I media ai tempi della pandemia: la messa in scena della confusione comunicativa 

Un’analisi sull’informazione al tempo del Covid, ma nello stesso tempo una riflessione sulla pesante crisi dei media in Italia e in Sardegna. Esiste lo spazio per un mezzo di informazione che guarda la realtà dal punto di vista dei sardi? I mezzi di comunicazione storici sardi (Gruppo Unione e Nuova Sardegna) hanno sempre avuto uno sguardo italo-centrico, di cui la Sardegna è solo una folkloristica periferia. Per contro esiste un’informazione sul web e sui social, ma disorganica e parcellizzata, che guarda il mondo da un punto di vista sardo. Non è un caso, forse, che uno degli articoli più letti de S’Indipendente nel 2021 sia scritto in sardo, a dimostrazione del fatto che c’è una domanda da parte dei lettori, probabilmente finora trascurata o non abbastanza soddisfatta. Dunque non solo è necessario trovare sempre maggiore spazio, e spazio autorevole, per una corretta e onesta informazione su quanto accade nei nostri territori, utilizzando fonti e dati attendibili, ma occorre farlo usando la nostra lingua in tutte le sue articolazioni e varianti.


De Daniela Piras

In questo periodo, ciò di cui sentiamo parlare dagli studi tv e dal web ci sommerge. La nostra realtà quotidiana si distorce in seguito a contenuti standardizzati e verità opache che vengono propinate in base a uno scopo chiaro, quello di dividere la popolazione in due macrocategorie nette: i ragionevoli e gli sprovveduti.  

La pandemia causata dal Covid si rivela così un meccanismo per entrare negli animi e sviscerare le paure più nascoste dell’individuo. La paura di contrarre il virus è solo una delle conseguenze di tale martellamento mediatico. Subentra la paura del diverso, dell’altro, accompagnata dall’impossibilità di avere un confronto civile e costruttivo, dalla necessità di trovare un capro espiatorio più vicino possibile, facilmente raggiungibile da accuse e missili di odio virtuale.  

Il tessuto sociale e solidale – tanto decantato negli arcobaleni dipinti nelle lenzuola appese dell’andrà tutto bene di qualche tempo fa – si sgretola come cenere. In tutto questo, che ruolo – e responsabilità – hanno i media? Direi predominante, poiché se ci si vuole informare in maniera consapevole occorre, per forza di cose, affidarsi alla stampa accreditata. Ed è proprio lì che emerge la falla comunicativa maggiore: la voce narrante e predominante risuona con impeto: in un Paese dove il tasso dei vaccinati è dell’ 87,08 % – (fonte: www.governo.it) – pare non ci sia altro modo – per dare una spiegazione al continuo aumento dei contagi – che quello di scagliarsi contro la percentuale che del vaccino non ne vuole proprio sapere. Le critiche levate da giornalisti quali Marco Travaglio, che in più interventi sottolinea il ruolo avuto dalle fallaci comunicazioni del Governo (Draghi, con l’introduzione del green pass, prospettava un “ritorno alla normalità tra persone non contagiose”, ad esempio) vengono stoppate con nonchalance, come se fosse sottointeso che alcuni errori fossero da mettere in conto.

Troppo spesso vediamo mettere in piedi un imbarazzante teatrino dove chi appartiene alla minoranza viene continuamente sbeffeggiato, ridicolizzato, rappresentato da personaggi caricaturali scelti ad hoc: l’ignorante ex pugile Fabio Tuiach, l’esaltato medico di base Mariano Amici, chiaramente posseduto dalla voglia di apparire, l’attore la cui fama è ormai remota – Enrico Montesano – che prova a dare voce a una parte della popolazione spesso in balia di fake news, le quali non arrivano solo dal deep web ma anche da manipolazioni effettuate dai canali ufficiali, in quanto “non dire tutto” a volte equivale a falsare la verità, e timori ancestrali. Anche se non si tratta della totalità dei talk show, la potenza dirompente della tv dovrebbe essere maggiormente tenuta in considerazione.  

È evidente che l’utente medio – in deficit di senso critico e bramoso di una soluzione alla facile portata – non si porrà troppe domande di fronte alla messa in scena in prima serata post Tg. Dopo essersi allarmato al punto giusto ascoltando i dati del bollettino Covid, relativi al numero di contagi in picchiata, è cotto a puntino per assistere al teatrino di coppie di giornalisti più vicini a “Le comiche” di Pozzetto e Villaggio che a una rappresentazione seria della società. Sul fatto che lo strumento che avrebbe dovuto tutelarci dal contagio, spacciato per lasciapassare sanitario, si è rivelato invece un mero strumento politico, non si ha modo di assistere a una discussione moderata. Una critica alla gestione dell’emergenza sanitaria in corso spesso viene scambiata – volutamente – come critica all’esistenza stessa del virus. 

Vediamo giornalisti come Luca Telese dare dei circensi a personaggi appositamente invitati negli studi per rendere vano qualsiasi discussione di senso compiuto. La ricerca della verità e la necessità di raccontare la realtà dovrebbero passare per un accurato lavoro di selezione delle persone a cui si dà la parola, perché se è vero che certe teorie sono facilmente riconducibili al delirio psicotico (ricordiamo la capacità dei neo vaccinati di attirare a sé il metallo, a mo’ di calamita), è vero altresì che ci sono state persone che hanno avuto effetti avversi più che reali a causa di inoculamenti vaccinali.  

