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sa die de sa sardigna

Sa Die de Sa Sardigna è una ricorrenza scomoda

Detestata dalla politica, maltrattata dai mass media, osteggiata da gran parte del ceto medio istruito e poco amata nell’ambiente intellettuale e accademico, ha avuto un momento di gloria a ridosso della sua istituzione (con la legge regionale 44 del 1993), dopo di che è stata via via sempre più ridimensionata, svilita, tradita.  

Non è difficile comprenderne il motivo. I fatti rievocati con questa festività hanno una portata simbolica che travalica la sua stessa consistenza storica. Il suo senso più profondo minaccia assetti di potere e rapporti sociali consolidati, induce a riflettere sulla nostra condizione storica e sulle sue cause, espone la politica e la classe dirigente attuale a un vaglio critico a cui esse preferiscono sottrarsi. 

Negli anni, abbiamo assistito a iniziative istituzionali sempre più fiacche e disinteressate, spesso si è ricorso a diversivi curiosi, per mutare il senso della ricorrenza. Pensiamo all’idea di dedicarla ai migranti, o addirittura alla Brigata Sassari, tanto per ricordare due iniziative del centrosinistra e del centrodestra italiani. Tutto pur di non assumersi la responsabilità di riconsegnare alla popolazione sarda questa pagine importante della nostra storia e per evitare che tale riappropriazione susciti riflessioni e sussulti di consapevolezza civile e politica. 

Anche quest’anno, a livello istituzionale, il panorama è desolante. Qualche iniziativa isolata di singoli comuni e un programma delle massime istituzioni sarde che si potrebbe serenamente definire cialtronesco. A partire dalla dichiarazione del presidente Solinas, e cito testualmente: “Rievochiamo la storia con orgoglio per tenere viva la memoria del grande popolo sardo”.

Per rievocare la storia della rivoluzione sarda, delle sue premesse, delle sue conseguenze, la giunta regionale ha avuto la brillante idea di tirare in ballo l’età nuragica e il periodo giudicale, in allestimenti e iniziative che mescolano impropriamente epoche diverse, in un minestrone che minaccia di confondere ancora di più le già scarse conoscenze storiche della cittadinanza.

Un programma di celebrazioni presentato in pompa magna sul sito della RAS, ma allestito evidentemente in fretta e furia, tanto per poter dire di aver fatto qualcosa. Manca qualsiasi reale consapevolezza del significato della ricorrenza e manca soprattutto la volontà di coinvolgere realmente la popolazione. A questa lacuna sopperiscono come possono singole amministrazioni comunali, in ordine sparso, e il mondo delle associazioni.

In prima fila, ANS, l’Assemblea Natzionale Sarda, che ha per tempo preso l’iniziativa di arricchire la giornata di festa con proposte decisamente più appropriate, più vitali e più consone allo spirito della ricorrenza. In ogni caso, Sa Die, nonostante i maltrattamenti subiti e l’ostilità che la colpisce, mantiene tutto il suo fascino e il suo senso. Anzi, proprio il suo essere così indigesta all’establishment politico e culturale sardo la rende particolarmente significative e ne decreta l’urgenza. Come ogni circostanza e occasione che serva a sollecitare il senso civico, il senso di responsabilità, la partecipazione politica in un’ottica di riscatto collettivo, di autodeterminazione, di democrazia. 


Fotografia: Paradisola

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