cpr-gambiano

Basta morti, chiudiamo i CPR

de Ninni Tedesco Calvi

L’evento drammatico del suicidio del giovane gambiano nella struttura del CPR di Ponte Galeria a Roma ha riaperto la ferita della situazione insostenibile Nei CPR sparsi in Italia, di cui uno a Macomer in Sardegna. 

Quasi contemporaneamente la garante dei detenuti per la Sardegna Irene Testa (a conferma che questi Centri sono a tutti gli effetti della carceri o peggio) si è rivolta al presidente del Comitato Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa Alan Mitchell chiedendogli di visitare le strutture detentive isolane e il centro di permanenza per il rimpatrio di Macomer.
    La struttura, fino al 2014, era una casa circondariale costituita da due sezioni, una delle quali riservata ai terroristi islamici.

“Quando ho visitato il Cpr di Macomer ho rilevato come, nonostante gli importanti sforzi di gestione del direttore e del coordinatore per accogliere e accudire i trattenuti, vi siano numerose e preoccupanti criticità – sottolinea – In primis ho riscontrato la presenza di persone che, in realtà, non dovrebbero neanche trovarsi in un Cpr.

 Gli ospiti presenti al momento della mia visita, che vivono in una situazione di fatto, di detenzione, erano 38; il loro numero è destinato, a breve, a raddoppiare e ciò desta particolare preoccupazione in considerazione del fatto che il personale che opera nella struttura non risulta in numero adeguato. Le attività sono scarse e – aggiunge – tutto è lasciato alla buona volontà di chi ci lavora. L’aumento del periodo di permanenza fino a 18 mesi per persone che non hanno compiuto alcun reato, e sono trattenute in condizioni peggiori che in un carcere, è francamente inaccettabile”.
    “Agli ospiti, inoltre, non è consentito usare il cellulare – precisa – hanno a disposizione un telefono con la scheda telefonica e trattandosi, nella maggior parte dei casi di poveri o nullatenenti, non possono mettersi in contatto con le loro famiglie. Di fatto a queste persone è stato tolto tutto.
    Lasciamogli coltivare almeno gli affetti”.

Nel merito pubblichiamo il comunicato stampa della costituenda rete romana contro i CPR e alcuni documenti informativi sulla intollerabile situazione sarda tratti dai social delle Associazioni NO CPR Macomer e “Lasciateci entrare” Cagliari che si occupano sin dall’inizio di sostenere e aiutare i “detenuti” della struttura di Macomer.


Comunicato stampa:

“BASTA MORTI NEI CPR: Chiudiamo Ponte Galeria!

Il 4 febbraio, Ousmane Sylla, un ragazzo della Guinea di appena ventidue anni, si è tolto la vita in quella gabbia a cielo aperto che è il CPR di Ponte Galeria, nella periferia della nostra città.

Ousmane Sylla viveva da mesi la violenza della detenzione amministrativa: era stato recluso, a ottobre, nel CPR di Trapani e poi trasferito, a gennaio, in quello di Roma Ponte Galeria

L’ennesima morte di Stato, che si aggiunge a quella di Hossain Faisal, Aymen Mekni, Orgest Turia, Moussa Balde, Wissem Ben Abdelatif e di tutte le persone che hanno perso la vita nei CPR e negli altri luoghi istituzionali dove sono recluse le persone migranti.

Non si contano più le violenze e i soprusi in queste strutture  dell’orrore disseminate sul territorio italiano, periodicamente denunciati dalle persone recluse, che si ribellano alla violenza istituzionale del confinamento razzista.

I CPR sono luoghi di privazione della libertà personale in cui sono detenut3 i cittadin3 stranier3, perché privi di permesso di soggiorno, oppure dopo aver scontato la pena in carcere, o ancora perché considerati “finti” richiedenti asilo, detenut3 in condizioni disumane, espost3 alla violenza poliziesca e privat3 dei diritti più basilari: dal diritto alla salute a quello di comunicare con l’esterno.

La responsabilità per la morte di Ousmane Sylla e per le violenze quotidiane contro le persone recluse ricade sull’intera filiera istituzionale che gestisce i CPR: dal Governo alle Prefetture, fino alle Questure e agli enti gestori privati.

