La Rivolta delle Comunità (e Todde, silente su Barumini, va al Rally) – S’Imprenta, rassegna stampa dalla colonia

de Ivan Monni

In un articolo di qualche anno fa, avevo criticato il Manifesto delle comunità in Sardegna (Condaghes, 2009), di Eliseo Spiga, Francesco Masala e Placido Cherchi, secondo me troppo datato, antistorico e troppo anti-cittadino. Guardava ai tempi che furono, ricercando i momenti in cui si stava meglio, mitizzandoli, rimuovendo gli stenti e le fatiche. E su fàmini a tirai a marra. 

C’è però un concetto di Eliseo Spiga che, con le richieste di autodeterminazione energetica dei comitati, ritorna prepotentemente di attualità e che bisogna riprendere: i paesi come luoghi in cui si crea il lavoro. 

Canale YouTube: Marco Gallus

Certo, oggi è cambiato tutto quanto, Internet ci ha inseriti nelle reti informative mondiali, le fabbriche si sono delocalizzate e si spostano costantemente, con logica parassitaria, in cerca di stipendi più bassi. Poi la delocalizzazione è toccata ai lavoratori, con lo smart working, che tutto sommato, sotto certe condizioni, offre maggiori alternative a chi vive nei paesi in cui non sono presenti aziende di un certo tipo. Lo smart working consente di lavorare con una azienda di New York, mentre si risiede a Biddamanna, a patto che ci sia connessione. Sono le idee che devono circolare, non le macchine dei pendolari, o peggio gli emigrati.

Le tecnologie non vanno demonizzate a prescindere, la storia dell’uomo può essere vista come una sorta di storia del lavorare con meno fatica, fare cose altrimenti impossibili, e con meno dolore, a partire dall’invenzione de su seganuxi (nel sud Sardegna è ironicamente una pietra qualsiasi, usata come schiaccianoci). Poi c’è l’uso che se ne fa, e la tecnologia militare ha causato morti e distruzioni, lo strapotere di Israele sulla Palestina è anche tecnologico. E poi c’è il problema della concentrazione di tecnologie, con quello che comporta nella gestione del potere economico, mediatico e politico.

La tecnologia va governata, non si può far finta che non esista. Va resa accessibile a tutti, e non solo in modo passivo

L’intelligenza artificiale, secondo uno studio del Forum P.a 2024, determinerà l’aumento della produttività della pubblica amministrazione e causerà in Italia l’esubero di circa 218.000 dipendenti pubblici, il 12% del totale (fonte: ANSA), mentre l’età pensionabile viene sollevata costantemente.

L’unione tra l’AI e la robotica meccanica genererà, in futuro, dei sostituti dei lavoratori, e il problema da porsi è chi sono i proprietari di queste tecnologie.

È arrivato il momento in cui parte della soluzione va trovata nella graduale riduzione delle otto ore lavorative, che non sono un punto di arrivo nella storia, ma solo di passaggio.

L’obiettivo della politica deve essere quella di spalmare l’aumento della produttività data dall’AI (di cui si avvantaggeranno le imprese) anche tra i lavoratori, riducendo l’orario, evitando così i licenziamenti in massa. Dopotutto, lavoreremo più a lungo, oltre i 65 anni.

La tecnologia richiede energia, generare un’immagine con Openai consuma quanto una ricarica dello smartphone, secondo i ricercatori della Carnegie Mellon University.

Il blocco del gas dalla Russia ha generato l’emergenza nell’Europa sulla necessità di quella che, viene chiamata “transizione energetica“, che giustamente Matteo Pedditzi, nell’intervista di sabato scorso, smonta, con un “si continuerà a produrre energia da ogni fonte possibile, basta che ci sia un profitto“. 

Intendiamoci, una vera transizione va fatta. Estrarre energia illimitata e pulita dal vento e dal sole è meno impattante rispetto allo sventramento di una montagna per estrarre il carbone, con tutto lo sfruttamento umano che ne consegue. 

Questa fase politica in Sardegna, vede il ritorno della politica dal basso, come forse non c’è mai stata da parecchi decenni.
Abbiamo imparato e fatto nostre le lezioni di decenni fa (durante il Piano di Rinascita, l’occupazione militare, la svendita della Costa Smeralda) delle voci isolate di Francesco Masala, Eliseo Spiga, Placido Cherchi, Antonio Simon Mossa, e di tutto il mondo indipendentista, che per primo denunciò i rapporti coloniali. Abbiamo imparato la lezione e oggi i cittadini si associano in comitati, che si coordinano, si organizzano strutturalmente e manifestano insieme. Tutto molto reale, con l’aiuto delle chat digitali, facilitatori di comunicazioni, di decisioni e di scambio di informazioni in tempo immediato.

