Hai detto “indipendentisti”? – S’Imprenta, rassegna stampa dalla colonia

de Ivan Monni

Mentre improvvisamente i politici sardi dei partiti italiani iniziano a parlare di autodeterminazione, queste settimane i quotidiani parlano degli indipendentisti, ma lo fanno da un punto di vista italianista. Cioè, nei termini di un rafforzamento di Soru contro la Todde, da cui discendono i pareri positivi o negativi.

L’indipendentismo si interroga se sia giusto o meno entrare nel campo italianista e, su un secondo livello, se sia giusto farlo con chi ha responsabilità nel passato malgoverno.
Il punto di vista da cui si osserva la situazione è fondamentale per far discendere le conclusioni, se votare convintamente, se farlo turandosi il naso, prendendo una lunga boccata d’ossigeno prima dell’entrata nella cabina elettorale, o se stare a casa.

In che stato si trova l’indipendentismo organizzato?
Pur avendo imposto nella società sarda alcune sue battaglie storiche, facendole divenire sempre più senso comune (basi militari, esercitazioni, servitù varie, scelta dei candidati dal basso, …) i movimenti organizzati sono a un punto di stasi.
Dopo il brutto finale di Autodeterminatzione, Sardi Liberi e Partito dei Sardi, partiti e movimenti non sono riusciti a fare battaglie comuni, non riuscendo ad arrivare dopo cinque anni a una sintesi di coalizione. Il problema non è l’accordo di questi ultimi mesi, ma l’incapacità di collaborare nei quattro anni precedenti. Questo è il punto.

Soru ha dalla sua il PPR, la legge sulla lingua sarda, la posizione sulla base de La Maddalena, il contenzioso contro lo stato sulle entrate. È forse l’unico che ha una visione di società sarda di medio-lungo termine. Bisogna vedere se questa visione collima, almeno in parte, con quella degli indipendentisti.
Ha strappato con il PD proprio su una questione importantissima: la scelta dei candidati a Roma. Potrebbe avere aperto una nuova prassi e messo lo stigma su alcune pratiche.

È la politica dei piccoli passi dell’autodeterminazione, con cui magari gli indipendentisti strapperanno la scuola sarda, fondamentale per la rinazionalizzazione, o la modifica della legge elettorale, o la chiusura delle basi di Teulada o Quirra.
O è la mossa della disperazione, di chi tenta il tutto per tutto dopo cinque anni di nulla.
Siccome bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno, cioè che l’indipendentismo elettorale è attualmente morto, e visto che un cadavere non muore due volte, ha deciso di attaccarsi al taxi di Soru, sperando che abbia sufficiente benzina per arrivare al 10%.
Progetto Sardegna prese il 7,86% nel 2004.

Per contro Soru ha alle spalle quasi venti anni di PD, che ha tentato di scalare inutilmente fino ad arrivare nel pantano dei giochi politici minori, che gravano come un macigno.
Rimandiamo il discorso a un post di Cristiano Sabino su Facebook, sul perché le “nuove” riforme annunciate non si sono fatte quando era al governo o con il PD.
C’è poi la questione eterna del “Papa straniero” a cui l’indipendentismo periodicamente si rivolge per presentarsi ed avere visibilità alle elezioni, che denota la mancanza di una scuola politica interna di nuove generazioni di politici e di nuove leadership.
Diverso il discorso che riguarda Sardegna chiama Sardegna, che viaggia sulla freschezza di una storia che si scriverà nei fatti, giorno per giorno, ma di cui ancora poco si sa. 

Mentre sui social è un continuo togliere punti dalla patente indipendentista, basata su parametri assolutamente soggettivi, Franciscu Sedda (A innantis) e Giulia Lai (Liberu) rivendicano la primogenitura dell’alleanza per il voto utile con gli italiani.
Sedda fa finta di non vedere che nel Campo Largo l’indipendentismo è infinitesimale, mentre nella Coalizione Sarda invece è, per ora, predominante.
A tal proposito riemerge la lettera di Sardigna Natzione che, a luglio, propose a Soru di prendere in mano la leadership per la costruzione della casa comune dei sardi: il vecchio progetto di Angelo Caria in mano a Soru.

