La Sardegna oltre l’estate  

de Daniela Piras

È da qualche tempo che la Sardegna, consolidata meta di turismo estivo, si sta rivelando capace di attirare vasti flussi di visitatori anche nelle altre stagioni. I motivi sono tanti, e vanno dalla ri-scoperta del patrimonio archeologico, che grazie ai social e al web in generale sta conoscendo una nuova, fortunata epoca, alla riacquisita consapevolezza, complice la pandemia, dell’importanza di godere di ampi spazi naturali e sociali.

Nell’epoca delle new age e delle mille discipline ispirate alla rigenerazione dell’animo, la Sardegna, con i tanti siti storici in cui è possibile recepire intense frequenze positive, è anche al centro di spedizioni in gran stile, con guru spirituale annesso.

Ciò che invece lascia perplessi, in palese contrasto, è quello che appare come un vero e proprio bisogno fisico, che non accenna a diminuire: andarsene dall’isola; scappare non appena possibile. Vale per gli studenti che vogliano costruirsi una carriera, per chi voglia tentare la carta della fortuna all’estero, o anche solo nella penisola italica, per chi non riesce quasi a concepire il fatto di individuare, nella Sardegna, non solo il luogo di nascita, o il luogo “del cuore”, che fa rima con la finta autenticità degli antichi “borghi” tanto in voga, ma il luogo di permanenza principale, della vita vera, quella di tutti i giorni. Quella che prevede un lavoro, una casa, e una routine a misura di comune individuo. Un esodo che anche l’apertura dei suddetti nuovi fronti non è sufficiente a osteggiare. 

Ed è così che assistiamo a una fuga apparentemente ineluttabile, dove tutti – ma proprio tutti – ambiscono a vedere, il più presto possibile, i contorni verdi blu del mare che lambiscono la costa da un oblò aereo. Non ci sarebbe niente di male, se poi queste persone avessero come progetto ultimo quello di ritornare. E invece, assistiamo da tempo a ritorni strategici di intellettuali e artisti che, nel periodo che va da maggio a settembre, varcano i confini dell’isola. Da maggio a settembre la Sardegna esplode, intellettualmente e artisticamente.  

È tutto un pullulare di festival, eventi e laboratori sensoriali. Sovente, tali festival (nello specifico quelli letterari e musicali) vedono alla direzione artistica nomi ritenuti pressoché insindacabili di personaggi che osservano la Sardegna da fuori, e la utilizzano come un grande laboratorio esperienziale all’aperto per realizzare idee nate durante i mesi freddi, a fianco a un termosifone dell’appartamento in periferia di città come Milano, Bologna o Roma. Grandi nomi, profeti in Patria per antonomasia, si accostano a un grande seguito: va da sé. Finanziamenti regionali consolidati e pubblico fedele che non vede l’ora di assistere ai mille eventi che costellano l’estate sarda. Finanche troppi eventi.

Orde di turisti spesso d’impronta alternativa, non si capisce più a cosa però, oltre al buon gusto e alla buona educazione, affollano manifestazioni organizzate nei luoghi più difficili da raggiungere: scalzi e vestiti con impostata sciatteria con l’intento primario di distendersi (e di sbragarsi). Ovunque. In cima alle montagne, sulla riva di fiumi e a ridosso di piscine naturali.

Tutti in preda alla vorace esigenza di rilassarsi, a tutti i costi e con ogni mezzo, per rifarsi la pelle spirituale tramortita da un anno di stress e ansie procurate dalla frenetica esistenza di tutti i giorni, contraddistinta dal rispetto dell’etichetta e delle elementari regole del civil vivere. Quella vita che hanno agognato quando vivevano qui in Sardegna, per quanto riguarda i sardi che tornano nella terra natale durante le ferie. Quella vita che tutti gli altri visitatori sognano di poter interrompere, almeno per poche settimane all’anno, con la speranza che basti a ristabilire ritmi ed equilibri più a misura d’uomo. Considerare la Sardegna meta ideale di vacanze e relax estivi, però, ha delle conseguenze, spesso sottovalutate.  

La maggior parte del pubblico che segue gli eventi più “in” in programma, abita in Sardegna tutto l’anno. La macchina burocratica e logistica necessaria a realizzarli è tenuta in moto da persone che lavorano e vivono in Sardegna tutto l’anno. Il luogo ideale delle vacanze degli altri, in sintesi, esiste di fatto grazie a chi, su quest’isola, ha deciso di vivere, nonostante le alternative possibili.  

E se gli artisti hanno i luoghi dove esibirsi, una volta rientrati per pochi giorni, è grazie a chi, quei luoghi, li ha fatti vivere anche nel periodo delle “vacche magre”. E grazie a chi, quelli spettacoli, è andato a seguirli tutto l’anno, ossia coloro che, questa terra, hanno deciso di viverla davvero, con i suoi pro e i suoi contro. E che, spesso, si sono sentiti ripetere, fino alla nausea, dai navigati esperti del mondo Off Sardinia, che avrebbero fatto meglio a lasciare tutto, ad abbandonare la baracca, a cercare di più: ma sempre e solo altrove. Questa narrazione comincia a stancare e ad ammorbare le orecchie di chi non solo non ha avuto la possibilità, né in passato e né oggi, di fare esperienze di studio/formazione/lavoro fuori, ma anche di chi, pur avendole fatte, vive per convinta scelta in uno dei 377 comuni che formano il tessuto sociale di quest’isola.  