Per chiedere verità e giustizia per Ousmane Sylla, il rispetto della sua volontà di ritorno in patria del corpo, il rilascio e l’archiviazione della accuse contro i 14 solidali arrestati a Ponte Galeria, e in solidarietà con le proteste che continuano nel centro, mercoledì 7 febbraio alle 15.30 saremo in Piazza Santi Apostoli, sotto la Prefettura di Roma.

Questa sarà la prima tappa di un percorso cittadino che vuole la chiusura del CPR di Ponte Galeria, l’abrogazione di tutte le norme sulla detenzione amministrativa e la libertà di movimento per tutt3.

CHIUDIAMO IL CPR DI PONTE GALERIA, CHIUDIAMO TUTTI I CPR!

STOP CPR – COSTITUENDA RETE ROMANA CONTRO la detenzione amministrativa”

LA SITUAZIONE

  “Per quanto non sia stato spesso al centro della cronaca mediatica, il CPR di Macomer costituisce il primo esperimento a livello nazionale di conversione di una struttura penitenziaria dismessa (in quanto non rispondente ai parametri di legge previsti per la detenzione) in un centro utile alla detenzione amministrativa dei migranti. 𝐎𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨, 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐢 “𝐛𝐮𝐜𝐡𝐢 𝐧𝐞𝐫𝐢” 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐨 𝐒𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐡𝐚 𝐝𝐢𝐬𝐥𝐨𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐬𝐮𝐥 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨 𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐢𝐧 𝐟𝐮𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐝𝐞𝐭𝐞𝐫𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐭𝐚 “𝐢𝐥𝐥𝐞𝐠𝐚𝐥𝐞”.

Come emerge dai report prodotti dalle varie Reti e associazioni che si battono per la chiusura dei centri, quello di Macomer rappresenta uno dei più terribili e isolati per via dei maltrattanti che vi hanno luogo, delle carenti condizioni igienico-sanitarie in cui devono sopravvivere le persone detenute, dell’impossibilità di comunicare con l’esterno e della difficoltà a reperire notizie su quante accade al suo interno.

LE ORIGINI

“Dal gennaio 2020, a Macomer è attivo un CPR, Centro di Permanenza per il Rimpatrio. Si tratta di un luogo in cui uomini e donne stranieri vengono privati della libertà, NON A CAUSA DI REATI commessi, ma per le difficoltà nell’ottenere o rinnovare un permesso di soggiorno.

Questi centri, noti anche come CPT, CIE e oggi CPR, esistono dal 1998. Nonostante il cambio di nomi nel corso degli anni, il trattamento riservato alle persone recluse rimane invariato: sono luoghi di segregazione e violenza, dove i diritti fondamentali sono regolarmente calpestati, come testimoniano anni ed anni di esperienze documentate.

I CPR sono essenzialmente prigioni gestite da società private che, con un lauto finanziamento di denaro pubblico, operano per profitto sulla pelle delle persone detenute. Il profitto sulla gestione si traduce in pessime condizioni di reclusione, servizi di base carenti, violazioni continue della dignità e dei diritti fondamentali dei reclusi.

La comunicazione con l’esterno è fortemente limitata: telefoni sequestrati, servizi di mediazione culturale carenti, avvocati difensori che lottano per comunicare con i loro assistiti, diritto di visita negato. La violenza quotidiana dei CPR è nascosta dall’isolamento cui sono costretti i reclusi.

Con il nuovo decreto del governo, i CPR saranno gestiti dal Ministero della difesa, trasformandoli in strutture ancora più militarizzate e isolate, mentre la detenzione viene estesa fino a 18 mesi. 18 mesi di detenzione per la sola colpa di provenire dal paese sbagliato.

“Come si identifica il CPR di Macomer in Sardegna?

Sono passati quasi quattro anni dall’apertura di un CPR in Sardegna. Il centro, un ex carcere situato nella zona industriale nella periferia di Macomer, dispone di cinquanta posti, che presto raddoppieranno al concludersi dei lavori di ristrutturazione finanziati dall’attuale governo, nel quadro del potenziamento della rete dei CPR esistenti.

