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“Mare Aperto” sbarca in Sardegna

de Roberta Olianas

L’ operazione “Mare Aperto” è la più grande delle esercitazioni predisposte dalla Marina militare dello Stato italiano.
Attiva ormai da diversi anni, il 3 maggio scorso ha esordito nella sua edizione 2024.
Di cosa si tratta esattamente?

Nel sito ufficiale della Marina è riportata la notizia che descrive l’ operazione come “la più importante esercitazione pianificata e condotta dal Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare”; non una esercitazione qualunque, quindi, ma una manovra militare che vedrà la partecipazione di 9500 soldati ed il coinvolgimento di 22 stati,  11 dei quali appartenenti all’ Alleanza atlantica.

Non basta: il dispiegamento di forze riguarderà un centinaio di mezzi tra flotta, aeromobili,sommergibili e apparecchi a pilotaggio remoto.
L’ addestramento durerà circa quattro settimane e si concluderà il prossimo 27 maggio.

Ad essere coinvolti non saranno soltanto mezzi e uomini della Marina militare insieme  alla fanteria marina ed a mezzi aeronavali della Guardia Costiera, ma anche numerose unità di altri corpi armati quali Esercito, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza.
Sullo scenario, incursori, subacquei, mezzi cingolati o a ruote. 

Aurelio De Carolis, Comandante in Capo della Squadra Navale, in merito ha dichiarato che “lo Strumento marittimo potrà mettere alla prova tutte le sue capacità, agendo nel contesto multidominio e restando interconnesso attraverso le infrastrutture degli innovativi domini cyber e spazio” ed ha aggiunto che “gli impegni della Marina Militare non sono mai stati così numerosi e sfidanti, con ruoli di comando assolti in tutta l’area del Mediterraneo Allargato”.

All’ enorme dispiegamento di mezzi e uomini con le stellette, si uniranno le collaborazioni delle autorità locali, della Croce Rossa Italiana e del Corpo Italiano di soccorso Ordine di Malta e di ben 15 Università italiane che manderanno a bordo della squadra navale 65 unità composte da studenti e studentesse e personale docente in accompagnamento, a sancire il legame di lunga data degli atenei con i comparti della Difesa. 

Una smisurata e potente operazione interforze ed interagenzia, quindi, che avrà come teatro uno spazio che va “dal Mar Jonio alle coste francesi inglobando la Sicilia, la Sardegna e la Corsica”.

In Sardegna ad essere fortemente coinvolta sarà la base militare di Teulada, che ha avuto da sempre un ruolo centrale in questo tipo di operazioni. 

Anche per i più disattenti è stato facile notare le colonne di mezzi militari che hanno invaso i giorni scorsi le principali strade isolane, in particolare modo la S.S. 130, tratta dei convogli che raggiungono la base.

E come ogni esercitazione che si rispetti, è stata puntualmente emessa l’ordinanza di interdizione da parte del Capo del Circondario marittimo e comandante del Porto di Cagliari.

Attraverso coordinate latitudinali e longitudinali l’ordinanza individua gli specchi d’acqua interessati dalle esercitazioni addestrative, suddivisi in aree, e dispone contestualmente l’interdizione integrale nell’area denominata “Alfa Parziale”. Pertanto, sarà vietato navigare, ancorare e sostare con qualunque unità, sia da diporto che ad uso professionale; praticare attività di immersioni subacquee, la balneazione e il relativo accesso e le attività di pesca; ogni attività connessa all’uso del mare non espressamente autorizzata; inoltre, sarà tassativo mantenersi ad una distanza di 1000 (mille) metri dall’unità navale militare debitamente segnalata. 

Alla luce di tutto ciò, emergono alcune considerazioni. 
La prima è di ordine economico, a causa del carattere invasivo e pervasivo delle attività addestrative di tale portata che, come detto in apertura, hanno una frequenza pressoché annuale e sottopongono i territori coinvolti a pesanti restrizioni, con gravi e ripetute limitazioni alla fruizione degli stessi da parte delle comunità, e ripercussioni economiche sulle attività ittiche e di tutte quelle che dall’ interdizione subiscono una riduzione parziale e/o totale della propria autonomia.

La seconda considerazione è di carattere politico-istituzionale ed afferisce ai rapporti tra la Sardegna e lo Stato italiano.
Dagli anni Cinquanta l’ isola subisce pesantissimi gravami militari, senza che vi sia mai stata da parte dei governi una reale intenzione di ridimensionarne l’impatto e pervenire ad una più equa distribuzione del demanio e delle conseguenti servitù.

