco l’illuminazione nelle vicende di altri luoghi e alla fine mi chiedo: “perché loro sì e noi no?”.
Perché noi, senza l’Italia, dovremmo colare a picco? Perché noi Sardi, senza l’elemosina – che il “Belpaese” chiede al resto del Mondo – saremmo condannati alla disperazione nera? Perché alcuni prendono sul serio questa esagerata barzelletta che non ha mai fatto ridere nessuno?
Al mondo ci sono tantissimi piccoli Paesi, simili alla Sardegna, che vivono e prosperano in totale indipendenza, hanno fruttuosi rapporti di scambio, rispettano i diritti civili e sociali e siedono al tavolo della vita portando con dignità quello che di bello hanno.
Mentre i sardi, neanche troppo lentamente, spariscono dalla faccia della terra, altri Paesi simili per caratteristiche demografiche ed economiche, ma veri Stati indipendenti, crescono e dignitosamente esistono senza dipendere da sussidi, senza dover svendere la loro terra, senza diventare paradisi fiscali, tutelando l’ambiente e rispettando i lavoratori.
Ci sono Paesi ben più piccoli della Sardegna che vivono e prosperano senza l’assistenzialismo italiano.
Quasi tutti i Paesi dell’ex Impero Sovietico, dopo la tragedia del Comunismo, dopo anni di dura transizione, hanno oramai risalito la china e, sebbene abbiano ancora problemi (chi al mondo non ne ha?), hanno prospettive di crescita e sviluppo che noi sardi non possiamo nemmeno immaginare.
I detrattori diranno che Malta è un paradiso fiscale, che a Cipro sono cattivi, che in Islanda c’è il gas, che in Svezia c’è cultura democratica, che in Svizzera hanno rubato l’oro dei nazisti, che in Islanda trovano pepite d’oro nelle cozze, che a Singapore speculano sulla vendita degli organi dei bambini cinesi, e altre amenità.
I detrattori, quelli contro a prescindere, sono campioni nel trovare motivi per denigrare la libertà, per stracciare i sogni altrui. Per loro, i veneti e i catalani sono troppo ricchi ed egoisti, i sardi troppo pelandroni, gli scozzesi irriconoscenti. E intanto che voi curiosate per il mondo e proponete soluzioni, loro piagnucolano e si crogiolano, evidentemente affascinati dal “parassitismo sociale” di cui muore la nostra Isola, incapaci di vedere gli abitanti della Sardegna per quello che sono realmente: esseri umani come tutti gli altri.
Malgrado le prese in giro, nonostante la sfiducia, io resto convinto che un sardo non abbia niente di meno di un cipriota, ed abbia “solo” bisogno di soluzioni pratiche.
Ecco, soluzioni. Quello che ho cercato in questi anni sono soluzioni concrete per la Sardegna. Le stesse che l’indipendentismo – anche quello politicamente dis-organizzato – non ha mai proposto ai sardi. Perché una cosa deve essere chiara anche a chi ha voglia di sognare: non esistono pasti gratis a questo mondo, nemmeno per i sardi, servono soluzioni concrete.
Sebbene sia ovvio che la Sardegna indipendente sfrutterà le proprie caratteristiche peculiari come hanno fatto tutti, è bene sapere che non c’è certezza. L’indipendenza non è una panacea, dipende e dipenderà sempre da noi, da come vorremo vedere la nostra immagina riflessa negli occhi di chi ci guarda.
Potrà essere un principio banale ma, per quanto possa valere, io sono convinto che la soluzione per noi sardi sia semplicemente immaginare una Sardegna diametralmente opposta alla Repubblica italiana.
La Repubblica italiana si fonda sul lavoro?
La Sardegna si fonderà sul diritto di non lavorare, sul diritto di immaginare la propria esistenza liberamente, oltre le tasse da pagare ad uno Stato rapace e sprecone.
L’Italia è convinta di essere una e indivisibile?
La Sardegna crederà invece nel consenso dei suoi liberi abitanti; e chi se ne frega, per esempio, se gli algheresi vorranno diventare catalani, se i gadduresi preferiranno la Corsica, o se i carlofortini vorranno restare italiani?