La manifestazione di giovedì 30 maggio è stata un successo in termini numerici (oltre un migliaio di persone, in un giorno lavorativo) e in termini politici. La convergenza di tantissimi territori (i comitati territoriali sono circa una quindicina, e in costante aumento) e di diverse istanze (speculazione energetica, nucleare, occupazione militare, rwm, sanità), ha trovato il collante nella difesa del paesaggio identitario, nell’anticolonialismo e nell’autodeterminazione dei territori.
Sono i tre elementi che accomunano quello che si può ormai definire un movimento diffuso in tutta la Sardegna. Parlare solo di Comitati e di Associazioni, che ne rappresentano l’ossatura, è quantomeno riduttivo. Per la prima volta l’invito è stato esteso ai partiti e movimenti indipendentisti, erano presenti le bandiere di Sardigna Natzione e di Liberu.

Video: Ivan Monni

Mentre il governo italico nomina i nuovi membri della commissione per la valutazione di impatto ambientale, la maggioranza nel consiglio della regione pone un freno alla moratoria, in attesa della scelta delle aree idonee. Ma per trovare (quelle che loro considerano) le aree idonee, non basterebbero cinque anni, per ottenere il consenso dei territori. Senza moratoria, le pale, fra cinque anni, saranno già installate. È evidente che la volontà politica sarda è quella di procedere con il turbo con le installazioni, secondo i piani dettati dall’alto, bypassando qualsiasi moratoria o possibile stop. Ricordiamo che, scaduti i termini per la scelta delle aree da parte della regione (180 giorni dall’approvazione del decreto, ancora in bozza), ci penserà il governo romano.

Il problema della scelta delle “aree idonee” non può prescindere dal “come” (devastando il paesaggio, e sotterrando parecchi metricubi di cemento e ferro?) e a “favore di chi” (multinazionali o comunità locali?).

L’allungamento delle tempistiche della moratoria comporta la velocizzazione delle nuove richieste, ma nella fame bulimica delle multinazionali qualcuno ha corso troppo in fretta, senza fare i conti con la realtà delle strade. Troppo grandi per viaggiare sulle strade sarde? Pale e torri eoliche bloccate in porto. Dove non riesce la politica, può la logistica.

Nel Sulcis, fra Musei e Vallermosa, gli installatori vorrebbero radere al suolo parte di una pineta e numerose querce per trasportare le pale eoliche fino a destinazione. Il Grig denuncia.

Spuntano nuove richieste di impianti fotovoltaici, a Maracalagonis, di fianco alla 125, dopo l’eolico sui Sette Fratelli.

Dopo Saccargia, tocca a Barumini: il Tar boccia il ricorso del piccolo comune della Marmilla e approva 24.500 pannelli fotovoltaici a poche centinaia di metri, perché il terreno su cui sorge il villaggio nuragico è privato. Favorevole la presidenza del consiglio dei ministri e del Ministero dell’ambiente.
Un bell’articolo di Franco Sardi ( che ha insegnato per oltre 30 anni legislazione dei beni culturali) sul blog di Paolo Maninchedda propone l’esproprio dei progetti da parte della regione, ne ha le facoltà!
I conquistatori, da sempre devastano i simboli identitari dei vinti, per cancellarne la memoria. Immaginate il paesaggio sardo senza nuraghi, per capire quanto i simboli del passato siano fondamentali, consciamente o inconsciamente, per l’identità di un popolo.

L’Italia tira dritto, la Todde tace. E con la sentenza che dà il via a procedere su Barumini, chi tace acconsente, per silenzio assenso. Per la cronaca, ieri Todde faceva da copilota allo shakedown di Ittiri per il Rally Italia Sardegna. Le giuste priorità!

Scegliere le aree idonee, di fronte ad un atto speculativo, significa scegliere di quale morte si vuole morire. Non mettono in discussione il fatto che la Sardegna non vuole morire.

Le aree idonee esistono già e si chiamano tetti

Abbiamo la disponibilità di 3 Gw sui tetti sardi, secondo lo studio dell’ente europeo dell’energia, Joint Research Centre.

Non solo. Avvantaggiare le comunità energetiche significa mettere nuovamente al centro le comunità, per dirla con Eliseo Spiga, affinché diventino protagoniste di questa fase, diventando le nuove “fabbriche” moderne, capaci di generare reddito (risparmio in bolletta) e posti di lavoro.

Sempre in tema di comunità, la Nuova Sardegna si concentra sull’abbandono scolastico, altro tema spinoso. La crisi delle comunità è principalmente un problema di denatalità, di abbandono scolastico e di emigrazione.

Sos Scuola, tracollo iscrizioni: -5419 studenti, si svuotano gli istituti dell’isola.

 “la popolazione scolastica complessiva scende a 176.839, significa che dal 2018 è calata di oltre 25mila unità. […] Con una incidenza maggiore nella fascia d’età 6-11 anni

Secondo l’assessora Ilaria Portas, intervistata dalla Nuova Sardegna:

«La denatalità è un fenomeno che attraversa tutta l’Europa, l’Italia è coinvolta e in Sardegna si percepisce in maniera particolare. Per contrastare lo spopolamento è necessario mettere in campo politiche integrate che riguardano il lavoro, la sanità, i trasporti e tutto ciò che può agevolare le donne nella conciliazione lavoro-famiglia».

