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Speranza e Figliuolo comandano, Solinas fa da tappetino. E noi cosa faremo da grandi?

De Cristiano Sabino


Da qualche giorno il Ministro della Salute Roberto Speranza parla di un green pass (un passaporto vaccinale o, in alternativa, un certificato di negatività al Covid) per viaggiare in tutta sicurezza.
Non è un omonimo, è lo stesso ministro che lo scorso giugno ha imposto alla Sardegna di aprire le porte a tutti, compresi coloro i quali provenivano da regioni ad altissimo contagio in cui si falsificavano i dati per abbassare l’indice RT.

Al netto di tutte le giuste e concrete critiche che si possono e si devono fare al governatore Solinas, non si capisce perché un “passaporto Covid” (con il vaccino o con un test attestante la negatività) possa andare bene tra Stati e invece non vada bene tra Regioni di uno stesso Stato.
Dall’inizio della pandemia è stato ripetuto fino alla nausea che i virus non conoscono frontiere e non conoscono le dinamiche geopolitiche. E ci è stato detto e ridetto che la salute viene prima di tutto, addirittura prima delle garanzie costituzionali che sono infatti state messe in soffitta da più di un anno, confinando milioni di persone in casa, imponendo leggi di guerra assolutamente ingiustificate in diversi contesti, come per esempio il coprifuoco in aree non metropolitane e a bassa densità demografica.

Va anche detto che la chiusura delle attività crea un crescente divario tra zone industrializzate e zone non industrializzate o deindustrializzate dello Stato, perché – e questo è sicuramente un altro aspetto paradossale delle strategie di coping anti Covid – mentre il tessuto produttivo di un’area industrializzata non conosce arresti, il tessuto economico delle aree scarsamente industrializzate è ormai paralizzato da un anno.
I danni economici, sociali e anche psicologici sui sardi sono incalcolabili e gli effetti di contenimento del virus assai discutibili, se non evidentemente nulli, visto che poi ogni volta che la Sardegna sta per uscire dall’incubo, lo Stato centrale ci impone scelte che favoriscono il ritorno del contagio, in nome del “diritto alla mobilità” e della medesima Costituzione che i DPCM hanno ampiamente archiviato.

Di fronte a questo ci sono sostanzialmente due approcci:

bacchettoni: incolpano la gente, giudicano le persone per i comportamenti tenuti durante la zona bianca definiti “bagordi”, lanciano feroci strali contro i giovani – tacciati di essere praticamente gli untori moderni, – rimpiangono Conte, si fanno andare bene Draghi, in generale sono devoti al centralismo e si rifugiano nei principi costituzionali (come visto a targhe alterne!) come atto di fede, anche quando questi condannano da un anno la Sardegna a successive ondate di contagi che potevano essere evitate imponendo a chi arriva nell’isola di fare il tampone. Recentemente molti di loro hanno ingaggiato una crociata per difendere il diritto dei nord italiani di raggiungere le loro proprietà nell’Isola.

critici. Attaccano la Giunta regionale per la pessima (e a tratti criminosa) gestione della pandemia e per l’insopportabile leggerezza con cui viene organizzato da mesi lo screening e ora la campagna vaccinale (che ci vede ultimi nel contesto dello Stato, con il paradossale stop di Pasqua), ma non vedono di buon occhio l’arroganza dello Stato centrale di cui evidenziano tutta l’ipocrisia e il piglio autoritario che ha determinato il dilagare del Covid nell’isola e il disastro sociale ed economico che poteva essere tranquillamente evitato, dando la possibilità alla Regione di filtrare gli arrivi.
Rispettano le restrizioni e non negano l’epidemia e le misure per contenerla, ma non incolpano le persone, non aggrediscono i ragazzi, non esaltano la polizia quando questa reprime e multa con piglio autoritario, non gridano “urrà” ad ogni misura restrittiva e soprattutto restano lucidi sulla consapevolezza che gran parte delle misure adottate (come la chiusura di cinema, palestre, teatri, il divieto di fare sport, l’assidua, normalizzata e capillare presenza militare nelle strade e nelle piazze, il divieto di ritrovo all’aperto se pure con i dispositivi anti Covid), non fermeranno nessun virus ma contribuiranno a creare un clima orwelliano, autocratico e poliziesco di cui molto difficilmente riusciremo a sbarazzarci.