A chi interessa? Chi di noi si sentirebbe sminuito? In Italia esiste San Marino, perché non immaginare che una enclave catalana voglia sopravvivere in Sardegna, o che qualcuno preferisca al nostro sogno l’incubo italiano? Potranno sempre cambiare idea, noi li accoglieremo a braccia aperte.
Mi piace immaginare una Repubblica basata sull’accordo comune, sulla felicità, sul rispetto per le generazioni future, sulla tutela ambientale. Non mi interessa una unità nazionale sarda di stampo fascista, che si ispira a confini geografici e intellettuali imposti con la forza e la privazione delle minoranze.
Mi piace l’idea che i popoli sbaglino e rimedino agli errori democraticamente, senza padroni buoni.
L’Italia ha uno dei sistemi fiscali più oppressivi al mondo?
Noi Sardi risponderemo con una Sardegna che non tassa i redditi da lavoro entro i 30.000,00 € (meglio di Cipro, che si ferma a 25,000 €) e si concentra su quelli da capitale, o su quelli misti, come stanno pensando di fare molti Paesi per agevolare la crescita.
Vorrei che i sardi lavorassero per vivere, non per mantenere uno Stato di parassiti. Certo, uno Stato che tassa poco è uno Stato che spende poco, che non gioca a fare l’imprenditore coi soldi dei contribuenti, ma soprattutto è uno Stato che tende a non sprecare niente, come ci stanno insegnando i neo-zelandesi.
Questo significa che noi sardi potremmo dover fare a meno di banchi a rotelle, di bonus monopattino, di qualche lussuosa cattedrale nel deserto, come quelle di Arbatax e Ottana. Probabilmente sentiremmo la mancanza della Motorizzazione civile italiana, del Catasto, dei Notai. Verosimilmente non potremmo permetterci che i nostri politici abbiano stipendi sopra il tenore di vita dei cittadini, dovremmo rinunciare ai manager pubblici, alle partecipate. L’Alitalia e la Tirrenia sarebbero costrette a lavorare e produrre seriamente senza allungare gli artigli sui nostri soldi. Plausibilmente i nostri dipendenti pubblici dovrebbero cominciare a dare qualche servizio agli imprenditori anche lavorando da casa, dovrebbero imparare ad usare la tecnologia, a lavorare in orari compatibili con gli utenti.
Insomma, per essere indipendenti ci servirebbe fare esattamente quello che la cattivissima Europa, l’OCSE e tutti gli analisti del globo suggeriscono e che alcuni sovranisti confusi chiamano “austerity”, “diktat”.
Insomma, bisognerebbe iniziare ad essere delle persone serie per davvero, “frugali”, come oggi piace dire a quelli che vivono e governano in Italia.
Ma soprattutto dovremmo credere nei nostri giovani, nella loro capacità di immaginare e costruire una Sardegna diversa, dove il posto pubblico e la carriera militare sono opzioni poco appetibili rispetto alla possibilità concreta e fruttuosa di costruire qualcosa per il prossimo, liberamente, senza richieste di permessi, iscrizioni in albi, marche da bollo, imposte di registro, senza passare sotto la gogna di impiegati inutili che ossequiano insulsi e costosi riti burocratici.
Un futuro dove i nostri giovani non scappano dalla loro terra, non fuggono altrove per dare forma ai propri desideri, non disprezzano la propria gente e la propria lingua, ma contribuiscono a realizzare un grande laboratorio di democrazia proprio al centro del Mediterraneo, quello che un tempo era e può tornare ad essere l’ombelico del Mondo.
Come sardi risponderemo allo statalismo italiano, al socialismo della miseria, con “il capitalismo delle emozioni” (cit. Mhuamad Yunus, “Si Può fare”).
Proviamo ad immaginare una Sardegna libera, indipendente e democratica, che rifiuta leaders e incantatori di serpenti, con un popolo responsabile, scettico rispetto alle presunte virtù dello Stato, che punta tutto sulla felicità degli individui, un popolo cosciente ed emancipato, che cammina finalmente a testa alta.
Si può sognare anche con gli occhi aperti ed i piedi ben piantati a terra, io ne ho ancora voglia e voi?
Fintzas a s’indipendentzia! Fintzas a sa Repubblica federale de Sardìnnia!
Foto de presentada: Danny Howe on Unsplash
24 gen 2021