Se tutti coloro che hanno un talento riconosciuto, una carriera di successo, un’affermazione professionale raggiunta, continuano a vivere fuori, per scelta, invece di portare – o riportare – il proprio bagaglio di esperienze a casa, cosa resta? Succede che la Sardegna si svuota progressivamente, con e senza effetto ciambella. Con le conseguenze che questo comporta. Non solo per quanto riguarda il carico umano che deve sopportare durante i mesi più caldi. Perché se è vero che il turismo di massa porta risorse economiche, è anche vero che, per soddisfare la voglia di relax di massa dei turisti agostani, occorrono braccia ed energie tese al massimo dello sforzo, per chi lavora soltanto tre mesi all’anno.  

Sarebbe auspicabile un riequilibrio di flussi umani, di offerte e di prospettive. Per far sì che le possibilità che vengono date ai soliti nomi siano invece alla portata di tutti gli operatori culturali, tutto l’anno. Per ottenere la giusta considerazione da parte della politica, anche, per chi queste strade le percorre anche con il vento e il freddo, trovando spesso delle buche che, magicamente, vengono tappate in prossimità della stagione, perché altrimenti “che brutto biglietto da visita sarebbe, per i turisti!”. Buche reali e buche metaforiche, per inteso. Per chi si è stancato di questa narrazione dominante che ci racconta perennemente dell’uno su mille che ce la fa/ce l’ha fatta/ce la potrebbe fare, andando fuori, e tralasciando i 999 che non hanno i riflettori puntati, ma che costituiscono il fulcro del tessuto urbano e sociale di quest’isola.  

 A tutto ciò, poi, si aggiunge la fatidica frase detta indistintamente da turisti e da ex residenti: “La Sardegna è bellissima, il mio sogno è di venirci/tornarci per la pensione!”. E così, ciò che si configura all’orizzonte non è solo una terra vuota, ma dove a perdersi incantati alla vista di tramonti e sterminate distese verdi, in cui saranno probabilmente visibili ettari ed ettari di pannelli fotovoltaici e pale eoliche all’orizzonte, saranno soltanto pochi vecchi che, allungando lo sguardo in un afflato d’immensa malinconia, e constatando l’assenza di giovani, si ritroveranno immancabilmente a chiedersi: “Era davvero questo, l’unico scenario possibile per quest’isola?” 


Immagine: ilmessaggero.it

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3 commenti

  1. Vorrei introdurre il tema , che riguarda la smania tutta nostra di esibizione delle tradizioni, maschere 4:stagioni etc etc. E delle numerose sagre dove si declama il tipico ma cucinAno la carne del nostro nemico, la grande distribuzione

  2. Ho incontrato sostenitori e aderenti di ANS in occasione de Sa Die de sa Sardigna, e ho conosciuto persone appassionate, entusiaste, e articolate.

    Purtroppo molti articoli che compaiono su questo sito/blog danno tutta un’altra impressione. Questo articolo rancoroso, noioso e mal scritto ne e’ un esempio. Il primo commento che segue mostra come dal livore si scade verso noiose esternazioni contro altri “nemici” presunti.

    Questo sito avrebbe necessita’ di editori e un minimo di principi che dovrebbero guidare quello che viene pubblicato, se si vuole dare un’immagine delle potenzialita’ e aspirazioni di ANS. Quello che emerge spesso da questo sito e’ approssimazione, lungaggine, rancore, e dispiace davvero vedere che non sono tratti che rifletto persone in ANS.

    Per rispondere a questo articolo: Cosa rimane se tutti quelli che hanno una professione, ecc. rimangono fuori dalla Sardegna per scelta?
    Rimane una grande opportunita’ per i cittadini di Sardegna e per la Sardegna, in quanto chi ha queste competenze e’ spesso molto felice e disponibile a trasmetterle anche in Sardegna, pur rimanendo fuori dalla Sardegna – per scelta. E chi sta fuori dalla Sardegna ha anche il ruolo di contribuire a creare un’immagine della Sardegna e delle sue aspirazioni in altri paesi. La diaspora Irlandese, per esempio, ha avuto un ruolo enorme nel processo di indipendenza del paese.

    • Buongiorno, sono un membro della redazione del blog, e sono rimasto un po’ sorpreso dal suo commento. Non percepisco rancore negli articoli che abbiamo pubblicato, vedo solo una fedele descrizione della realtà, soprattutto in questo che lei ha commentato.

      La redazione del blog è composta da soci ANS, e come tali rispettiamo fedelmente i 13 punti dello statuto (https://www.assembleasarda.org/chi-siamo/).

      In questo blog ospitiamo tantissimi contenuti di persone esterne ad ANS e alla nostra redazione, come questo articolo, se aderenti ai nostri valori. Lo facciamo per favorire la nascita di dibattito e fornire punti di vista diversi ai nostri lettori.

      Qualora non fosse d’accordo con uno o più articoli e volesse condividere il suo punto di vista, la invito a mandarcene uno suo; qui può trovare tutte le informazioni necessarie per contribuire: https://www.sindipendente.com/collabora/.

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