Ne è prova la nomina del Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo a nuovo Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19. Arrivato in Sardegna, questo signore ha pensato di risolvere la penosa situazione della campagna vaccinale prospettando nientemeno che l’arrivo di «quindici militari dell’Esercito, tra medici e infermieri, per supportare la macchina regionale nella somministrazione delle dosi». Se avessimo fatto una telefonata a Cuba ce ne avrebbero dato il triplo, gratuitamente e senza metterci in riga petto fuori pancia in dentro!
La Sardegna è ostaggio da più di un anno di personaggi come questo, che si avvicendano con il rimpastare dei governi ma che lasciano del tutto inalterata la gestione subalterna e coloniale della loro colonia estiva e militare.

Nonostante le parole altisonanti e i vacui proclami, la Giunta Solinas è stata il miglior alleato dell’arroganza e della strafottenza dello Stato italiano nella gestione della pandemia, perché non ha imposto una gestione autonoma e sovrana in nome della difesa della salute dei sardi, ma ha pensato solo a nutrire le sue clientele anteponendo a tutto la moltiplicazione delle poltrone, senza rivedere in nulla le folli politiche di tagli alla sanità delle Giunte precedenti e continuando a funzionare da bancomat per la sanità privata. In particolare per quella della Qatar foundation.

La spaccatura tra critici bacchettoni è ormai insanabile e anche piuttosto trasversale rispetto alle ideologie di appartenenza. E forse è bene che sia così, come avviene in tutte le svolte epocali. Da mesi sopportiamo senza fiatare leggi di guerra, come il coprifuoco, completamente inutile ai fini del contenimento della pandemia. Accettiamo che dalle zone rosse sbarchino migliaia di persone con autocertificazioni creative (tubi rotti, iodioterapia, ecc..) ma accettiamo di non poter andare nel paese vicino a fare una passeggiata o a trovare una persona. Accettiamo che i nostri artisti, le nostre attività economiche, i nostri artigiani vadano spediti verso il fallimento, quando in regioni con contagi, terapie intensive e morti da capogiro i luoghi di lavoro non hanno chiuso neanche un giorno, incassando tutte le deroghe che i padroni e i padroncini hanno chiesto tramite Confindustria.
Credo che su questa frattura possa nascere un discorso politico nuovo, uno scatto d’orgoglio popolare e realmente sardista che faccia dell’autogoverno la sua base di lancio.

Intanto è uscita praticamente in sordina la Relazione 2020 del Cnel al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Amministrazioni pubbliche centrali e locali alle imprese e ai cittadini parla esplicitamente di “segregazione regionale” del Sud.
Un dato fra gli altri è semplicemente agghiacciante: cioè l’accentuazione del divario Nord-Sud nella speranza di vita che, mentre a livello statale continua ad essere la seconda più alta d’Europa, presenta una forbice che arriva a 10 anni se si considerano le fasce sociali più povere del Mezzogiorno, della Sicilia e della Sardegna e quelle più ricche dell’Italia settentrionale. Una tendenza che la pandemia ha solo accelerato: la spesa sanitaria pubblica pro capite, del resto, pari nella media statale a 1.838 euro annui, è molto più elevata al Nord rispetto al Sud (2.255 euro a Bolzano e 1.885 in Sardegna).

Su questo tema il 29 marzo scorso è intervenuto il presidente di Corona de Logu Maurizio Onnis, prospettando sinteticamente e con chiarezza, una possibile gestione alternativa della pandemia in regime di autogoverno, cioè come sarebbe potuta andare se a dettare l’agenda di governo non fosse stato lo Stato centrale e una classe dirigente sarda subalterna e preoccupata di dimostrare la sua fedeltà a questa o quell’altra combriccola di potere continentale.
Il post di Onnis finisce così, e l’impianto è da sottoscrivere completamente: «Ciò che avete appena letto non è frutto di un sogno ingenuo. È una storia alternativa. È come sarebbe andata se avessimo creduto in noi stessi. Naturalmente, non è mai troppo tardi. C’è sempre la possibilità di stare dalla parte giusta, di scegliere, di essere protagonisti. Sempre».

Concordo e rilancio: iniziamo a parlare di cosa faremo da grandi? Cosa proporremo ai sardi nel 2024?


Foto de presentada: Javier Allegue Barros on Unsplash

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