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Il vecchio e il giovane indipendentista e la questione estetica – S’Imprenta: rassegna stampa della colonia

Il dibattito in Sardegna è dominato dalla questione servitù eoliche, per cui la rassegna stampa ridotta a una serie di denunce ambientali di vario tipo. Assalto è una parola troppo blanda.
Si prospetta un secondo piano di rinascita, con una valanga di soldi, di cui pochi andranno ai sardi, speculatori installa-prendisoldi-scappa e la solita classe politica sarda prona (salvo non pochi sindaci) in pieno stile coloniale. Non più cattedrali nel deserto, ma tanti boschi di ferro.

Se da un lato produrremo meno CO2, dall’altra perderemo l’estetica dei paesaggi, dei mari, delle montagne e delle bellezze archeologiche.
L’isola selvaggia e incontaminata, favola della narrazione turistica italiota, è morta nell’epoca repubblicana.

Sgarbi dice: “Difenderemo sino in fondo il paesaggio della Sardegna dalle pale eoliche“. Difenderemo, chi? Dato che lui è dentro il governo che sta spingendo al massimo la speculazione.

Salvo rare eccezioni, le città sono poco curate. A Cagliari, ad esempio, di fianco ai palazzi dall’architettura storica, esistono i palazzoni cubici, terribili parallelepipedi degli anni della ricostruzione. Non si dà troppa cura ai dettagli negli arredi degli spazi pubblici (lampioni, piazze) e l’immondizia è dilagante. Nei paesi, le case campidanesi sono in rovina, come le domus di pietra. Domina il “non finito sardo”, ormai caratteristica tipica del nostro paesaggio.

Ci manca il senso estetico (oltre che su dinai)?
“Sardegna fatti bella”, era un vecchio slogan della giunta Soru.
Basta guardare le campagne di Selargius o le buche di Quartu, per capire che è rimasta lettera morta.
L’architetto Simon Mossa poneva l’architettura di una città al centro dell’identità di un luogo, come uno dei primi elementi visibili al viaggiatore.

Da qualche tempo l’analisi politica nel mondo dell’autodeterminazione si è incentrata sul colore dei capelli: scuri, brizzolati, bianchi o addirittura calvi.
Barbe incluse. Saggezza o energia? Esperienza o innovazione? 

L’argomento di per sé, posto come giovani/vecchi, non ha nessun senso, è un insulto prima di tutto all’intelligenza del giovane.

Si vota e si ascolta il giovane che ha pensieri interessanti da condividere, perché è capace, perché è preparato, perché è innovativo, perché ha la grinta necessaria. Ovviamente sono tutte cose che prescindono dall’età.

Esiste un problema di estetica comunicativa nel mondo dell’autodeterminazione?
Da questo punto di vista potrebbe avere più senso. È necessario innovare la comunicazione, a partire dal linguaggio politico, fino alla grafica.

L’indipendentismo ha generato parecchi modelli di lotta dentro la società, dal punto di vista della sostanza dei contenuti è stata la matrice di tante battaglie, contro le servitù di varia natura.
Tuttavia, la forma e la sostanza sono difficilmente distinguibili: in che modo si può distinguere la forma della statua del Laocoonte dalla sostanza, dato che il marmo senza la forma scalpellata sarebbe solo un pezzo di marmo?

L’incontro degli indipendentisti ad Abbasanta (vuoto mediatico, di cui incredibilmente non si parla nei giornali coloniali sardi) ha posto parecchie questioni. Il microfono era aperto, ed è dunque difficile fare una sintesi logica di quello che è venuto fuori.

C’erano i vecchi e c’erano i giovani, tra cui Sardegna chiama Sardegna, i cui 5 punti sono perfettamente compatibili con quanto è emerso nella giornata di domenica.
Qualche questione aperta potrebbe risolversi a partire da questa domanda: il brand “indipendenza” vale il 5% dei voti? 

La questione andrebbe affrontata in maniera scientifica, possibilmente misurata con gli strumenti di marketing (ma le ricerche costano) lontana dalle prese di posizione a priori.
Nel marketing, conquistare un nuovo cliente costa molto più che mantenere un cliente storico. Servono risorse economiche enormi per riuscire a bucare il duopolio e vincere il richiamo al voto-utile, che a breve diventerà martellante.

Il dibattito sull’apertura o sulla chiusura del mondo indipendentista all’esterno è surreale: il mondo indipendentista ha sempre fatto battaglie insieme al mondo autonomista, non è mai stato chiuso.

AutodetermiNatzione, ad esempio, NON si presentò come indipendentista, conteneva partiti NON indipendentisti e  candidò NON indipendentisti (Muroni e Murgia). 
Dunque i miti sugli indipendentisti che non si vogliono aprire, come sul fatto che non si vogliono unire, sono falsissimi e smentiti dalla storia: in ADN si sono uniti 8 partiti e la parola “indipendenza” non è stata nemmeno nominata.
Questi miti sono fàulas che circolano anche negli ambienti dell’autodeterminazione.
Per la cronaca, ADN prese poco più dell’1% alle regionali, la ricetta salvifica (“non nominare l’indipendentismo“) non ha portato i risultati sperati.

Il lavoro nella società si fa nei 4 anni che precedono le elezioni, in campagna elettorale è necessario serrare i ranghi cercando di attivare e motivare il nucleo esistente. 
Sempre che valga almeno il 5%.


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Meme de sa chida

Totu pigau (= “tutto preso” = emozionatissimo)


Immagine: Amelia Mutti, Il vecchio e il bambino Avvenire.it

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