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Siamo uomini o caporali?

Siamo uomini o caporali? È una domanda che andrebbe posta alla politica in generale, ma ancora di più alla politica isolana. Per una serie di motivi: incapacità cronica e ripetuta di non saper porre rimedi o adeguate soluzioni ai mali sardi, attaccamento maniacale a prebende e privilegi che nell’attuale contesto risultano essere di cattivo gusto, tendenza a muoversi tramite politiche clientelari che portano a cronicizzare e peggiore i problemi già lamentati. Ultimo ma non meno importante l’attaccamento e la dipendenza da vassalli dalle direttive che giungono da Roma, in barba alla tanto pubblicizzata e strombazzata autonomia.

Perché è chiaro che la politica sarda ha zero autonomia nei confronti di quella coloniale italiana, cosi come questa non ha margini di manovra nei confronti di quella europea. Che è tecnocratica, quindi non ragiona secondo il principio della sovranità e della rappresentanza popolare, ma ragiona con algoritmi e schemi che prevaricano la società e si illudono di definire l’idea di Europa unicamente con quella di un libro mastro con colonne dare e avere, oppure di essere gli esecutori di una politica di guerra che impoverisce tutti (meno i soliti noti degli ultraricchi e delle multinazionali) e ci porta a rischio di uno scontro mondiale. Al di sotto del quale deve sottostare tutto, purché non venga messo in discussione ciò che viene deciso nella Bolla di Bruxelles.

Scrivo questo perché ho avuto modo di leggere alcuni giorni fa un paio di articoli interessanti, che correlo temporalmente e che daranno modo a tutti voi di arrivare a due conclusioni. Il primo articolo riguarda una vicenda che è stata denunciata dal primo ministro slovacco, Fico. In una dichiarazione pubblica quest’ultimo ha infatti dichiarato che “Ho ricordato ad Antonio Costa che non ho interesse a occuparmi dei pacchetti di sanzioni contro la Russia, finché non vedrò nelle conclusioni del vertice dell’UE indicazioni politiche per la Commissione Europea su come affrontare la crisi dell’industria automobilistica e i prezzi elevati dell’energia, che rendono l’economia europea assolutamente non competitiva “. Chiara la questione? Qua non si parla del fatto di parlare di dare aiuti o meno all’Ucraina (al di là della posizione che ognuno di noi può avere in merito), ma del fatto che la UE non riesce ad articolare la propria azione su più fronti. E tra l’altro le questioni sollevate riguardano aspetti ben collegati allo stesso problema di fondo.

Il conflitto alle nostre porte infatti, oltre a porre un chiaro problema bellico che potrà sconfinare e sfociare in un conflitto più ampio, ha provocato una serie di conseguenze, dal punto di vista energetico ed economico, che ancora oggi scontiamo. E non parliamo di discorsi metafisici, ma di conseguenze che si manifestano anche su bollette, rifornimenti, finanziamenti, mutui, posti di lavoro. Quindi in contesti del genere è doveroso avere un programma adeguato e di risposta, è normale e lecito chiederlo. E fa parte della contrattazione politica, sempre riguardo all’Ucraina per chi avrà da ridire sull’uscita di Fico ricorderei le uscite ad inversione a 180° di Trump da un giorno all’altro (dall’umiliazione pubblica di Zelensky alla promessa dei Tomahawk per arrivare al vertice programmato a Budapest con Putin, successivamente al quale sono poi volati gli stracci).

Il punto non sta nella posizione di Fico riguardo l’Ucraina o altre tematiche. Il punto è che guarda caso a pochi giorni di distanza, lo SMER SD (partito di Fico), viene escluso dall’S&D (il raggruppamento socialdemocratico al Parlamento Europeo), portandone alla sua esclusione il 17 Ottobre, appena un giorno dopo quelle dichiarazioni. Ora, parlare di sinistra al PSE e alla sua alleanza S&D fa sorridere, visto che c’è un appiattimento verso posizioni massimaliste-atlantiste che nella situazione attuale europea, significano solo “signorsi” nei confronti del Dominus d’Oltreoceano. Non abbiamo deterrenza militare né nucleare e per di più quella economica che potevamo vantare la stiamo giocando sull’altare dell’appiattimento geopolitico appena citato, che ci porta a bruciare mercati, collegamenti e competitività, a subire dazi e ad acquistare armi e combustibili al prezzo triplo rispetto alla situazione pre-2022. Negli anni 70 Willy Brandt non aveva paura a parlare di Ostpolitik e ora il massimo che abbiamo dalla cosiddetta “sinistra” nostrana è di fare due manifestazioni contro Gaza, salvo poi rigirare la faccia dall’altra parte non appena la tregua concordata viene rotta.

Non abbiamo una autonomia né a livello statale (e questo vale per la destra come per la sinistra, che si genuflettono al ritmo di “ce lo chiede l’Europa”), né tantomeno a livello regionale, dove su tutto l’arco politico, da un estremo all’altro grava il peso delle imposizioni romane, dalle politiche di ampio respiro, alla designazione dell’addetto stampa fino al vice incollatore di francobolli di fantozziana memoria. Ed ecco che mentre si parla e si blatera di prese di posizione contro la guerra, contro le servitù militari e contro l’industria della morte, anche in Sardegna si va ad organizzare eventi con ospedali a bordo di navi da guerra (link) o a non opporsi agli ampliamenti di fabbriche della morte come la RWM di Domusnovas, laddove di producono bombe e droni assassini che troverebbero impiego in Medio Oriente, dallo Yemen a Gaza (https://sardegnanotizie24.it/domusnovas-israele-crescono-i-sospetti-sulle-forniture-di-armi-della-rwm-destinate-al-massacro-di-gaza/)(https://osservatorionomilscuola.com/2025/10/22/domusnovas-manifestazione-rwm-fabbrica-bombe-droni-guerra/), quella Gaza per la quale lo stesso schieramento politico che regge la nostra Regione, ha manifestato il 03 Ottobre. Quando si dice la coerenza.

Non che nel campo autonomista storicamente si sia prodotto qualcosa: i grandi proclami di guerra spesso si trasmutano in tediosi adagi non appena la sagoma della poltrona o la carta certificante l’istituzione della proverbiale prebenda ammansiscono gli ego di chi guida tali soggetti politici. Guardatevi le ultime giunte regionali, osservatene i partiti che le componevano e capirete quali sono gli esempi da non seguire. Quindi, il cambiamento deve partire dal basso, dalla nostra idea etnica, nazionale e statutaria. È un percorso lungo, tortuoso, che non deve mirare subito a Cagliari, ma partire dai piccoli incarichi locali, dal creare un’idea, un’autostima nell’autogestione, nel dimostrare che il Sardo sa e può fare. In autonomia, capace di confrontarsi ma anche di tenere la posizione quando gli interessi nostrani vengono minacciati. Perché nel mondo di oggi siamo il famoso vaso di coccio tra tanti vasi di ferro. Che ci consideriamo UE, Italia o soprattutto, Sardegna.


Immagine: imdb.com

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