Scandalo Mont’e Prama: superare il giustizialismo, passare alla politica

de Danilo Lampis

Milioni di euro concessi con affidamenti diretti a diverse società riconducibili ad un unico operatore. Spese esorbitanti per risultati modesti e contraddittori. È questo, in estrema sintesi, il contenuto dello scandalo “Mont’e Prama e 150° Grazia Deledda”, emerso in queste ultime settimane grazie alle inchieste de l’Unione Sarda e di Sardiniapost

Se ai giornalisti spetta il compito di informare e a chi viene accusato quello di chiarire, ai sardi che giustamente si indignano spetta quello di aprire una riflessione che vada oltre l’approccio giustizialista. Anche perché, a ciò che si legge, non si riscontrano profili di illegalità negli affidamenti oggetto di inchiesta, dato che rispettano formalmente il principio di rotazione degli affidamenti  – previsto dall’art. 36 del d.lgs. n. 50/2016  – e il Decreto semplificazioni bis, che prevede la possibilità di utilizzare la procedura dell’affidamento diretto fino a 150 mila euro per i lavori e fino a 139 mila per i servizi e le forniture. 

Se l’approccio giustizialista risulta dunque improduttivo, lo è altrettanto l’arrendevolezza diffusa verso i rappresentanti di istituzioni pubbliche che dovrebbero adottare un’oculata e trasparente gestione dei fondi nell’interesse del bene comune e degli obiettivi da raggiungere. Il «tanto fanno sempre quello che vogliono» sarebbe il miglior regalo per la fitta trama di interessi trasversali che animano la ristretta oligarchia sarda che si muove a cavallo tra politica, fondazioni, società di consulenza, comunicazione ed enti del Terzo Settore. Di questo blocco di potere conservatore – capace pure di tingersi di un “progressismo” di facciata – ne emerge solo una fetta con queste inchieste. E pur di non avere gli occhi addosso da parte dell’opinione pubblica, scriverà presto i termini di un armistizio tra le parti confliggenti che al suo interno si contendono il travaso di risorse dalle casse pubbliche ai loro conti.  

Come è sempre accaduto, smetteremo presto di parlarne e tutto tornerà come prima. A meno che non si decida di costruire un imprevisto, riportando al “via” questo Monopoli sardo a nostre spese. Possiamo farlo soltanto se riflettiamo e agiamo sulle condizioni che rendono possibili questo preoccupante intreccio tra un pezzo importante dei rappresentanti delle istituzioni pubbliche e un ristretto gruppo di privati

La trama di interessi privati che lucra sull’indebolimento della PA 

Se lo si vuole mettere in discussione, occorre anzitutto mappare la sua presenza, perché la Regione, le fondazioni e le grandi istituzioni culturali sono soltanto il punto più alto di una piramide dove vanno considerati enti, Gal, Province, università e altre ramificazioni istituzionali. In secondo luogo, è bene partire dalla base della piramide, dal “margine” meno redditizio ma sicuramente centrale per la riproduzione del potere. E alla base troviamo i 377 comuni dell’isola e le loro Unioni, che ogni giorno sono per tanti versi costretti ad avere a che fare con questi pochissimi operatori economici. A loro vengono affidati pezzi di funzioni e servizi cruciali, dai servizi sociali alla progettazione e al project management, passando dal supporto agli uffici tecnici, amministrativi e contabili

La ragione di questo va rintracciata nell’indebolimento ultradecennale della Pubblica Amministrazione, costretta a politiche di esternalizzazione più o meno manifesta, dopo anni di blocco del turn-over, distruzione delle politiche formative e di assenza di una complessiva visione di innovazione delle sue missioni e funzioni. Un indebolimento che ne ha impedito il rinnovamento con il conseguente ingresso delle nuove generazioni, creando indirettamente sacche di nuovo precariato, soprattutto giovanile, ingaggiato con contratti a termine o con falsa partita iva proprio dalle società di consulenza, progettazione, comunicazione e assistenza tecnica, a cui vengono appaltate intere filiere di attività. Fenomeni che, chi fa parte di un’amministrazione comunale – come lo scrivente –, potrà confermare senza paura di essere smentito. 

Riprendendo alcune recenti osservazioni del Forum PA e del Forum DD, le tendenze attuali della PA, nel suo complesso, sono le seguenti: una progressiva e drammatica riduzione di unità, in particolare nell’ultimo decennio con il blocco del turnover, in luce di una struttura già sottodimensionata rispetto alle esigenze (14% di lavoratori impiegati nelle amministrazioni pubbliche sul totale degli occupati contro il 29% della Svezia, il 22% della Francia, il 18% della Grecia, il 16% dell’UK, il 15% della Spagna); un forte invecchiamento, che ha portato l’età media dei dipendenti pubblici a quasi 55 anni (se escludiamo le Forze Armate), facendoci conquistare il livello più alto dei Paesi OCSE, con meno del 2% di occupati tra i 18 e i 34 anni; una forte flessione della spesa in formazione del personale; una composizione del pubblico impiego ancora squilibrata verso i profili giuridici, con carenza nelle professionalità tecniche e di negoziazione; il ricorso crescente a figure precarie. 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Con gli organici ridotti all’osso, le carenze formative, le condizioni contrattuali, le responsabilità e tutte le problematiche da tempo denunciate, la PA non solo fatica a dare risposte alla cittadinanza e svolgere un ruolo di spinta propulsiva per lo sviluppo, ma non risulta appetibile per le giovani generazioni. In questo senso, anche le assunzioni per l’attuazione del PNRR sono una drammatica occasione mancata, essendo a tempo determinato, fino al 31 dicembre 2026. Assunzioni che invece sarebbero dovute essere a tempo indeterminato, all’interno di un piano pluriennale di rinnovamento con nuove norme, supporto delle amministrazioni, missioni strategiche e nuovi modelli di reclutamento