Questa corsa propagandistica – necessaria proprio perché troppa confusione comunicativa è stata messa in atto – è rappresentata da teatrini di conduttori radiofonici e televisivi, cantanti e attori. Il gesto del toccarsi due volte il braccio che simboleggia l’atto vaccinale è quanto di più osceno si possa vedere ai tempi d’oggi, specie quando accompagnato da frasi ad effetto pseudo minaccioso del tipo “ce lo ricordiamo tutti il lockdown, no?”.  

Prima il capro espiatorio era colui che faceva le corsette ai bordi delle strade o andava in giro per le campagne – ma comunque reo di portare in giro il virus –, oggi sono coloro che non sono vaccinati. Questa stregua di persone ai quali le restrizioni in corso permettono una vita sociale quasi inesistente. Eppure, la colpa dei contagi a macchia d’olio è attribuita quasi esclusivamente a loro.  

In una situazione dove non tutti hanno la medesima capacità critica, si sta offrendo su un vassoio d’argento un’intera categoria da accusare, e da mettere al bando. Nel frattempo, le scelte fallimentari del governo passano in secondo piano.   

Occorre tenere presente che la tv ha una potenza che si estende a più livelli: trasmissioni dove, ad esempio, lo scrittore Gianrico Carofiglio afferma sornione di avere avuto dai vaccini ai quali si è sottoposto ai fini di una sperimentazione “solo effetti positivi”, hanno come condimento offerto dalla pausa pubblicitaria spot ancora più plateali. Penso all’invito a contribuire alla campagna vaccinale in Africa tramite donazione da effettuare nei supermercati Coop – obiettivo di per sé nobile e condivisibile – al quale però si accosta un messaggio chiaro (non si perde nemmeno più tempo a creare messaggi subliminali!) dove si afferma che “per alcuni essere No Vax non è una scelta”.  

È aberrante il fatto che passi tranquillamente il messaggio per il quale, chi ha detto “no” a un trattamento sanitario nei paesi benestanti, sia – di conseguenza – responsabile della situazione sanitaria africana. È un po’ come quando si voleva far sentire in colpa i bambini che non volevano mangiare pietanze poco golose rendendoli partecipi del fatto che “ci sono bambini in Africa che non hanno niente da mangiare!”. E la cosa che più fa impressione è che tutto quest’opera mediatica eterogenea e predominante appaia sotto gli occhi dei parenti di chi – con questo vaccino e con i suoi effetti – ha dovuto fare i conti, arrivando, in alcuni casi, a perdere la vita.  

Prima di mettere in scena certe mascherate e commedie si dovrebbe tenere presente ciò che queste potrebbero procurare a persone come la sorella di Camilla Canepa (la diciottenne genovese morta in seguito all’inoculazione del vaccino AstraZeneca nel giugno 2021). Qui non si tratta di statistiche, di effetti avversi previsti e inevitabili, non si tratta di poter dire tutto su qualsiasi argomento, di scherzare su qualunque fatto. Certo, si può ridere sulla guerra, sulla morte; esiste l’umorismo nero. Ma la questione è sempre quella di tenere in considerazione che le proprie parole arrivano come pioggia, e arrivano a tutti. È chiedere troppo, pretendere che in un momento storico così delicato si abbia un minimo di accortezza anche per chi ha subito perdite inestimabili?  

Sarebbe auspicabile poter assistere a un’informazione giornalistica che prenda con maggior serietà la responsabilità connaturata al racconto del presente, che utilizzi toni meno entusiastici mentre appoggia questa o quella scelta del governo (in sostanza: tutte). Perché ridicolizzare una parte della società è controproducente per tutti.  

E in Sardegna? La situazione dell’informazione nella nostra isola è ancor più preoccupante. Tolti gli approfondimenti culturali eretti nell’idolo del trittico “folklore/identità/paesaggio”, sviscerati in mille temi, poco resta per chi vuole capire cosa stia realmente succedendo qui, tra le persone che queste città le abitano oggi. Come vivono i sardi le restrizioni dettate dalle norme anticovid? Come affrontano la questione DAD gli studenti degli istituti secondari? A parte alcune testimonianze raccolte al mercato da parte di operatori che, parallelamente, ci aggiornano sul prezzo dei carciofi alla dozzena, intendo. È naturale registrare lo sconforto degli operatori della ristorazione, le lamentele di chi non vede la luce in fondo al tunnel ma, oltre qualche mezza frase di circostanza, non si riesce ad andare. Questo contesto si immerge nel caos provocato dall’aggiornamento delle frequenze che hanno decretato l’abbandono di alcune emittenti – e una loro parallela migrazione sul web – come Canale12 e Telegì. La realtà locale non trova spazio nel mezzo dominante. Il risultato? È qualcosa a cui siamo avvezzi da tempo: l’omologazione. Ciò che ci viene raccontato delle periferie romane – come della provincia indistinta da nord a sud – diventa valido anche per i sardi.  

Viene da chiedersi in che direzione si sta andando, e quanto spazio ci sarà, in un futuro prossimo, per chi dissente, per chi vuole anche solo provare a mettere in discussione le decisioni del Governo, perché queste dinamiche non si limiteranno alla questione Covid.

Fotografia: Matthew Guay on Unsplash

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