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Diario di una maestrina che continua a insegnare

de Silvia Porcu

A un mese dalla sua scomparsa, ricordiamo Maria Giacobbe con un richiamo al suo primo libro: Diario di una maestrina.

Siamo a Nuoro, una bambina benestante nasce e cresce durante la fase calante della dittatura fascista, “credendosi ricca” e scordando ben presto buona parte degli agi della sua grande casa cittadina, nel dramma della persecuzione politica. Nell’adolescenza e negli studi trova presto la sua salvezza: «Io per la smania di essere indipendente e di lavorare, venivo considerata dai miei amici un’originale… Per ridere mi chiamavano la “maestrina” e mi irritavano».

Questa è la ragione quasi provocatoria del titolo Diario di una maestrina di Maria Giacobbe, che ci ha lasciato lo scorso 27 Gennaio.  Nell’impeto di una giovinezza tutta tesa all’emancipazione, l’autrice inizia a percorrere le aule scolastiche, spesso fatiscenti e gelide, attraversando le vite sgangherate e luminose dei suoi alunni.

Agli inizi della sua carriera approda in una classe di soli uomini adulti, che un suo coetaneo definisce «la feccia di Oliena». La Giacobbe coltiva un rapporto di curiosità e scoperta reciproca con gli studenti olianesi, che sfocia in un’inattesa amicizia e insieme si apprende «la capacità di capire e esprimere l’essenza delle cose». La scrittura si fa strada facendo emergere lo spirito di un’osservatrice acuta, a cui non sfugge nemmeno il serpeggiare di quel turismo ossessionato dall’esotico; scrive: «di questa affluenza di turisti gli Olianesi coscienti non sono orgogliosi. Capiscono infatti che si cerca in Oliena ciò che ormai nei paesi più fortunati la civiltà ha spazzato da molto».

L’indole intuitiva della scrittrice si esprime su più livelli: affiorano quasi naturalmente riflessioni socio-economiche, politiche, antropologiche. L’impiego di maestra errante le permette di comporre un mosaico di peregrinazioni che la porterà a Fonni, in una classe tutta al femminile, fino alla ricca e noiosa Bortigali da cui scapperà alla volta di Orgosolo, in cui resterà per tre intensissimi anni.

Il filo conduttore che unisce le sue soste è un’empatia commovente, una volontà di partecipare alla vita della comunità facendosi travolgere dalle storie di bambine e bambini a cui la povertà ha imposto desideri adulti. Il tentativo della Giacobbe di indurre gli studenti all’immaginazione, nel pieno rispetto del contesto, rende questo libro un gesto d’amore nei confronti dell’istruzione e delle sue mille sfaccettature.

È interessante l’analisi di criticità incredibilmente attuali, legate al desiderio di proporre la storia sarda anche nei centri culturali per adulti, della poesia per «ingentilire», così come l’amara constatazione che l’italiano era per i sardi una lingua straniera.  L’autrice intreccia le storie degli alunni con quella dei libri, tentando di rendere giustizia alle nostre comunità. «Orgosolo non è più l’Università del delitto. […] I loro problemi sono i miei problemi, perché questa è la mia gente».

Diario di una maestrina è un libro del 1957, con cui la Giacobbe vinse il Premio Viareggio-Opera Prima e la Palma d’oro dell’Unione Donne in Italia, fu tradotto in quindici lingue e fu solo il primo di una serie di pubblicazioni a cui la scrittrice lavorò nella sua vita trascorsa in Danimarca.

Nel 1975 aggiunse due prefazioni al testo, elaborando l’inganno del Piano di Rinascita, l’inevitabile fenomeno dell’emigrazione e l’invasione delle installazioni NATO.
Nonostante la forte presa di coscienza si lascia spazio a una chiusa fiduciosa: raccontare la forza della cultura per ribaltare il proprio destino.

Foto D.Zedda/Rainews

Foto di Copertina: Antonello Origa

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