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Insularità e Autonomia differenziata. Due fregature in un colpo solo

Eppure il clima era quello della ritrovata concordia, della convergenza di tutte le fazioni politiche, di rinnovata unità verso una notizia diffusa da tutte le parti come una “conquista storica” per i sardi.  

Lo scorso 28 luglio 2022, in piena crisi governativa, la legge costituzionale sull’inserimento del principio di insularità in Costituzione, promossa dai Riformatori sardi e subito abbracciata da tutto l’arco del Consiglio regionale della Sardegna, con la fondazione di un comitato trasversale costituitosi in nome dei “diritti dei sardi”, concludeva il suo iter legislativo. 

Per anni non si è parlato d’altro in Sardegna e pareva che tutti gli atavici problemi dell’isola derivassero dal fatto che generazioni di autonomisti, sardisti e padri della patria, si fossero dimenticati di segnalare alla corte romana, che la Sardegna è un’isola e che ciò crea incredibili svantaggi alle sue genti. 

Secondo questa narrazione, ad un certo punto del suo sviluppo, l’autocoscienza dei sardi, attraverso la Mongiu and Ganau’s generation, ha realizzato la reale origine del gap, riconoscendo nel carattere insulare della Sardegna la madre di tutte le questioni. Grazie a questa prodigiosa generazione di paladini dell’insulare pensiero, si è finalmente realizzato il destino di liberazione e opulenza di tutte le neglette isole del mondo che condividono la sfortuna di essere costrette ad una lontananza da Roma caput mundi e quindi da ogni sorgente di civiltà, progresso, benessere, felicità. Ormai il dado di tutti questi sfortunati popoli era tratto: dalla Corsica a Malta, dal Giappone, alle isole britanniche e all’Islanda, fino ad arrivare all’Australia e all’Isola di Pasqua, il principio di insularità avrebbe portato beltà e progresso a tutte le genti isolane del globo terracqueo.  

Ma le cose stanno veramente così? Le sette maggiori isole mediterranee hanno storie demografiche e politiche assai diverse e la loro condizione politica va dalla sovranità statuale di Malta alla debole e ottriata autonomia sarda, concessa in tempi rapidissimi e sotto pesante tutela di partiti centralisti come la DC e il PCI che osteggiavano – sebbene per ragioni diverse – ogni reale processo di emancipazione del popolo sardo. 

Fatto il reddito pro-capite (a parità di potere d’acquisto) della media dell’Unione Europea uguale a 100, solo Malta e le Baleari (con indici pari a 100 e a 97) si posizionano sulla media europea; seguite da Cipro (90) e Corsica (86), Sardegna (69) (fonte).

Malta e Corsica non hanno alcuna “legge sull’insularità” e basterebbe questo dato per rendere conto del carattere tossico della narrazione insularista veicolata, ad una voce sola, da parte dei media e dei partiti italiani in Sardegna.  

Che la narrazione sull’insularità sia il frutto di una gigantesca manipolazione mediatico-politica lo dimostrano anche i dati che seguono: Nell’arco temporale che va dal 2000 al 2020 la popolazione sarda ha perso circa 30mila abitanti, mentre la Corsica passa dai circa 263mila ai 399mila, le Baleari da 830 mila a superare il milione e duecentomila, Malta (che è uno stato indipendente con una superficie di appena 316 km quadrati rispetto ai 24100 della Sardegna) ha incrementato la sua popolazione di circa 100mila unità. L’insularità evidentemente non c’entra nulla e lo stesso discorso possiamo farlo leggendo i dati sulla povertà, sulla crescita economica e su tutti gli altri parametri che vanno a comporre il quadro della crescita di una collettività. 

Cosa cambierà con la modifica all’articolo 119 della Costituzione, «concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità»?  

Chi crede che queste poche parole inserite in Costituzione porteranno un’inversione di tendenza rispetto al declino demografico, economico, culturale e civile della Sardegna o pecca di inguaribile ingenuità o mangia alla stessa mangiatoia di chi ha concepito questa operazione. Vale a dire di quegli stessi soggetti che hanno interesse a mantenere la Sardegna in condizione di minorità, per poterla maggiormente mungere, come da migliore traduzione centralista sabaudo-italiana, da un punto di vista energetico, carcerario, militare e turistico. 

In questa prospettiva è da inscriversi la polemica tra il consigliere “progressista” Agus e il presidente della Giunta Solinas, sull’apprezzamento dell’autonomia differenziata da parte di quest’ultimo. 

La notizia di per sé non dovrebbe offrire alcuno spunto nuovo e non meriterebbe certo di essere commentata, ma assume un carattere esemplare e quindi interessante per lo studio del prototipo del buon colonizzato alla corte dell’imperatore.  

Solinas e Agus, pur se divisi dalla polemica delle rispettive fazioni, incarnano bene il modello dello Zio Tom e cercano di accreditarsi come mediatori affidabili per quel potere percepito come unica fonte di benessere, felicità, progresso per i sardi. Ovviamente un benessere, una felicità e un progresso tutti da proiettare nel futuro, quando la propria parte politica trionferà sulla fazione avversa e concederà benefici ai propri proconsoli in colonia. 