Dopo il primo incontro, SNI si è sfilata per coerenza, e per i vincoli presenti nello statuto del movimento, che vietano l’alleanza con i partiti italiani (nella coalizione di Soru sono presenti +Europa e UPC).
Secondo Maninchedda, un sondaggio darebbe primo Soru, il centro destra secondo e Todde terza.
E così, dopo che a ogni elezione il PD ha puntato sul “voto utile” per “battere le destre“, potrebbe ritrovarsi dall’altra parte del voto “utilitaristico”.
Ovviamente nessun voto è inutile, ma se dovesse essere il PD a invocarlo, potrebbe essere un autogoal, visto che il voto al Campo Largo è ormai “inutile”.

L’indipendentismo di destra, se così vogliamo definire quello del Psd’Az, tocca il suo punto più basso con la presenza di Solinas tra le estreme destre europee, con Orban e Le Pen.
Se Solinas non dovesse essere riconfermato candidato del cdx, è facile prevedere che verrà sbranato al primo congresso, dagli stessi che oggi lo tengono in piedi.

In mezzo al guado, Milia ha temporeggiato troppo con l’outing di una candidatura e ora non  sa come chiudere la sua tournée, dato che lo spazio del terzo campo è stato occupato da Soru.
Curioso che Soru e Milia non si parlino e non organizzino una primaria a due.
Per intenderci, entrambi hanno posto il tema di una nuova Rinascita, proprio mentre la rinascita ci sta passando sopra in questo momento, con il nome di PNRR.

E qui veniamo alla questione transizione energetica, che ha ignorato completamente la redistribuzione economica.

Transizione energetica e redistribuzione economica

Una grande occasione mancata.
La questione transizione è stata analizzata sotto tanti punti di vista.
Inquinamento-Ambientale, paesaggistico-estetico, occupazionale, di politica estera, di politica energetica, ennesima servitù, atto coloniale italiano, antidemocratica nei confronti delle comunità locali.

Tutto vero tutto giusto.
Sono stati ignorati gli effetti della redistribuzione economica.
Cioè, questa enorme massa monetaria, che dovrà essere restituita dalle future generazioni, sarebbe potuta diventare una grande redistribuzione economica verso la popolazione a basso reddito e verso il ceto medio.

La Sardegna perderà, non solo la sua bellezza estetica per immolarsi ai consumi del nord, dunque ancora a favore della parte ricca. Perderà il capitale di know how di conoscenze aziendali agricole (che cederanno i terreni) e condannerà i propri figli all’emigrazione. È una politica anti-sviluppo.
La campagna selargina su cui sorgeranno le stazioni Terna per il Tyrrhenian Link è una ricca zona archeologica con storie ancora da raccontare.
Non c’è una sola ragione, un solo vantaggio che ricada sulla Sardegna e sulle fasce deboli della popolazione.

La sigla PNRR contiene la parola abusatissima, spesso a sproposito: “resilienza”.
Resilienza di chi? Della grande finanza speculativa?
Pagheremo il conto per la resilienza della grande finanza?

La politica ha preferito favorire i grandi impianti e le grosse multinazionali che, al riparo da rischi, stanno investendo con aziende a responsabilità limitata con capitali irrisori.
Scatole vuote senza responsabilità e senza obblighi futuri. Pronte ad essere chiuse dall’oggi al domani.
È la seconda “mano invisibile” di Adam Smith, in salsa statalista, che redistribuisce le esternalità negative: a loro i profitti e i contributi pubblici, a noi il futuro smaltimento delle ferraglie ed il rimborso degli stessi contributi.
Una gigantesca redistribuzione economica al contrario. Peggiore del primo Piano di Rinascita che favorì la grande industria petrolchimica e non industrializzò, con microprestiti, le piccole attività agropastorali e artigianali.


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