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Cuncàmbias, il contraccambio mancato tra politica e cultura

Il festival Cuncàmbias quest’anno non ci sarà. La kermesse estiva di San Sperate, dopo vent’anni, sospende la sua programmazione. Ne dà notizia ANTAS teatro, l’associazione culturale che ha ideato e realizzato il festival fin dalla sua prima edizione. In una lettera aperta, rilanciata su vari canali, gli organizzatori chiariscono le proprie ragioni e chiamano in causa l’amministrazione comunale di San Sperate. Non è una notizia di poco peso e nemmeno di dimensione prettamente locale.

Cuncàmbias è un evento singolare nel panorama, pure affollato, dei festival organizzati in Sardegna. La sua anima schiettamente popolare, il suo innervarsi nella comunità ospitante, la sapiente mescolanza tra letteratura, musica, teatro, arte e socializzazione spontanea, l’incontro tra il livello internazionale e quello locale e la qualità mediamente alta della sua offerta ne hanno decretato il successo nel tempo. Difficile trovare termini di paragone.

Cuncàmbias, per chi lo ha frequentato, in qualsiasi veste (e stiamo parlando di un numero impressionante di persone, sarde e non), è sempre stata un’esperienza gratificante e coinvolgente, più che la partecipazione a un evento culturale fine a se stesso. Ha giocato un ruolo la sede, in quartiere di San Giovanni, in quel San Sperate già animato dalla presenza di Pinuccio Sciola e di tante esperienze artistiche che ne hanno fatto una tappa della propria attività. Ma grande merito va riconosciuto al gruppo di ANTAS Teatro e a chi con esso ha collaborato. Un lavoro complesso e faticoso svolto sempre in modo autonomo e autogestito, al servizio della comunità ospitante e di quella ospite, prima, durante e dopo i giorni del festival. 

Perdere Cuncàmbias, sia pure (auspicabilmente) per una stagione, è doloroso. Sia per il fatto in sé, sia per ciò che questa decisione implica. 

La politica, in Sardegna, anche a livello locale, da sempre guarda al mondo culturale con sospetto, a meno che non riesca ad asservirlo a meccanismi clientelari e non ne tragga un vantaggio diretto. Il paradosso di San Sperate è che da un lato il paese continua a rappresentarsi come una realtà culturalmente attiva e anche simbolicamente di primo piano, da un altro fa poco o niente per sostenere nei fatti questa sorta di mitologia positiva. Non è solo un fatto di finanziamenti esigui e sempre difficili da ottenere. Tema sul quale va fatta chiarezza. La cultura ha un valore che oltrepassa il discorso meramente economico.

Ma anche dal punto di vista economico ha un suo impatto non trascurabile. Certo, non sempre immediato e/o facilmente misurabile. Tuttavia negli anni sono stati fatti degli studi (non in Sardegna) il cui esito è abbastanza chiaro: le attività culturali sono (anche) un moltiplicatore economico. Sono le istituzioni pubbliche a doversi far carico di investire nel settore della cultura. Non come orpello propagandistico o come fonte di consenso elettorale, ma come bene comune da coltivare nell’interesse generale. Investire significa non solo erogare finanziamenti più o meno puntuali (di solito meno) per questo o quel soggetto. Significa anche e forse soprattutto creare le condizioni, le infrastrutture e il contesto in cui le attività culturali possano svolgersi. Vale a San Sperate, come vale in tutti i comuni, grandi o piccoli, dell’isola. Tenendo conto che la Sardegna è una realtà peculiare, da questo punto di vista. Gode infatti di una ricchezza di produzione e di una ampiezza di condivisione culturale non proprio comuni, in ambito italiano. La sua varietà, la diffusione sul territorio, le sue punte di qualità in tanti ambiti non hanno nulla di ordinario. Dobbiamo averne coscienza. 