Amministratori regionali e locali hanno accolto con favore l’apertura del Centro per il rimpatrio sardo ritenendolo una imperdibile occasione di sviluppo per il territorio, mentre per l’area del Marghine si tratta dell’ennesima servitù statale che lascia briciole. Come sostengono le associazioni locali, “per sfamare pochi lavoratori sono imprigionate persone con la sola colpa di non essere in possesso di un documento di soggiorno, ma che combattono la stessa guerra per diritti, dignità e lavoro”.

🔸Da chi è gestito il CPR?

A partire dal gennaio 2020 il CPR di Macomer è stato gestito dal ramo italiano della multinazionale elvetica ORS e attualmente dalla cooperativa Ekene. La prima si è aggiudicata anche la gestione dei CPR di Roma e Torino 0 attualmente chiuso – ed è stata oggetto di inchieste giornalistiche che ne hanno rilevato molti lati oscuri. La seconda, a Macomer dal marzo 2022, gestisce anche quello di Gradisca d’Isonzo. Nel corso degli anni ha cambiato più volte la denominazione sociale ed è stata al centro di vicende giudiziarie legate anche all’accoglienza di migranti. Purtroppo soggetti come questi continuano a vincere gare di appalto per gestire prigioni in cui non vengono tutelati i diritti fondamentali di chi vi viene recluso. 

🔸Come ha reagito il territorio?

In seguito all’apertura del CPR sardo si è creata una rete di persone e realtà locali, buona parte delle quali confluisce nell’Assemblea No CPR Macomer, che ha promosso momenti di discussione e di informazione sulla esistenza dei CPR e di solidarietà con i detenuti del Centro.

🔸Si assiste costantemente alla criminalizzazione degli stranieri reclusi nei CPR, ma anche di chi cerca di dimostrare loro solidarietà e vicinanza. A Macomer una prima manifestazione di protesta è stata impedita e il tentativo di portare un saluto solidale dall’esterno della struttura ai detenuti ha ricevuto una risposta di tipo repressivo, con denunce nei confronti dei partecipanti, rinvii a giudizio e fogli di via da Macomer. 

🔸Quali le azioni e il ruolo dell’associazionismo locale?

LasciateCIEntrare, insieme all’Assemblea, ha cercato di monitorare con estrema difficoltà le condizioni di detenzione nel CPR. Le richieste di accesso sono state puntualmente respinte e, con la soppressione del servizio che consentiva di chiamare dall’esterno i telefoni pubblici installati negli alloggi del Centro, si è perso uno strumento utile per riportare prontamente segnalazioni su disagi, illegittimità e abusi. 

L’apertura di un’inchiesta sulla gestione del CPR di Milano e l’esposto depositato lo scorso anno sul CPR friulano dimostrano l’importanza del ruolo della società civile nel fare luce sul funzionamento di queste prigioni, che sono luoghi di strutturale privazione di diritti che non possono essere umanizzati e che devono essere chiusi al più presto.

Infine segnaliamo un’importante iniziativa e altre seguiranno per tenere viva l’attenzione sul dramma di carceri e CPR in Sardegna, ormai colonizzata da strutture carcerarie tenute in condizioni di disumanità: 

“Come Assemblea sarda No CPR, 𝐬𝐚𝐛𝐚𝐭𝐨 𝟏𝟎 𝐟𝐞𝐛𝐛𝐫𝐚𝐢𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝟐𝟏, saremo alla Baracca Rossa per la presentazione del libro “La nostalgia e la memoria” di Sante Notarnicola che, attraverso le sue poesie e opere di prosa, ha insegnato a 𝐫𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐥’𝐨𝐩𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐚 𝐥𝐨𝐭𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚̀ soprattutto quando questa viene negata attraverso la reclusione.

In tale cornice, discuteremo di come lo Stato, negli ultimi 25 anni, abbia deciso di ricorrere sistematicamente alla detenzione amministrativa nei CPR. 

Sempre più spesso questo strumento (punitivo) attraverso cui gestire la presenza di stranieri “irregolarmente presenti” sul territorio nazionale mostra la sua vera natura: LAGER in cui la dignità umana è negata e in cui sempre più spesso si muore sotto la responsabilità dello Stato.

Cumpartzi • Condividi

Lascia un commento / Cummenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha in caricamento...