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Otto Marzo: intersezionalità e autodeterminazione

Otto marzo 2023, la Giornata internazionale dei diritti della donna che ricorda sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo. La data corrisponde alle manifestazioni che si svolsero in Russia dall’8 all’11 marzo 1917 (23-26 febbraio secondo il calendario giuliano), e che avrebbero finito per abbattere il secolare dominio dei Romanov. Le prime a scendere in piazza per le strade di Pietrogrado (San Pietroburgo) l’8 marzo 1917 furono le donne.

La data sarà quindi unificata all’8 marzo, in ricordo delle donne russe, nel giugno del 1921 durante i lavori della Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca. È associata alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita il 17 dicembre 1999 e che cade ogni anno il 25 novembre. Viene celebrata negli Stati Uniti d’America a partire dal 1909, in alcuni Paesi europei dal 1911 e in Italia dal 1922. 

Quale è il senso di questo momento di riflessione? La prima considerazione che emerge è senza dubbio da riferirsi al tragico incremento di femminicidi, la forma di violenza più efferata e più immediatamente visibile sulle pagine della cronaca. Nel 2022 ci sono state 124 donne uccise, contro le 119 del 2021. Soprattutto le tragedie avvengono nell’ambito della famiglia e degli affetti. Nel 2023 sono già 20 le donne uccise.  

Ma la violenza ha tanti volti. In occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna dell’8 marzo 2022, il Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell’interno ha pubblicato, sul proprio sito web, il documento Donne vittime di violenza, in cui vengono esaminati i dati riguardanti i cosiddetti “reati spia” della violenza di genere ovvero quei delitti che, essendo espressione di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, diretta contro una donna in quanto tale, sono indicatori di violenza di genere (atti persecutori, di cui all’art. 612-bis c.p., maltrattamenti contro familiari e conviventi, di cui all’art art. 572 c.p. e violenze sessuali, di cui agli artt. 609-bis, 609-ter e 609-octies c.p.). 

I dati messi a confronto sono quelli relativi al quadriennio 2018-2021, coincidente anche con la convivenza forzata dovuta al covid, dai quali si rileva un tendenziale incremento per tutte le fattispecie in esame; l’incidenza delle vittime di sesso femminile sul totale delle vittime si mantiene pressoché costante, attestandosi intorno al 75% per gli atti persecutori, mentre presenta valori oscillanti tra l’81 e l’83% per i maltrattamenti contro familiari e conviventi e tra il 91 e il 93% per le violenze sessuali. Il report contiene anche una dettagliata indagine circa la diffusione geografica di tali reati (le regioni in cui si registra l’incidenza maggiore di atti persecutori e maltrattamenti sono Sicilia e Campania, mentre per le violenze sessuali l’incidenza maggiore si registra in Emilia Romagna e Liguria), l’età delle vittime (che sono maggiorenni nella quasi totalità dei casi di atti persecutori e maltrattamenti e nel 92% delle violenze sessuali) e la loro nazionalità (italiane nel 77% dei casi di maltrattamenti e violenza sessuale, con un picco dell’88% per gli atti persecutori). 

Inoltre le forme di violenza comprendono: quella domestica, gli stupri, il traffico di donne e bambine, l’induzione alla prostituzione e i soprusi perpetrati in occasione dei conflitti armati, gli omicidi, gli stupri sistematici, la schiavitù sessuale e le maternità forzate. In questo genere di violenza rientrano inoltre i delitti d’onore, la violenza collegata alla dote, gli infanticidi femminili e la selezione prenatale del sesso a favore dei bambini di sesso maschile, le mutilazioni dell’apparato genitale femminile, e altre pratiche e tradizioni dannose.  

Oltre che per abusi e reati, l’otto marzo è anche una occasione per riflettere sul fenomeno del gender gap che è un problema non solo morale ma anche economico: il divario tra uomo e donna nei redditi, nell’accesso all’istruzione, ai servizi sociosanitari e alla vita politica, è una piaga che viene curata troppo lentamente. Un grave danno per le speranze di crescita di un Paese. Lo confermano numerosi studi scientifici e le esperienze degli Stati più virtuosi. 

