Giornata della memoria: un valore per tutti i popoli? Intervista a Samed

de Ninni Tedesco Calvi

La manifestazione nazionale per la Palestina indetta per il 27 gennaio, in concomitanza con il “giorno della memoria”, è stata bloccata e rinviata con una circolare alle Questure da parte del Ministro dell’Interno Piantedosi, su sollecitazione delle comunità ebraiche di Roma. Qualcuno non ci sta. Il collettivo di studenti della Sapienza sostiene che “evidentemente la democrazia per i sionisti è censura e repressione” e rilancia la decisione di svolgere comunque il corteo di sabato 27. Altre piazze, tra cui probabilmente anche Cagliari, saranno disubbidienti proprio in virtù di quelle ragioni che hanno ispirato l’istituzione della giornata della memoria “in modo da conservare nel futuro la memoria di un tragico e oscuro periodo e affinché simili eventi non possano accadere mai più”. Nei mesi scorsi moltissime manifestazioni in tutto il mondo (e dunque anche in Italia e in Sardegna) hanno denunciato proprio un nuovo genocidio e la violazione totale dei diritti umani da parte di Israele, nel silenzio e talvolta con la complicità di tutto l’occidente, nei confronti del popolo Palestinese. Dunque a che serve celebrare una “memoria” se non ha valore per tutti i popoli? Ne parliamo con Samed Ismail, 26 anni, rappresentante dei Giovani Palestinesi, studente di Filosofia.


Ciao Samed

Domanda: Il 27 gennaio, come è risaputo a livello internazionale, si celebra, a partire dall’anno 2000, la “Giornata della memoria”, istituita dal Parlamento italiano per ricordare gli orrori nei campi di sterminio nazisti.
Spesso in tale ricorrenza l’attenzione e l’informazione si sono concentrate sulla Shoà, lasciando in secondo piano le altre vittime dell’olocausto e dello sterminio, come gli oppositori del regime, gli omosessuali, i pazienti psichiatrici, il popolo Rom. Certamente il numero dei morti appartenenti alla religione ebraica è stato di molto superiore al totale degli altri gruppi vittime dei nazisti, ma questo, secondo te, non pone già in qualche modo una questione di gerarchia delle vittime?

Risposta: Credo che la gerarchia delle vittime fosse voluta dai carnefici più che dagli storici. Ad ogni modo la questione della gerarchia si pone se la Shoah oscura ogni altro genocidio, solo in quanto sterminio avvenuto all’interno del dominio dell’uomo bianco, nello spazio di civiltà. Tajani ha rilasciato oggi un’affermazione tipo: “la Shoah è la tragedia più grande della storia Europea, anzi della storia del mondo”. Per i bianchi europei l’Europa è il mondo; solo in questo senso la Shoah può essere il più grande sterminio nella storia mondiale.

Domanda: Dal 7 ottobre, data dell’attacco di Hamas a Israele, che ha comportato circa 1200 vittime tra gli Israeliani e 22.000 circa tra i palestinesi, quasi tutti civili (di cui più di 9000 bambini), numeri che dimostrano una evidente sproporzione nel rapporto offesa/difesa col quale il governo israeliano tenta di giustificare l’efferatezza di un nuovo genocidio, il mondo politico occidentale ha palesemente sostenuto la reazione di Israele inviando armi (soprattutto Gran Bretagna e Stati Uniti) e difendendone le ragioni. Unica eccezione, come voci autorevoli, il segretario generale delle Nazioni Unite Guterres e il governo del Sudafrica che ha avviato alla Corte di giustizia dell’Aia una causa contro Israele ai sensi della Convenzione sul genocidio. Detto questo quale è il senso attuale del celebrare la giornata della memoria? Quale significato assume il “non dimenticare”?

Risposta: L’unica cosa che ci dobbiamo ricordare è che il nazi-fascismo è stato sconfitto con le armi e con gli eserciti, non certo con la diplomazia e la legge internazionale. Quando noi esaltiamo e cantiamo il valore della resistenza ci sentiamo dire: “sì, ma a quale prezzo?”. A quale prezzo sono stati sconfitti i nazi-fascisti? I nazisti hanno fatto un numero impressionante di vittime inermi, eppure non hanno vinto. Ugualmente i sionisti sanno benissimo che possono ammazzare quanti palestinesi vogliono, possono lasciarsi andare alla rappresaglia più sproporzionata, ma ciò non li avvicina di un millimetro alla vittoria.

Vediamo molte anime belle che, avendo sostenuto tiepidamente, se non apertamente avversato, la battaglia del “diluvio di Al-Aqsa”, ora si esaltano per il  Sud Africa. Avere questo entusiasmo smodato per un’iniziativa che, per quanto pregevole, può esistere solo perché la resistenza palestinese il 7 ottobre ha aperto una fase rivoluzionari, a parer mio denota la miopia dell’Occidente, che si ostina contro ogni evidenza a voler eleggere il diritto internazionale a metodo risolutivo dei conflitti. Questo per paura che crolli tutto il suo quadro politico e ideologico di riferimento; peccato che sia già caduto.

