Il Potere, is pisciatinteris e sa giustìtzia allena – S’Imprenta: rassegna stampa della colonia

de Ivan Monni

Sta suscitando scalpore l’uscita del libro di Giovanni Seu, una biografia (in realtà inchiesta) non autorizzata su Antonangelo Liori, direttore dell’Unione Sarda ai tempi del berlusconismo rampante, dello sgarbismo post mani pulite e dell’ascesa di Grauso nella politica sarda. 

Biolchini approfitta della questione per porre una domanda: perché il giornalismo Sardo non fa le pulci al potere? Domanda sacrosanta.

Nell’attaccare il silenzio stampa sul potere, Biolchini assolve L’indip, Sardiniapost, (ma neanche loro hanno pubblicato su Antonello Cabras, F2i, Fondazione di Sardegna, sulla questione aeroporti) e qualche altro su Facebook. Generalizzazione che ha fatto storcere il naso a Mario Guerini, giornalista che le domande le pone. 

Liori, dai social, rivendica il fatto che se la magistratura dovesse, un giorno, revisionare le sue condanne, del libro non rimarrebbe che la sua inutilità.
Ma fare la cronaca storica, nei giornali o nei libri, è fondamentale, su questo Biolchini ha ragione. Liori è un personaggio pubblico che con il potere ha avuto a che fare. Peraltro continua a sparare veleno sugli studenti in tenda, contro i comunisti e contro Seu, chiedendo però il silenzio, proprio lui, che sugli attacchi personali non ha mai risparmiato un colpo. 

Se da un lato la storia di un personaggio non la fanno i magistrati, d’altro canto la magistratura influenza profondamente il processo democratico. 

Ad esempio, Solinas va attaccato perché ha sprecato un’occasione d’oro, come la sprecò a suo tempo Mario Melis: entrambi non hanno fatto nulla di “sardista”. Scuola sarda, lingua, revisione dello statuto, contrasto alle esercitazioni e alle basi, e così via. 

Che succederebbe se, per questioni giudiziarie, Solinas rinunciasse, o “venisse rinunciato” alla seconda candidatura e, poi, in futuro, venisse assolto perché il fatto non sussiste? È già successo ad altri, in passato. 

Sarebbe un’evidente alterazione del processo democratico e quindi della storia, al di là delle singole, e legittime, ambizioni personali. 

I processi politici in Italia esistono eccome. Pensate a come hanno lasciato morire l’ultrasettantenne Doddore Meloni, sbattuto in cella, morto senza neanche avergli concesso l’estrema unzione, al 41 bis punitivo, arbitrariamente assegnato a Cospito, al processo Arcadia.
La via giudiziaria è quella più sbrigativa, in prigione senza passare dal via e i nemici politici sono sistemati.

La magistratura italiana in Sardegna molto spesso ha processato il dissenso per irretire la protesta delle forze che resistono alle basi, alle esercitazioni, alle ingiustizie sociali.
La stessa giustizia allena (o anzena, o “aliena“, in italiano rende meglio) che ha assolto i generali che hanno inquinato Quirra, o i vertici della Portovesme srl (tutti assolti).
Tutto lecito? Tutto normale?
Sembrerebbe la realtà distopica di un film di serie B, ma è tutto vero.

Manca il racconto delle storie dei giudici, le connessioni, i rapporti con gli affari e la politica. Mancano i nomi e i cognomi.

Il potere statale ha varie forme. Quella politica è solo una, e forse neanche la più pericolosa: da un lato della medaglia si chiama “potere politico“, dall’altro si chiama “rappresentanza“, corpo intermedio su cui si fondano nientemeno che le democrazie occidentali attuali.

Che succederebbe ai giornalisti che venendo a conoscenza di un’inchiesta in corso, pubblicassero informazioni non ancora notificate ai diretti interessati, come accaduto qualche giorno fa? Il diritto di cronaca prevale sul diritto degli “innocenti fino a prova contraria”, su un’accusa che si basa su una legge fascista? Il garantismo è una cosa buona solo in teoria? Chi, nella magistratura, ha passato i nomi?
La questione è vecchia, da Mani pulite in poi, ma non si è mai risolta  perché non c’è soluzione.

In Italia, una certa informazione viene tutto sommato garantita (anche lì con gli eccessi giustizialisti) proprio dalla lotta tra gruppi di potere finanziario-mediatico-politico, in cui i giornalisti di destra indagano senza esclusione di colpi sulla sinistra, e viceversa. 

In Sardegna, invece, non ci sono così tanti mezzi a disposizione. Per decenni è sopravvissuto un duopolio, o meglio, un doppio monopolio (visto che hanno aree geografiche  di influenza diverse). Nei decenni passati, addirittura Unione e Nuova finirono sotto lo stesso editore. Erano gli anni di Rovelli, della petrolchimica da ingoiare e dello scudetto. 
Nel 2004, proprio con Grauso e Il Giornale di Sardegna, si ruppe il doppio monopolio. Il GdS le inchieste le ha fatte davvero, ma quella stagione della stampa appare oggi irripetibile.  

Con i social, molte notizie vengono a galla proprio dai gruppi locali o da profili privati, nuove fonti per i giornali online. Per le inchieste servono però i professionisti, che investano risorse e abbiano spalle coperte.
Tante altre notizie, invece, non emergono e giacciono nelle coscienze degli attori in campo.

È la giustizia sarda! Non quella della Carta de Logu, che aboliva la schiavitù.
Quella allena, che impone le nuove servitù del nuovo feudalesimo.


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Immagine: sardegnacultura.itt

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