In occasione della Giornata internazionale delle donne 2022, l’organizzazione Amnesty International ha sollecitato un’azione decisa per fermare l’erosione dei loro diritti. «Quanto accaduto nel 2021 e nei primi mesi del 2022 ha contribuito a schiacciare i diritti e la dignità di milioni di donne e di ragazze. Le crisi mondiali non hanno conseguenze uguali per tutte le persone, né colpiscono in modo equo. Le conseguenze, sproporzionate, nei confronti delle donne e delle ragazze sono ben documentate ma ancora trascurate, se non del tutto ignorate. Ma i fatti parlano chiaro.

La pandemia da Covid-19, il completo passo indietro sui diritti delle donne in Afghanistan, le violenze sessuali di massa nel conflitto dell’Etiopia, gli attacchi all’accesso all’aborto negli Stati Uniti e il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul sono, singolarmente, gravi erosioni dei diritti, ma messe insieme costituiscono qualcosa di ancora più terribile. Dobbiamo resistere a questo assalto globale ai diritti e alla dignità delle donne, e respingerlo» (Agnès Callamard, Segretaria generale di Amnesty International). 

Questi dati sono tutti indicativi di un evidente aumento di tutte le forme di violenza perseguibili, ma esistono altri modi, meno visibili ma non meno discriminatori, come si diceva all’inizio, relativi ai rapporti di lavoro, alle pressioni psicologiche, all’intrecciarsi di più fattori concomitanti di subordinazione della donna a cui si aggiungono altre realtà cosiddette non binarie, ovvero i gender. 

L’ultima ondata di Femminismo viene a tal proposito definita “Intersezionale”. La lunga storia del Femminismo e delle sue lotte, ha portato a molte conquiste, sia sul piano dei diritti civili e politici, che all’approvazione di alcune leggi di tutela; pensiamo a quando nel 1996, la violenza sessuale diventa reato contro la persona e non più contro la morale pubblica, o alla convenzione di Istanbul del 2011, attuata in Italia con una legge del 19 giugno 2013, che riconosce e punisce una serie di delitti caratterizzati (aggravati) da violenza contro le donne e prevede azioni di prevenzione e interventi a sostegno delle vittime. 

Ma con il femminismo intersezionale l’azione politica si fa più intensa. Solo nel fare rete, nel collegare le diverse categorie discriminatorie di un sistema capitalista/ razzista/ patriarcale/ sessista/ colonialista, si può attivare un processo di autodeterminazione, che deve iniziare dal proprio corpo, dalla percezione della propria immagine libera dagli stereotipi che il sistema impone.

E anche in Sardegna questa rete ha trovato radici, collegandosi alla più ampia lotta per l’autodeterminazione del popolo sardo. “Annodando, grazie al femminismo, storia e memoria, passato e presente, distanza fisica e distanza del cuore, come donne e come corpi fuori posto e fuori norma lasciamo alle brùscias che verranno, un pezzo di strada battuta in più, lungo il cammino che ancora attraversiamo per imparare a farci finalmente centro”. (Cit. Benedetta Pintus giornalista e scrittrice).  

Per concludere, la strada da percorrere per superare il sistema patriarcale e maschilista che ancora oggi, nel mondo come in Sardegna, costringe le donne e i gender in una condizione subalterna, è lunga e necessariamente complessa, in quanto ad esso corrisponde una forma di potere capitalista e neocolonialista di forza e sopraffazione delle parti fragili che tende a mantenere tali.

Solo con una continua e concreta intersezionalità che coinvolga e intrecci più lotte per un comune obiettivo e che comprenda una equa visione politica e economica del mondo, la giornata dell’otto marzo sarà simbolo di un fronte comune a favore dell’autodeterminazione dei corpi e dei popoli


Immagine: sullarazza.it


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