Il turismo e le professioni impossibili: Giornata Internazionale della Guida Turistica

de Roberta Olianas

Il calendario delle giornate celebrative è ricchissimo di eventi da ricordare, siano essi a carattere ironico e ludico, o serio e drammatico. Il panorama delle “Giornate mondiali” e di quelle “internazionali” è un mare magnum nel quale sguazzare sicuri di trovare ad ogni sorgere del sole una ricorrenza.

Ogni giorno il mondo ha qualcosa da festeggiare o su cui riflettere. Talvolta si tratta di celebrazioni dal carattere quasi giocoso – pensiamo ad esempio alla giornata mondiale del bacio – altre volte sono occasioni per ricordare eventi importanti che in qualche modo hanno segnato la nostra storia, lasciando tracce che meritano di non essere dimenticate. Non mancano poi le occasioni nelle quali un evento di commemorazione perde il suo significato originario per diventare una festa consumistica.

Così, nel veleggiare tra una ricorrenza e l’altra, approdiamo alla data odierna: 21 febbraio.

Oggi, accanto alla forse meglio conosciuta giornata internazionale della lingua materna, particolarmente sentita da parte delle popolazioni che parlano le cosiddette “lingue minoritarie” e legata a doppio filo anche alla spinosa questione delle nazioni senza Stato, si celebra la meno nota Giornata Internazionale della Guida Turistica.

Tale ricorrenza, decisamente di nicchia rispetto alla popolarità della sua concorrente, è stata istituita nel 1990 dalla World Federation Tourist Guide Associations e in Italia è promossa dall’Associazione Nazionale Guide Turistiche (ANGT). Il suo nobile intento è quello di creare riconoscimento diffuso della professione della guida turistica, quale interprete di un patrimonio culturale, ambientale, architettonico e artistico, in forma materiale e immateriale, da rendere fruibile a viaggiatori, turisti e visitatori in genere. A esso, nelle diverse edizioni degli scorsi anni, si sono aggiunte altre preziosissime finalità.

Una su tutte: la valorizzazione di siti meno conosciuti e apprezzati, fuori dai circuiti del turismo di massa, dall’ipercommercializzazione e, spesso, dallo snaturamento stesso dei significati intrinseci ai beni culturali o alle tradizioni connaturate ad un luogo, che merita di essere vissuto, più che piegato a modelli estranei al contesto o, ancor peggio, “consumato” come un pasto vorace di cui si perdono sapori e sfumature.

Luoghi stupendi e opere straordinarie vengono ammirate ogni giorno da migliaia di persone, che quasi mai hanno il tempo di cogliere dettagli e soffermarsi sulle sensazioni, di leggere oltre, in contesti dove opere di grandissima fama sono destinate a uno sguardo superficiale di qualche secondo e molte altre a essere vittime del totale disinteresse del visitatore.

Se è vero che molti dei luoghi dove si concentrano grandi patrimoni artistici – pensiamo ad esempio ai musei di fama planetaria – hanno il pregio di raccogliere, conservare, mantenere e tutelare opere di valore inestimabile, è altrettanto vero che la fruizione diventa spesso deludente, si trasforma in percorsi museali nei quali ci si ubriaca d’arte e in un paio d’ ore si vaga tra centinaia di opere, per poi lasciare il museo con una gran confusione in testa. Del “viaggio” resta poco, forse ciò che già si conosceva, sebbene a distanza.

La bellezza ha bisogno di tempo e, per goderne, è necessario che ci si disponga all’ascolto.

Ogni luogo, e con esso ogni opera, non è fine a sé stesso e ha bisogno, per essere compreso, che qualcuno ne sia interprete, che stimoli curiosità, apprezzamento e costruisca le innumerevoli connessioni possibili con il contesto. Perché una statua o un quadro, una chiesa, un affresco, non sono mai soltanto questo: sono elementi di un universo più ampio, che raccontano società, modi di vivere, e un passato che è contenuto nel presente che viviamo.

Ecco quindi che la guida turistica ricopre un ruolo fondamentale, che è anche quello di sensibilizzare l’osservatore al rispetto dei luoghi, poiché se l’individuo ri-conosce valore, è portato a prendersene cura o, comunque, a guardarlo con occhi nuovi. E questo avviene spesso con gli stessi abitanti del luogo, che scoprono le loro bellezze, magari guardate distrattamente fino al giorno prima, e iniziano ad apprezzarle e ad amarle.

