Il Cagliari Calcio è solo una squadra di calcio?

de Federica Marrocu

No, non è “solo una squadra di calcio”.

Quello del Cagliari Calcio è un vero e proprio fenomeno popolare, dal carattere fortemente identitario.
Ha a che fare con il senso di rivalsa, di riscatto, che per le persone sarde ha un significato particolare. La recente morte di Gigi Riva ha rievocato questo sentimento potentissimo, la cui definizione è tutt’altro che scontata.

Il Cagliari di Gigi Riva fu protagonista di un’impresa epica, tramandata di generazione in generazione: uno di quei racconti fondativi da cui si impara cosa significa “essere persone sarde”. A prescindere che si segua il calcio o meno: chiunque in Sardegna ne ha sentito parlare.
Il secondo posto in campionato nel 1968-1969 aveva anticipato il trionfo del 1970. Il Cagliari vinse lo scudetto, davanti alle squadre del ricco Nord Italia. Il portato di quel traguardo andò decisamente oltre l’impresa sportiva.

Era un momento storico particolare, di rivolte studentesche, operaie, femministe e dei movimenti LGBTQI+, di fermenti culturali e di costume.
Nel 1966 era stato fondato il Football Club Femminile Cagliari, nell’ambito di un più ampio movimento sportivo femminile, di cui si parla poco o nulla.
I successi della squadra maschile galvanizzarono l’intero ambiente calcistico cagliaritano, trascinando anche la squadra femminile.
Nello sport trovavano spazio il senso di rivalsa e un forte desiderio di riconoscimento.
Di Sardegna, in quegli anni, si parlava pressoché solo in termini di arretratezza e devianza sociale: la stagione dei sequestri stava conoscendo una nuova fase di recrudescenza, nella totale assenza di tentativi reali di comprendere le radici del fenomeno. Nel dibattito pubblico, inoltre, l’intento di spiegare le differenze tra centro e periferie, tra aree considerate evolute e zone arretrate, sfociava nella razzializzazione dei gruppi coinvolti.

In questo clima, le vittorie di quel Cagliari traghettarono la Sardegna in Italia (lo scrisse Gianni Brera, come ricorda Omar Onnis in “Tutto quello che sai sulla Sardegna è falso”), ma non solo: costituì un tentativo (non riuscito) di creare una valvola di sfogo per i conflitti interni. Gli effetti di quella ondata unificatrice rischiarono di sollevare nuove istanze politiche, arginate dalla parabola discendente del club sardo, dovuta al mancato sostegno economico, tra le altre cose.
Ma il tramonto del mito non inficiò il processo di identificazione in atto: sulla maglia ufficiale campeggiava lo stemma della squadra, uno scudo bianco con i Quattro Mori, emblema della Sardegna.
Il Cagliari calcio ha svolto e svolge un ruolo importantissimo nel mantenere vivo l’attaccamento alla terra sarda per coloro che l’hanno lasciata: alimenta un senso d’appartenenza condiviso dalle persone sarde in tutto il mondo. Offre l’opportunità di dirsi – e di dire al mondo – “ci siamo anche noi, e siamo forti, insieme”.

E dunque sì, il Cagliari di Gigi Riva ha dato inizio a un processo ampio e partecipato, che trascina tutte e tutti: è diventato un simbolo, che rappresentava e rappresenta qualcosa di grande, a cui non è scontato saper dare un nome. L’intuizione, o la consapevolezza della propria specificità.
Un sentimento nazionale che può essere condiviso e legittimato.


Immagine: goal.com

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