Ma cosa è successo e cosa ha suscitato il disappunto di Agus?  

Le agenzie di stampa lanciano l’allarme del progressista: «Il riconoscimento dell’insularità e il suo inserimento nella Costituzione hanno rappresentato un lungo percorso che ha trovato l’accordo di maggioranza e opposizione nella politica sarda, in uno sforzo collettivo diretto a ottenere un obiettivo fondamentale. Ora però quel concetto rischia di essere svuotato dei suoi contenuti» (fonte: Unionesarda). 

Il bersaglio polemico di Agus è ovviamente il governatore della Sardegna Christian Solinas e il suo incontro con il ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli. Da una parte Solinas avrebbe «ampiamente condiviso le linee dell’autonomia differenziata» voluta dalla Lega per accontentare i governatori delle Regioni ricche del nord, spesso amministrate appunto dal Carroccio e affamate di sgravi fiscali e di ulteriori contributi e premi in denaro per far valere la propria supremazia nel contesto dello Stato unitario.  

Da un’altra, come contropartita dell’appoggio ad una controriforma che porterà nuovi privilegi alle regioni già stra-privilegiate del nord Italia, Solinas avrebbe avanzato la proposta di avviare l’iter di una «legge costituzionale di iniziativa governativa per modificare lo statuto della Regione Sardegna includendovi la tutela della lingua sarda, della cultura sarda e del relativo patrimonio»

Insomma: soldi a palate in cambio dell’inserimento del patrimonio linguistico dei sardi nella normativa italiana, dovuto per Costituzione e già attuato con la L. 482/99. 

Cosa c’entri il tema dell’incontro di Solinas e Calderoni con l’insularità in Costituzione e perché questa venga vanificata – secondo l’allarmata denuncia del “progressista” Agus – non è dato sapere. 

Ma rimaniamo sul carattere dei due esemplari coloniali, che alla fine rappresenta l’aspetto più interessante di tutta la querelle.  

Da una parte abbiamo un “progressista” centralista la cui unica prospettiva di progresso consiste nel riconoscimento puramente formale di un fatto geografico di per sé banale come l’insularità, priva di qualsiasi analisi storica, politica ed economica a fronte della condizione di subalternità e crisi organica della Sardegna.  

Dall’altro un “sardista” che in fin dei conti condivide con il suo avversario tutti i paradigmi centralisti, subalterni e accattoni sui quali si basa in effetti la fonte stessa del potere di entrambi: la metropoli e la sua presunta disponibilità a concedere briciole e frattaglie ai propri referenti d’oltremare, previa ovviamente la sottomissione formale e la disponibilità a svendere porzioni sempre crescenti di territorio, di diritti e di ricchezza della comunità sarda.  

Solinas e Agus sono in fondo facce della stessa medaglia. Il primo rappresenta un cosmopolitismo di facciata che scarica sulla giunta sardo-leghista tutti i fallimenti storici della sinistra in Sardegna, a partire dalla rimozione di tutte le questioni poste da Gramsci, fino al disprezzo della lingua e della storia dei sardi. Il secondo incarna invece la liquidazione definitiva di quel poco di sardismo che era rimasto vivo nel Psd’Az, a partire dall’idea che una riforma “sardista” e “sovranista” dello Statuto (d’altronde più che mai auspicabile) possa essere realizzata in maniera totalmente ottriata, praticamente per gentile concessione e volere regio e non sulla spinta di un movimento popolare, capace di coinvolgere e di scaldare le sarde e i sardi.  

Ovviamente non se ne farà nulla, né dei presunti vantaggi dell’insularità, né della riforma “sardista” dello Statuto. Tutte chiacchiere senza esito, come sempre. 

L’unica cosa che si avvererà è il solito meccanismo di accaparramento di tutte le risorse disponibili da parte delle regioni già avvantaggiate e arricchite, ovvero quelle del nord dello Stato. E su questo sia la parte di Agus che la parte di Solinas in fondo non hanno nulla da obiettare contro il loro vero padrone, pena la perdita dei propri privilegi di proconsoli d’oltremare. 

La strada per il riscatto dei sardi non sta per fortuna nelle loro mani! 

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Un commento

  1. L’autore di questo scritto fa sarcasmo sull’insularità in costituzione, ma è innegabile che questa cosa sia una genialata della classe politica coloniale per darsi una riverniciata. Che queste genialate ormai funzionano solo per i pochi elettori inebetiti o indebitati lo dimostra l’astensionismo crescente. Che si continui a parlare di questi personaggi della politica coloniale, che lo si faccia con sarcasmo o rabbia, non serve certo ad attrarre l’astensore. Cosa propone l’autore per risolvere il problema dello spopolamento? Cosa propone per affrontare l’impoverimento generale? Criticare o deridere la politica coloniale non fa che dimostrare che questi personaggi hanno l’iniziativa, e la politica anticoloniale dietro a parlare, ma sempre dietro. Il sarcasmo è il rifugio degli impotenti

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