Revoca dell’immunità a Puigdemont & co. Le lacrime tardive degli indipendentisti liberal

de Cristiano Sabino


Nei giorni euforici del referendum per l’indipendenza della Catalogna, dove tutto sembrava possibile e a molti è sembrato di poter toccare con mano la nascita di una nuova repubblica, in un contesto di trionfo di partecipazione democratica, per le strade di Barcellona non si sentiva ripetere altro che questo: «ora l’Europa dovrà ascoltarci».
Era il trionfo dell’indipendentismo liberale e liberaldemocratico, una nuova fase dopo che per anni – per lo meno nella penisola iberica – aveva dominato il modello conflittuale e di sinistra, soprattutto nel Paese Basco.
In molti hanno tirato un sospiro di sollievo: finalmente – si diceva anche in Sardegna – l’epoca dello scontro e della conflittualità è finita; ora si afferma un indipendentismo moderato, europeista, liberale, inteclassista e trasversale.

Ovviamente si trattava di analisi all’ingrosso che facevano astrazione del ruolo della sinistra indipendentista che si era dimostrata determinante non solo nella radicalizzazione della posizione indipendentista nella società, ma che aveva anche determinato scelte strategiche fondamentali come per esempio la formazione del governo Puigdemont con il veto sulla compromessa e corrotta figura di Artur Mas.
Non si trattava solo di posizioni politiche maggioritarie in Catalogna e fuori dalla Catalogna, ma di un vero e proprio senso comune radicatissimo nella società civile catalana pro indipendenza.

Chi, come me, ha passato i giorni e le notti nei seggi elettorali occupati dai comitati di quartiere, non può dimenticare la radicata convinzione delle persone che – in maniera quasi ossessiva – si ripetevano che “ora l’Europa non potrà più ignorarci, dovranno riconoscere la volontà democratica dei catalani ad avere un loro nuovo Stato”. La fiducia nell’Unione Europea era alle stelle.
Il cittadino catalano, mediamente, vedeva le cose più o meno così: la Spagna è uno stato arretrato, una monarchia militarista e rigida, statica e dalla democrazia profondamente inficiata dai retaggi del franchismo. L’Europa politica presto avrebbe capito la necessità dei catalani di guadagnare una loro specifica connotazione politica attraverso un percorso democratico, di piena integrazione europea e di adesione ai capisaldi del pensiero economico e politico liberale.

Poi sono arrivati il mancato riconoscimento del risultato del Referendum sull’autodeterminazione del 2017 da parte di tutti gli Stati membri, la scarsa indignazione verso le truci violenze della polizia spagnola, il silenzio assenso sulla politica di commissariamento delle istituzioni autonomistiche catalane e soprattutto sull’ondata di arresti dei dirigenti politici e culturali catalani.
Eppure, per decenni, l’Unione Europea aveva nicchiato verso le torture dei militanti baschi e perfino verso l’attività dei GAL, i corpi paramilitari spagnoli che periodicamente mettevano a segno assassini mirati di esponenti veri o presunti di ETA (l’organizzazione armata basca).
Ma appunto – si pensava – quella era un’altra storia, un’altra visione dell’indipendentismo, rapidamente diventata vetusta e soppiantata dal nuovo modello gioioso, liberal, fideisticamente europeista.

Ieri, 9 marzo 2021, arriva – certamente non inaspettato – l’esito del voto del Parlamento Europeo sull’immunità ai tre eurodeputati catalani accusati dalla Spagna di sedizione, tra cui lo stesso ex President de la Generalitat Carles Puigdemont, riparato in Belgio dopo l’esito referendario per evitare l’arresto da parte delle autorità borboniche neofranchiste.
Con una maggioranza di 400 eurodeputati contro 248, (e 45 astenuti) l’Europarlamento si è schierato per il ritiro dell’immunità garantita finora ai tre eurodeputati catalani di cui il Regno di Spagna chiede l’estradizione. I dirigenti catalani sono accusati – vale la pena ricordarlo – di ribellione e sedizione per aver organizzato un referendum democratico in piena coerenza con il diritto all’autodeterminazione dei popoli, diritto sostenuto e difeso dall’Unione Europea in più di una occasione sullo scacchiere geopolitico internazionale.

Ma evidentemente – per la maggioranza degli eurodeputati e delle forze politiche rappresentate – il diritto democratico a decidere non vale ovunque e non tutti i popoli ne hanno diritto.
L’ordine di scuderia bipartisan di popolari, socialisti e liberali che siedono al Parlamento Europeo ha determinato il si alla revoca.
In minoranza, il gruppo verde e quello della Sinistra Unitaria Europea si sono espressi per il mantenimento dell’immunità. Che cosa succede adesso ce lo spiega in un post su fb il giornalista Marco Santopadre, attento da sempre alla lotta dei popoli e delle Nazioni senza Stato: «Il risultato del voto è che vengono riattivate le procedure per l’estradizione dei tre europarlamentari, regolarmente eletti alle ultime elezioni europee. Ora la palla passa ai tribunali del Belgio, dove vivono in esilio Puigdemont e Comìn, e della Scozia dove si è invece rifugiata Clara Ponsatì. La magistratura belga ha negato a gennaio l’estradizione in Spagna dell’ex conseller catalano Lluis Puig, anche lui rifugiato a Bruxelles. Sempre la magistratura belga ha bloccato l’estradizione di Josep Valtonyc, un rapper catalano condannato in Spagna a tre anni e mezzo di reclusione a causa dei testi delle sue canzoni».

L’indipendentismo liberale, naïf, europeista in maniera quasi fideistica non morirà certo oggi a causa del voto dell’Europarlamento, ma certo incassa un brutto colpo. La delusione, per esempio, è palpabile anche in Sardegna, tra le fila di quel ceto politico e culturale indipendentista formatosi nell’idea che il liberalismo e l’europeismo fossero le chiave di volta dell’autodeterminazione possibile per l’isola.
L’Europa politica (per lo meno i gruppi che davvero contano e che determinano la linea politica della UE) che avrebbe dovuto essere il garante dei «diritti sociali, civili, economici e politici dei cittadini e delle cittadine del continente» – rubo sempre dal post di Santopadre – ha invece gettato la maschera rivelandosi per quello che è. Già l’indipendentista sardo Simon Mossa lo aveva capito in tempi non sospetti: il percorso di integrazione europea sarebbe presto diventato una «fredda unione di stati concentrati al vertice» e non certo una federazione di popoli liberi.

Il voto di ieri rappresenta non solo una pagina vergognosa per la democrazia e per il rispetto dei diritti civili e politici delle persone, ma anche un pericoloso precedente e un messaggio preciso per tutti subalterni che si trovano ad agire nell’eurozona: gli Stati membri possono e debbono cedere sovranità quando si tratta di questioni finanziarie e di smantellare diritti sociali e welfare, ma la mantengono intatta per preservare il proprio dominio sui popoli, sulle minoranze e per reprimere il dissenso interno come meglio credono.
Proprio un bell’affare insomma, con buona pace dei sogni liberal degli indipendentisti di mezza Europa e di quelli sardi che oggi piangono tardive lacrime amare.


Fotografia de presentada: Linkiesta 

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