La sospensione di Cuncàmbias deve portare a riflettere su tutto questo e deve sollecitare un’assunzione di responsabilità non ambigua e non condizionata da parte della politica, a tutti i livelli. La compagine che si appresta ad assumere il governo della Regione Sardegna dovrà dare segnali precisi anche su questi aspetti, né più né meno dell’amministrazione locale, chiamata direttamente in causa e obbligata a non far finta di nulla. Attendiamo le risposte.


Comunicato stampa

Lettera aperta di ANTAS Teatro

Care amiche, cari amici,

dopo aver a lungo riflettuto, soppesato con molta attenzione i pro e i contro, discusso tra noi per ore, aver valutato per settimane tutte le possibilità a nostra disposizione, siamo arrivati a questa conclusione: Cuncambias, quest’anno, non si farà.

Le ragioni, come sempre in questi casi, sono molteplici. La maniera più diplomatica per comunicarvi il perché, sarebbe quella di dire che, dopo vent’anni di Festival, dopo aver messo a disposizione di tutti e tutte il nostro entusiasmo, le nostre capacità, il nostro lavoro, il nostro essere partecipi della comunità, il nostro senso di responsabilità rispetto a ciò che per tanti e tante Cuncambias significa e ha sempre significato, sentiamo l’esigenza di fermarci un po’, di riflettere su ciò che è stato e su ciò che sarà. 

Ma questo è vero solo in parte.

Perché la questione di fondo, il convitato di pietra della nostra scelta, è il rapporto che Cuncambias ha, praticamente dalla sua nascita (certo, con distinguo), con le istituzioni che sono deputate a interagire, sostenere e finanziare progetti come il nostro. Regioni, Province (quando avevano un ruolo) e, soprattutto, Comune. Il nostro Comune, quello di San Sperate.

Un Comune che, a nostro avviso, non ha mai sostenuto a dovere Cuncambias, non ha mai davvero creduto in un progetto aperto, inclusivo e ricchissimo di proposte come il nostro: da Vinicio Capossela a Stefano Benni, ricordiamo, passando per l’amica Michela Murgia, tante volte con noi, sino ad artisti come Teresa De Sio, Gianmaria Testa, Paolo Nani o Marco Baliani, per un totale di centinaia di appuntamenti in vent’anni; in pratica, lo stato dell’arte dell’attuale produzione culturale isolana. 

Ancora di più, un progetto di Festival attentissimo alle esigenze del paese, in tanti di quei modi che non avrebbe senso stare a elencarli. 

Tirando le somme, pensiamo che il sostegno e l’intervento economico del nostro Comune sia stato, anche quest’ultimo anno, per l’ennesima volta, irrisorio e quasi offensivo, a fronte di ciò che Cuncambias rappresenta e offre. 

Così ci piacerebbe dire che Cuncambias è cresciuto con il paese, ma sentiamo che, se così è stato in passato, per certi versi, oggi non è più. 

Ci sarebbe piaciuto dire (e sentirci dire, anche dai nostri rappresentanti pubblici) che Cuncambias incarna alla perfezione lo spirito comunitario che caratterizza da tanto tempo San Sperate, il Paese Museo degli anni Settanta, San Sperate che ora – ci sembra – rischia di diventare solo Museo, non più Paese. 

Ci piacerebbe dire, infine, che Cuncambias rappresenta come poco altro la vocazione culturale del paese, di cui da molti anni si fa racconto, ma ci sembra che a quel racconto non corrisponda un appropriato investimento da parte di chi è chiamato a fare delle scelte (e, per una volta, lasciamo stare la metafora della coperta che è sempre troppo corta: un’amministrazione ha il compito di fare delle scelte, punto). 

Tant’è che ci domandiamo, e vi domandiamo: ora che finisce l’esperienza di Cuncambias, dopo che altre importanti esperienze culturali del paese hanno già sospeso o spostato le proprie attività, cosa rimane della vocazione culturale, popolare e comunitaria di San Sperate? 

Con questa domanda, vi salutiamo per un po’. 

Un grande abbraccio a tutti e tutte.

Antas Teatro


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