Se escludiamo l’ esperienza dei primi anni ‘80 da parte di Mario Melis, prima assessore e successivamente Presidente della Regione, la classe politica sarda, salvo qualche sporadica iniziativa, si è guardata bene dal mettere radicalmente in discussione interessi che non sono solo quelli della Difesa, ma anche quelli delle industrie, in particolar modo dei colossi produttori di armi, che nei poligoni sardi sperimentano nuovi e sempre più sofisticati sistemi d’arma.

Una riflessione sul tema della sovranità appare quanto mai necessaria, se la Sardegna vorrà realmente essere attrice nelle decisioni che la riguardano.
La terza considerazione, più che mai attuale, è di carattere ambientale.

Giova ricordare che a Teulada, nella superficie del cosiddetto Poligono Delta (o penisola di Capo Teulada), di circa 2,78 kmq, le condizioni dell’ecosistema sono deteriorate a tal punto da rendere il luogo non più bonificabile (se non a fronte di un massiccio intervento) e praticamente interdetto agli stessi militari, per l’elevato rischio di esplosioni di materiale ancora attivo e di conseguenti incendi, con un danno non quantificabile all’ incolumità non solo dei militari, ma delle comunità che vivono nelle zone limitrofe.

L’ area è stata per lungo tempo utilizzata per le esercitazioni, per i tiri contro costa, l’ abbattimento di bersagli, spesso inseriti in vere e proprie ricostruzioni di “assetti nemici”.
Va ricordato anche che quest’area altamente inquinata e difficilmente ripristinabile è all’ interno di un Sito di Interesse Comunitario (SIC), come definito dalla direttiva comunitaria n. 43 del 21 maggio 1992, (92/43/CEE) “Direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche” conosciuta comunemente con il nome di Direttiva Habitat,  che lo Stato italiano ha recepito nel 1997.

Le gravi condizioni di inquinamento hanno fatto approdare i vertici militari in Tribunale: cinque alti ufficiali dell’Esercito, che hanno ricoperto ruoli di grande importanza nel governo della base, sono imputati per azioni che hanno  compromesso irrimediabilmente il territorio e per il mancato rispetto delle procedure per la corretta gestione, il recupero, lo stoccaggio ed infine lo smaltimento dei residuati delle esercitazioni.

Per offrire un’ idea delle proporzioni delle operazioni di addestramento, i colpi al bersaglio mediante l’ uso di missili, razzi ed artiglieria, si avvicina alle 700000 unità in un lasso di tempo di neanche cinque anni.
Le prime fasi processuali volte ad accertare le responsabilità sono in corso.
Tutto ciò considerato, è utile domandarsi alcune cose.

Anzitutto quale sarà l’impatto a breve, medio e lungo termine che la complessa operazione di addestramento “Mare Aperto 2024” avrà sullo spazio utilizzato. 
In secondo luogo sarebbe interessante sapere se e con quali tempi e modalità è prevista un’ opera di recupero dei residuati dai fondali e da tutti i luoghi interessati dalle attività addestrative; che ne sarà degli ordigni, finanche di quelli eventualmente inesplosi, e di tutto il materiale con potere esplodente, vero e a salve, che si  riverserà nell’ ambiente; quali sostanze invaderanno terra, aria e acqua e quali saranno gli effetti certi e/o potenziali dei composti chimici sugli ecosistemi e sulla popolazione.  

È altresì necessario porsi il problema etico della guerra come profitto e come mercato per i produttori di armi e, contestualmente, della sperimentazione sul suolo isolano di armamenti impiegati nei vari conflitti bellici che affliggono il globo terrestre. 

È lecito ed oltremodo opportuno stimolare un dibattito sempre più risoluto rispetto alla necessità di spezzare il cortocircuito che vede da un lato il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie, ormai relegato ad un mero enunciato su carta, e dall’altro una crescente invasività delle attività militari e dell’industria bellica a danno del valore supremo della pace, della qualità della vita e della salute delle comunità coinvolte, nonché della salvaguardia del delicato equilibrio e della salubrità degli ecosistemi.

E, ultimo ma non meno importante, pretendere che sia un diritto imprescindibile del popolo sardo potersi opporre ai giochi bellici nelle sue acque e nella sua terra, ancor più in un contesto tristemente imbarbarito da fronti sempre più caldi, minacce nucleari e un vicino oriente in balia di un sistema basato sulla militarizzazione e sulla costante espressione del proprio potenziale bellico.


Immagine: TGR Rai 3

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