L’iniziativa del Sud Africa è estremamente utile, onore a loro, ma pesa quanto una piuma rispetto a quanto sta facendo la resistenza in Palestina, in Libano, in Iraq e allo straordinario Yemen, che è un vero e proprio miracolo, e invece non viene degnato né di uno sguardo né di una virgola da queste anime belle.

Domanda: Ancora una volta si assiste a una evidente distanza tra governi e popoli. In tutto il mondo, a cominciare dagli stessi stati sostenitori di Israele, milioni di persone sono scese nelle strade e continuano a manifestare il loro sostegno alla causa palestinese, in modo pacifico ma determinato. Anche in Italia si sono creati nuovi comitati ad affiancare le storiche associazioni di amicizia pro Palestina per esprimere il marcato dissenso nei confronti della politica del governo. Forse è il caso di riassumere una breve storia a partire da quando Al momento della fondazione di Israele, in parte “dovuta” come forma di risarcimento per il genocidio subito, nella brutale campagna che i palestinesi definiscono «Nakba» («catastrofe»), il nuovo Stato attuò una pulizia etnica e la distruzione di oltre cinquecento villaggi e città palestinesi, uccidendo più di diecimila persone. Quando le forze sioniste si impadronirono di oltre il 78% della Palestina storica, almeno 750.000 palestinesi, su una popolazione di 1,9 milioni, furono espulsi dalle loro case. Molti di quelli sradicati fuggirono a Gaza, triplicando la sua popolazione e trasformando la piccola striscia costiera in un colossale campo profughi. Puoi continuare a raccontare sinteticamente cosa è accaduto da allora per determinare la vicenda del 7 ottobre 2023?

Risposta: Faccio una sintesi che non piacerebbe agli storici di professione e agli accademici pedanti, ma mi permetto di partire dal 2021. Il 7 ottobre si è fatta una rivoluzione, che da una parte porta alla luce ciò che negli ultimi anni, in particolare dal 2021, era in gestazione nella coscienza politica palestinese, dall’altra proietta la questione palestinese su un piano del tutto nuovo. I palestinesi non sono mai stati pacificati, già prima del ’48 hanno sempre lottato in maniera conflittuale prima contro il colonialismo britannico e poi contro il sionismo. Dal ’67 in poi c’è stata una risalita della coscienza e dell’organizzazione politica  che ha portato alla consapevolezza della lotta armata come mezzo per la liberazione della Palestina.

Il sionismo e l’imperialismo occidentale hanno concentrato tutti i loro sforzi nella disarticolazione del movimento di liberazione palestinese, non esclusivamente sul piano militare, ma anche su quello concettuale e ideologico.
Portare i terroristi ai tavoli di pace, indurli a siglare trattari, spostare la questione dal piano politico a quello diplomatico. Dietro questo tentativo da parte israeliana e occidentale non c’è mai stata la minima onestà, alcuna volontà di pace. L’obiettivo era semplicemente quello di neutralizzare i palestinesi, la pace è stata per Israele il mezzo migliore per condurre la sua guerra di annientamento. 

Nel 2021 è emersa dopo anni di arretramento e sconfitta l’unione del popolo palestinese nelle varie compagini, soprattutto nei territori del 1948, e questo è stato cruciale a dare il via a una stagione di eroiche operazioni della resistenza: non attentati sucidi, ma ragazzi che sfidavano i coloni con le armi in mano pagando praticamente sempre con la vita. Ciò era il segno chiaro di un cambiamento morale, antropologico e politico: vogliamo lottare con le vostre stesse armi, guardandovi in faccia, senza paura di sacrificare la nostra vita.

Domanda: “Continueremo fino alla fine, fino alla vittoria, fino all’annientamento di Hamas. Lo dico di fronte al grande dolore ma anche di fronte alle pressioni internazionali. Niente ci fermerà”, ha detto Netanyahu il giorno successivo alla riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in cui 153 paesi hanno votato a favore dell’immediato cessate il fuoco tra Israele e Hamas. A fonte di tale affermazione, quale soluzione ipotizzi che sia realizzabile per porre fine a questo lungo e tragico conflitto?

Risposta: Il 7 ottobre è la sanzione del fatto che i palestinesi si sono resi conto della radicalità e dell’estremità della propria questione, e la reazione sionista e occidentale rafforza questa certezza: il diritto, in particolare quello internazionale, non ha alcun valore, non ha nessuna efficacia per risolvere la nostra questione, i diritti umani non sono diritti mani ma diritti del colonizzatore, i palestinesi non sono umani e non hanno diritti, non solo, possono subire impunemente qualsiasi abuso da parte dei detentori del diritto. Con il decadere del diritto viene a cadere qualsiasi piano di concertazione all’interno dello spazio liberal-democratico.

L’unica prospettiva emergerà dalla dialettica della lotta di liberazione nazionale e dalla forza militare e politica della resistenza.

Grazie Samed per aver risposto a questa “scomoda” intervista.


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