Sardegna maglia nera per dispersione scolastica. Perché?

de Francesco Casula.
Introdutzione de Ninni Tedesco Calvi

Anno dopo anno la Sardegna continua a mantenere ben saldo il triste primato nella classifica di abbandono e dispersione scolastica nella Secondaria superiore. Dai dati 2019-2020 risulta che il 23% dei ragazzi sardi di età compresa tra 18 e 24 anni non ha un diploma ma è in possesso soltanto della licenza media. Significa che hanno abbandonato gli studi a 14 anni o li hanno interrotti durante le scuole superiori. La Sardegna è distanziata di 9 punti e mezzo dalla media italiana, attestata sulla percentuale di 14,5%. A snocciolare i numeri preoccupanti è la Fondazione Open Polis sempre precisa nel fotografare la situazione giovanile dal punto di vista dell’istruzione. Complessivamente, anche dai dati provinciali generalmente analizzati, sono i territori del Sud Italia a emergere come i più svantaggiati. Pur essendo al di sotto dell’obiettivo italiano del 16%, il tasso di abbandono scolastico sardo si situa a notevole distanza dal parametro di riferimento UE 2020 del 10%.
Su questo argomento proponiamo una riflessione interessante, con ipotesi di alcune cause fortemente legate a situazioni specifiche del nostro territorio, del Prof. Francesco Casula, intellettuale, scrittore, giornalista, cultore della lingua sarda.

I record della scuola sarda: prima nella dispersione scolastica.
Nel campo dell’istruzione la Sardegna continua a detenere record poco invidiabili: è ancora al primo posto – come del resto negli anni scorsi – in Italia per dispersione scolastica, seguita dalla Sicilia e dalla Campania. La percentuale nell’isola è del 18% e Nuoro tocca il record con il 42,7% dei “dispersi”.
Gli studenti sardi sono più tonti di quelli italiani? O poco inclini allo studio e all’impegno? Abbiamo docenti più scarsi o più severi? Io non credo. Come non penso che svolgano più un ruolo determinante o comunque esclusivo, la mancanza o l’insufficienza delle strutture scolastiche (laboratori, trasporti, mense ecc.), anche se certamente influenzano negativamente i risultati scolastici.

E allora?
E allora i motivi veri sono altri: attengono alle demotivazioni, al senso di lontananza e di estraneità di questa scuola. Che non risulta né interessante, né gratificante, né attraente. La scuola italiana in Sardegna, infatti, è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Dunque, non a un sardo. E tanto meno a una sarda.
È una scuola che con i contesti sociali, ambientali, culturali e linguistici degli studenti non ha niente a che fare. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo, nell’organizzazione.

Provate a chiedere a uno studente sardo che esca da un liceo artistico, cosa conosce di una civiltà e di un’architettura grandiosa come quella nuragica, sicuramente fra la più significative dell’intero Mediterraneo; provate a chiedere a uno studente del liceo classico cosa sa della parentela fra la lingua sarda e il latino; provate a chiedere a uno studente di un Istituto tecnico per ragionieri e persino a un laureato in Giurisprudenza cosa conosce di quel monumentale codice giuridico che è la Carta de Logu di Eleonora d’Arborea. Vi rendereste conto che la storia, la lingua e la civiltà complessiva dei Sardi dalla scuola ufficiale è stata non solo negata ma cancellata. Permane una scuola monoculturale e mono-linguistica, negatrice delle specificità, tutta tesa allo sradicamento degli antichi codici culturali e basata sulla sovrapposizione al “periferico” di astratti paradigmi e categorie che le grandi civiltà avrebbero voluto irradiare verso le civiltà considerate inferiori.

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Foto: Endri Killo on Unsplash

Questa scuola ha prodotto in Sardegna, soprattutto negli ultimi decenni, giovani che ormai appartengono a una sorta di area grigia, a una terra di nessuno. Apprendono l’italiano a scuola ma soprattutto grazie ai media: ma si tratta di una lingua stereotipata, gergale, banale, una lingua di plastica, inodore, insapore e incolore. Ma una scuola monoculturale e mono-linguistica produce effetti ancor più gravi e devastanti a livello psicologico e culturale. Da decenni, infatti, la pedagogia moderna più attenta e avveduta ritiene che la lingua materna e i valori alti di cui si alimenta siano i succhi vitali, la linfa, che nutrono e fanno crescere i bambini senza correre il gravissimo pericolo di essere collocati fuori dal tempo e dallo spazio contestuale alla loro vita. Solo essa consente di saldare le valenze e i prodotti propri della sua cultura ai valori di altre culture. 

Negando la lingua materna, non assecondandola e coltivandola si esercita grave e ingiustificata violenza sui bambini, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico. Li si strappa al nucleo familiare di origine e si trasforma in un campo di rovine, la loro prima conoscenza del mondo. I bambini infatti – ma il discorso vale anche per i giovani studenti delle medie e delle superiori – se soggetti in ambito scolastico a un processo di sradicamento dalla lingua materna e dalla cultura del proprio ambiente e territorio, diventano e risultano insicuri, impacciati, “poveri” sia culturalmente che linguisticamente.

Di qui la mortalità e la dispersione scolastica.
Ite fàghere? Cambiare radicalmente la didattica, i curricula, la stessa mentalità di docenti e dirigenti scolastici. Per quanto attiene alla lingua sarda occorrerà finalmente partire dal dato – appurato scientificamente da tutti gli studiosi – che la presenza della lingua materna e della cultura locale nel curriculum scolastico non si configurano come un fatto increscioso da correggere e controllare ma come elementi indispensabili di arricchimento, di addizione e non di sottrazione, che non “disturbano” anzi favoriscono apprendimento e le capacità comunicative degli studenti, perché agiscono positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo.

Per decenni, l’impegno politico-sindacale, nel migliore dei casi, è stato finalizzato esclusivamente alla risoluzione dei problemi strutturali (aule, laboratori, palestre) o a quello dei trasporti; o a quello del personale e degli organici. Si è invece trascurata del tutto una questione cruciale: la catastrofica situazione della didattica. E dunque dei contenuti e dei metodi di una scuola che risulta semplice e piatta succursale e “dependance” della scuola italiana.
Negli indirizzi operativi per gli interventi a favore delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado della Sardegna per contrastare la dispersione scolastica e innalzare la qualità dell’istruzione e le competenze degli studenti, la lingua sarda non viene neppure citata. Come se non esistesse alcun rapporto fra il fallimento scolastico, la scarsa preparazione e la questione del Sardo. Rapporto invece dimostrato inequivocabilmente da studiosi e pedagogisti come Maria Teresa Catte e la compianta Elisa Spanu Nivola. 

O come se la didattica fosse ininfluente per l’apprendimento e la formazione. Scrive a questo proposito il compianto Nicola Tanda, già professore emerito di Letteratura e Filologia sarda nell’Università di Sassari: “Nelle classifiche della scuola superiore il Friuli occupa la prima posizione e la Sardegna quasi l’ultima. Mi domando: c’è qualche connessione tra questi risultati e l’uso proficuo che essi fanno della specialità del loro Statuto?”.

Foto de presentada: Meg Boulden on Unsplash

22 gen 2021

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