Invece, in questo contesto, con un abbandono scolastico tra i peggiori d’Europa, l’Italia, anziché investire, taglia le scuole, per un mero risparmio di costi.

Disinveste nell’unica risorsa in grado di far risorgere un territorio, creando le condizioni per peggiorare il rendimento, l’abbandono scolastico e lo svuotamento dei paesi.

Esiste una letteratura economica sterminata sul fatto che lo stock di conoscenze acquisite da una territorio, è fondamentale per lo sviluppo. Non ci sono più scusanti per la classe politica che disinveste nell’istruzione. La condanna dei territori è una scelta.

L’assessora Ilaria Portas termina con un incoraggiante:

«Mi piacerebbe che il programma ministeriale fosse integrato con l’inserimento dello studio della Storia della cultura della Sardegna». (si. sa.)

Se guardiamo alla situazione ospedali, il problema non si discosta più di tanto. È un continuo disinvestimento dalle aree interne.
Così per tutti i servizi, inclusi sportelli bancari e postali, strade, mezzi di trasporto, connessione adsl

Non si tratta di un ritorno alla paesitudine. Il problema c’è anche nelle città, accomunate dalla bassa natalità, dell’emigrazione verso il nord o all’estero, dalla scarsa partecipazione al voto e dal disimpegno dello stato italiano negli investimenti chiave, visti i pesanti tagli. Tranne che per quanto riguarda l’energia e le armi, su cui investe parecchio.

Domani, 2 giugno, vedremo le strade cagliaritane “infestate” dalla propaganda militarista, in parata sciovinista; vedremo tricolori repubblicani sventolare sotto la statua del re Carlo Felice, in una confusa carnevalata dove re Cancioffali non muore e si fa beffa delle aspirazioni popolari. 

E mentre su marcette tambureggianti, canteranno “pro s’onore de s’italia e de Sardigna“, contemporaneamente l’Italia devasta l’isola.

Un’altra Sardegna, invece, ha sfilato giovedì e sfilerà il 2 giugno contro questo stato di cose. È la parte migliore della Sardegna, che reagisce alla condanna di un destino (scelto dall’Italia) di isola priva di identità, spopolata, povera, dunque ricattabile. Destinata alle servitù.

Il 2 giugno, ore 16, tutti in piazza S. Bartolomeo, Casteddu.
Non avremo una seconda possibilità per fermare questo delitto, la partecipazione di ogni persona di buon senso è fondamentale.

Ateras novas de sa chida

Un terzo dei sardi a rischio povertà o esclusione sociale e quasi il 7% della popolazione isolana in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (rielaborazione fatta dall’Anap Confartigianato Sardegna, sulla rilevazione dell’Istat 2022-2023).

Elezioni europee, nel Collegio Isole solo 17 candidati sardi, 63 sono siciliani.

Questa settimana ci sono stati una serie di rimpalli tra la destra italiana e la sinistra italiana. La campagna elettorale si infiamma, ma Todde non può continuare a nascondere il suo inattivismo riparandosi dietro ai fallimenti precedenti, per cui questa parte di rassegna potrebbe chiamarsi…

su boi nendi corrudu a su burricu”

(ovvero, il fallimento dell’alternanza tra la destra e la sinistra coloniale italica)

Se Desirè Manca, portavoce dei cinque stelle, nemmeno un anno fa accusava Solinas di “nomine improvvise”, ora la Todde stanzia un milione di euro per lo staff: raffica di nomine dopo l’elezione in Sardegna. Ma lei rivendica: in passato erano di più.

Risorse non spese, rabbia Solinas: “Todde sta mentendo a tutti i sardi”. Il segretario del Partito Sardo D’Azione svelena sulla presidente, accusandola di bloccare la spesa da lui programmata per distribuire lei i soldi presenti in cassa in Regione

Trasporti. Continuità, il Psd’Az contro Schlein: «Noi inerti? Todde ha fatto lo stesso bando ma ha tagliato fondi e voli».

Schlein a Cagliari: «Politiche su misura per le Isole, Solinas inerte su insularità e assalto eolico».

Mentre Schlein in Piazza Garibaldi esclama: «La priorità è la sanità pubblica, no ai tagli», Truzzu lancia l’allarme, «quattro pronto soccorso a rischio chiusura in estate»: Nuoro, Oristano, San Gavino e Carbonia.
Presentata un’interrogazione a Bartolazzi, che riesce a far volare alto persino Truzzu.

Il povero Bartolazzi riesce ancora a far discutere, chiede spirito di collaborazione alla minoranza, che prima era stata accusata di inerzia proprio sulla sanità.
No nd’intzertat una mancu a ddu pagai. E infatti lo stiamo pagando, po debadas.

Imàgines de sa chida

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