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La sinistra piccola piccola che paragona Puigdemont a Bossi

De Cristiano Sabino

Chissà se fra i tanti commentatori che hanno paragonato il presidente catalano Puigdemont a Umberto Bossi, e il variegato movimento per l’autodeterminazione della Catalogna a istanze di destra, sovraniste, leghiste – insomma alla causa dei ricchi e dei razzisti – qualcunoè a conoscenza di chi era Lluis Companys i Jover.

Nato a Barcellona nel 1882, Companys diventa leader del partito di sinistra Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), lo stesso partito in cui oggi militano diversi dirigenti catalani arrestati o costretti all’esilio. Fu presidente della Catalogna nel 1934 e durante la guerra civile spagnola.

Già, perché un’altra cosa che si dovrebbe sapere prima di fare analogie e istituire paragoni Padania-Catalogna è che quest’ultima è stata proclamata Repubblica indipendente due volte. La prima appunto da Lluis Companys i Jover il 6 ottobre del 1934, la seconda volta da Carles Puigdemont il 27 ottobre 2017 con voto del Parlamento catalano.
Il primo venne arrestato dalle autorità della Repubblica spagnola e condannato a 30 anni di carcere, poi nel 1936 tornò alla guida del Governo della Catalogna, fino al 1939, quando fuggì in Francia dopo la vittoria dei franchisti nella guerra civile. Companys venne catturato a Perpignan dalla polizia segreta nazista con la collaborazione dell’Ambasciata francese, portato in Spagna e fucilato dai militari franchisti all’alba del 15 ottobre 1940, nel fossato di Santa Eulàlia del castello di Montjuïc.
Il secondo, dopo il commissariamento della comunità autonoma catalana e lo scioglimento del Parlamento, riuscì a fuggire in Belgio, mentre molti ministri e dirigenti delle associazioni culturali e politiche che avevano sostenuto il referendum del 1 ottobre, venivano arrestati.

Chissà se i nostri lucidi e informatissimi commentatori sanno inoltre che alle elezioni per il rinnovo del parlamento della Catalogna dello scorso febbraio, in piena emergenza pandemica, gli indipendentisti catalani hanno raggiunto e superato il 50% dei consensi. Ma, soprattutto, chissà se gli intellettuali di sinistra che hanno liquidato la questione catalana come un fenomeno di pochi ricchi eversori di destra sono al corrente che il primo partito è risultato appunto la sinistra repubblicana ERC (sì, lo stesso partito di Companys) e che la sinistra radicale della CUP (anti capitalista, femminista, ecologista e anti NATO) ha raggiunto il 6.6%. Insomma, gli indipendentisti sono al 51% e la maggioranza assoluta è composta da sinistra repubblicana socialdemocratica e sinistra radicale anticapitalista, femminista e antiatlantista.

Di fronte a questi dati, facilmente reperibili anche su siti di lingua italiana (anche per chi non sa il catalano, lo spagnolo o l’inglese), letture come quelle su RollingStone di Steven Forti risultano praticamente pensierini di un marziano appena disceso sulla terra:
«Puigdemont non è Mandela, il suo partito (Junts per Catalunya) non è di sinistra e la Catalogna non è la Palestina. Se proprio dovessimo cercare dei paragoni e delle definizioni, il leader indipendentista catalano, fuggito in Belgio dopo la fallita dichiarazione unilaterale di indipendenza dell’ottobre 2017, è piuttosto una specie di Bossi post-moderno; Junts per Catalunya (JxCAT) è un’accozzaglia nazionalpopulista con molte analogie con la nuova ultradestra europea; e la Catalogna non è un popolo oppresso, ma un esempio di quella che Gianfranco Viesti ha chiamato “la secessione dei ricchi”»

Inutile dire che la rivista è il punto di vista di quella sinistra che ha tanto a cuore la democrazia in Venezuela, a Cuba, le minoranze degli Uiguri in Cina, naturalmente l’autodeterminazione del Tibet, del Kossovo e via discorrendo.
Ovviamente anche in Sardegna non è mancato l’indice puntato dei maître-à-penser della “sinistra” cittadina del mondo, favorevole all’«autodeterminazione dei popoli, quelli oppressi però. Non quelli con il PIL più alto che vogliono mollare lo Stato in cui sono solo per essere ancora più ricchi».

A pensarla così è per esempio la giornalista Claudia Sarritzu sulla sua pagina fb. Nello stesso post, la Sarritzu ha dichiarato di non essere affatto dispiaciuta per l’arresto del presidente catalano e poi ha concluso sentenziando che «Alghero non è Catalogna. Alghero è Sardegna e la Sardegna è Italia e l’Italia è Europa. Che ci piaccia o no», tradendo – senza forse accorgersene – la sua dichiarata empatia per i popoli oppressi che dovrebbero godere del diritto all’autodeterminazione, visto che il PIL della Sardegna non risulta stratosferico e i sardi non potrebbero evidentemente essere accusati di essere «egoisti» come appunto i catalani.                          

Non ha fatto mancare la sua opinione lo scrittore Marcello Fois il quale, criticando il Governatore della Regione Autonoma della Sardegna Solinas, si è spinto a paragonare il presidente catalano in esilio a Bossi, chiamandolo proprio il «nostro Puigdemont nazionale» per poi dilungarsi in una difesa a spada tratta del «tema fondamentale come quello dell’inviolabilità dell’unità nazionale» (Marcello Fois, Nuova Sardegna, 26 settembre). Evidentemente per la “sinistra” rappresentata da Fois i temi fondamentali non sono più la giustizia sociale, la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli, ma l’esaltazione metafisica della sacra intoccabilità degli Stati, anche se queste sono monarchie condannate da Amnesty International e da altre associazioni umanitarie per le reiterate violenze contro cittadini inermi, artisti ed oppositori politici.

Anche lo scrittore Vindice Lecis, nonché candidato alle scorse elezioni regionali alla carica di governatore con la coalizione sostenuta da Rifondazione-Comunisti italiani-Sinistra sarda, ha pubblicato sui suoi profili social un post al vetriolo dove definisce Puigdemont «un liberista, un uomo di destra, autoritario, con imbarazzanti legami europei» per poi prendersela con «la miseria, l’incultura e la spregiudicatezza del mondo cosiddetto indipendentista».

Poi c’è la palude di chi invece non si è espresso, di tutti quei democratici tifosi dei diritti umani, della democrazia, dei diritti civili ai quattro angoli del mondo che evidentemente hanno ritenuto normale che un leader democratico la cui colpa è quella di aver indetto un Referendum con l’appoggio del suo Parlamento e della maggioranza della società civile catalana, possa essere trattato come un terrorista o un bandito.

Forse questo silenzio è anche più indegno dei mediocri ragionamenti di chi invece si è espresso dimostrando di avere una visione provinciale e meschina della realtà e di non conoscere le fondamenta basilari di quanto avviene in Catalogna (e in altre parti della monarchia spagnola) da cento anni a questa parte.

Come disse quel tale, “un bel tacer non fu mai scritto”…

Foto: ansa.it

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