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Speculazione energetica, il libro di Maurizio Onnis

“Ho scritto questo libro perché ho avuto bisogno di razionalizzare quanto è successo, ci è successo, negli ultimi anni”.

Mi ha colpito molto questa frase che Maurizio Onnis ha detto alla presentazione de “Il candidato”, che si è tenuta mercoledì negli spazi della Fondazione Sardegna, a Cagliari.

Ci ho riflettuto molto perché a volte do per scontato che la letteratura sia uno spazio sociale collettivo, oltre che culturale.

La narrativa è lo strumento attraverso il quale impariamo a stare nel mondo e in questo caso, perché mi è stato fatto notare, ho preso coscienza di stare partecipando alla elaborazione comunitaria di un momento che -per forza di cose- ci supererà. Non ho “solo comprato un libro”. Perché, quella contro la speculazione energetica in Sardegna, è una lotta che si combatte anche sul piano narrativo e non solo su quello giuridico e politico.
Le dinamiche di conflitto attorno alla conversione ecologica in Sardegna sono anche identitarie. Retoriche e modalità comunicative legate al senso di appartenenza hanno sempre avuto un ruolo importante. Tralasciarle impedisce di comprendere la natura del movimento sardo contro la speculazione energetica.

La presentazione del libro di Onnis è andata molto oltre il contenuto in sé. Me lo aspettavo, eppure è stato difficile stare a sentire. Stare lì con i sentimenti di rabbia, di sconforto, di impotenza contro questo tentativo di prevalere, di prendere le risorse, di occupare lo spazio, la terra.

È venuto fuori molto chiaramente il fatto che ai luoghi è strettamente legata l’identità individuale. La quale si basa, tra le altre cose, sul legame affettivo che instauriamo con uno o più contesti, su una familiarità personale profonda con ciò che quel luogo rappresenta (sul piano del concreto e dell’intangibile).

Ma non solo: ai luoghi è strettamente connessa anche l’identità collettiva, nel senso che in essi ci si riconosce anche come membri di una comunità radicata in un dato territorio con le sue specificità paesaggistiche. Che non sono solo visive, ma sono olfattive; sono sonore. E pertanto non sono valutabili con il metro dell’estetica. Per la perdita di esse non esiste una compensazione definibile.

Le alterazioni del contesto in cui ci si identifica producono conseguenze, dunque, che hanno un impatto sia sugli individui che sulle comunità. Ed è un impatto profondo, che ha a che fare con le relazioni sociali, con la percezione di sé e con la rinegoziazione dei valori collettivi.

Si è parlato di rassegnazione. E di pessimismo. Di antidoti possibili a questi due atteggiamenti.
Siamo rassegnati, va bene: ma perché lo siamo? La ragione, a mio parere, è che ci mancano gli strumenti reali per autodeterminarci. La sensazione di non poterci fare niente, a volte, per i sardi, non è immaginaria. È reale. È frutto di ragioni storiche, sociali, culturali.
Ecco perché in Sardegna si pensa per lo più a sopravvivere: ci sono interi sistemi di potere ed economici basati sull’impossibilità del popolo sardo di scegliere, negoziare, stabilire limiti.

La gestione del territorio spesso richiede trasformazioni significative, specie quando si parla di transizione energetica. Questo fa nascere conflitti e attriti perché, per quanto vengano narrati come tali, i concetti di crescita, sviluppo e sostenibilità non sono universali.

Siamo rassegnati e pessimisti: e quindi cosa ci rimane? Ci rimane la rabbia. Che può avere un profondo senso politico. È un’emozione mediata spesso in senso culturale da molti fattori come la cultura, le condizioni sociali, l’esposizione alla discriminazione, la povertà e l’accesso al potere. Se c’è un tempo per non autoimporci il silenzio, quel tempo non è solo adesso, ma anche quando la tensione comincerà a calare per via delle lungaggini burocratiche e della politica.

Se non altro perché ci fa terribilmente incazzare, continueremo a opporci a ogni tentativo di usurpazione. Continueremo a lottare per riappropriarci il diritto di decidere, per l’autodeterminazione, per la libertà di costruire un futuro compatibile con le vocazioni del territorio. Ci metteremo di traverso a decisioni prese altrove, buone a privatizzate le risorse e a collettivizzare gli effetti negativi.

Quella de “Il candidato” è una storia senza finale perché “il finale dobbiamo ancora scriverlo, tutti assieme, senza paura di affrontare l’avversario: solo così potremo diventare padroni del nostro futuro”.
Comprare questo libro È una cosa. È qualcosa. “Perché è importante parlarne. Giusto?”.


Immagine: Federica Marrocu

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Un commento

  1. Se nella legge elettorale regionale osse contemplato anche un collegio unico, di quelli che ti consentono di esprimere il voto di opinione, Maurizio sarebbe il vincitore, ma anche così, il sindaco di Villanovaforru rimane un esempio di come si debbano affrontare le nuove sfide: tenendosi costantemente informati, studiando a fondo, informando i propri concittadini, dialogando con le istituzioni, proponendo soluzioni alternative.

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