Non ci sono dubbi su quanto sia prezioso questo filtro tra il visitatore e il patrimonio culturale. Ciò potrebbe far pensare che quella della guida turistica sia una professione riconosciuta, tutelata e valorizzata a tutti i livelli. E in Sardegna? Quanto si valorizza una figura professionale così importante in un’isola dove da decenni non si sente altro che una frase diventata ormai una litania: “La Sardegna potrebbe vivere di turismo”?

La risposta è: per nulla.

E il motivo è da ricercare in ambito giuridico, quindi istituzionale e, infine, di (non) volontà politica. Da anni in Sardegna il settore delle professioni turistiche è sprofondato nel caos e nell’incertezza e la ragione è da attribuire all’assenza di una normativa che regolamenti le professioni in ambito turistico. Un tempo si faceva riferimento alla Legge regionale 18 dicembre 2006, n. 20 – “Riordino delle professioni turistiche di accompagnamento e dei servizi”. Essa conteneva la disciplina atta all’individuazione delle figure professionali del settore. Secondo questa normativa, coloro in possesso dei requisiti potevano iscriversi al registro regionale istituito ad hoc. Per quanto riguarda i requisiti, dall’art. 5, punto 2a, si evince che l’accesso era possibile con due modalità differenti. La prima era l’accesso diretto, mediante istanza alla Provincia che curava l’istruttoria e verificava il possesso formale dei requisiti, ossia tirocinio e laurea in materie afferenti all’ambito turistico. La seconda era l’accesso, previo tirocinio, subordinato al superamento di una prova d’esame, che doveva essere bandito ogni due anni.

La normativa aveva delle criticità.

In primo luogo, la considerazione delle lauree afferenti non seguiva un criterio chiaro, perciò si accoglievano come idonei titoli che afferivano sì all’ambito umanistico, ma che con il turismo non avevano nulla da spartire, mentre altre non godevano delle stesse possibilità. Questo ha creato anche interpretazioni differenti sui titoli di accesso tra le province chiamate all’analisi dei requisiti. In secondo luogo, nel tempo di operatività della legge 20/2006, circa undici anni, l’esame per coloro che non avevano titoli considerati afferenti è stato bandito soltanto due volte. Così, a fronte di tanti soggetti che investivano sulla professione turistica per il proprio futuro, le misure previste per l’accesso erano non solo non rispettate, ma del tutto disattese.

Benché rivedibile e migliorabile, anche con requisiti più restrittivi, quella legge era però l’unica a disciplinare, e di fatto a consentire, l’iscrizione al registro.

Nel dicembre del 2017 la stessa legge regionale 20/2006 è stata sospesa per la parte relativa alla guida turistica, mediante una disposizione contenuta nella legge finanziaria. La complessità della situazione va indagata alla luce dei contrasti normativi tra Stato e Regioni per la competenza in materia turistica.

La scelta è stata determinata dalla politica statale che intendeva introdurre la “guida turistica nazionale”, figura ancor più qualificata, per un elenco di siti considerati di particolare interesse. Direzione che poi si è risolta in un nulla di fatto. Da quel momento non è stato più possibile accedere alla professione di guida turistica.

Questo ha inciso fortemente sulle realtà che si occupavano di formazione, tirocinio e affiancamento, ma soprattutto su coloro che di base erano già titolati nella pratica ad operare in campo turistico, poiché provenienti da percorsi di formazione specifici del settore. Dopo un lustro dalla sospensione, la situazione rimane invariata e l’ambito delle professioni turistiche continua ad essere una questione complessa che nessuno a livello istituzionale sembra voler considerare.

Di fatto quello che viene presentato come un possibile settore traino dell’economia (e qui ci sarebbe tanto da dire, numeri alla mano, sulle favole che circolano) con tutti i bei discorsi sulla valorizzazione del patrimonio, sulla destagionalizzazione dei flussi turistici e così via, vive di assalti stagionali, di improvvisazione, e non di una seria programmazione, che necessariamente dovrebbe partire da investimenti sul tessuto professionale, affinché molti progetti di valorizzazione reale del territorio possano avere ali per essere realizzati. Ancora una volta, chiedersi “quale turismo?” può essere utile per ri-pensare un sistema importante, all’interno del quale i professionisti possano essere incoraggiati e sostenuti; un sistema dove si investe sulla valorizzazione delle competenze e su quella dei siti.

Forse allora potremo avere, davvero, qualcosa da festeggiare.


Fotografia: unsplash.com

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