L’imprevisto politico da costruire 

L’unico imprevisto politico che può fare bene alla Sardegna, ridimensionando al contempo il ruolo sempre più ingombrante dei suddetti operatori economici, riportandoli da una funzione sostitutiva nella concretizzazione delle funzioni delle istituzioni pubbliche a una funzione di supporto degli stessi, è dunque dare battaglia per disegnare un piano pluriennale atto a rafforzare queste ultime rispetto alle capacità progettuali e attuative. Se nella contingenza vanno tenuti presenti i limiti vigenti rispetto alla capacità assunzionale – ovvero la possibilità di assumere –, normata dal D.L. 34/2019, è anche vero che sulla composizione dei nuovi organici della Regione e degli Enti Locali, in questi ultimi anni di sblocco del turn-over, poco si è ragionato. Perché si deve assumere? Quali profili professionali ingaggiare? Domande importanti, se si vuole davvero innovare le piante organiche, superando il rimpiazzo tout court del personale cessato

Sarebbe bene partire dalla mappatura delle necessità esistenti e dalla definizione delle nuove missioni strategiche per ogni filiera amministrativa, promuovendo un’integrazione verticale – attorno a comunità di progetto – e orizzontale all’interno dei diversi livelli, rispetto alle politiche cruciali per la nostra isola: per uno sviluppo economico sostenibile, soprattutto nelle aree marginalizzate, che siano le periferie o le aree interne; per il contrasto alla povertà educativa, alle disparità di genere, al disagio abitativo; per l’innovazione di processo e di prodotto del tessuto delle piccole imprese, un investimento inedito sulla filiera della conoscenza e della ricerca, una transizione energetica verso le rinnovabili a beneficio dell’isola tutta. Queste e tante altre sono missioni ineludibili e strategiche per un futuro della Sardegna che non faccia rima con disuguaglianze e dipendenza politica ed economica. 

Sulla base di queste, occorrerebbe poi orientare un massiccio investimento pubblico per reclutare e inserire le nuove generazioni, con un piano dei fabbisogni di personale coraggioso e coerente con le missioni di ogni ente. Ciò che si può fare con la capacità assunzionale esistente deve essere fatto, soprattutto sul piano delle Unioni dei Comuni, sfruttando la possibilità per le stesse di ottenere in cessione una parte delle capacità dei singoli comuni associati, prevista dall’art. 32, comma 5, del TUEL, e la possibilità di fare selezioni uniche – stavolta anche in assenza di un fabbisogno del personale – sfruttando l’articolo 3bis del DL 80/21. 

Ma non basterà, ed è qui che dovrebbe entrare in gioco la Regione, supportando con la legislazione e gli investimenti un processo di rinnovamento quantitativo, ma soprattutto qualitativo, del pubblico impiego. Con un obiettivo chiaro, che punti al potenziamento in forma aggregata dei comuni, degli enti e della Regione stessa: in questi luoghi dovranno trovare spazio nuove funzioni, dal project manager al service-designer, dal data scientist all’animatore territoriale, dall’esperto in contabilità verde al giurista ambientale. Professionalità che siano selezionate tramite concorso pubblico, con un’attenzione alle capacità e competenze organizzative in termini di pianificazione, mediazione, reazione a imprevisti, coesione di gruppo, leadership e via dicendo. 

Con questo rinnovamento non solo si renderebbero le istituzioni pubbliche più efficienti e al passo con i bisogni della cittadinanza del presente e del futuro, ma si creerebbero centinaia di posti di lavoro di qualità, diffusi in tutta l’isola, per tanti giovani altamente qualificati che o emigrano o lavorano in un tessuto di società private o cooperative che, spesso, non garantiscono condizioni lavorative soddisfacenti. Al contempo, permetterebbe a questi operatori di riorientare i propri investimenti per agganciare nuove necessità di mercato. In altri termini, sarebbe un incentivo all’innovazione dei propri servizi, da sostenere opportunamente con politiche pubbliche che li orientino verso risultati ad alto impatto sociale. Ne gioverebbero gli operatori slegati da connivenze con i potentati politici che faticano a trovare spazio in un mercato soffocato dalla tendenza alla concentrazione verso pochi e riconosciuti attori. 

Chiaramente, alla base di tutto ciò, servirebbe un contestuale investimento sulla formazione dei futuri professionisti, il che implicherebbe aprire un ragionamento sul ruolo delle università e dei percorsi post-laurea presenti in Sardegna. 

Un’alleanza tra amministrazioni locali e lavoratrici e lavoratori 

Chi dovrebbe farsi portatore di questa battaglia di rinnovamento delle filiere amministrative pubbliche? Sicuramente ciascun abitante di questa splendida terra, per i motivi sopra esposti. Ma se dovessimo individuare gli attori maggiormente interessati, sono certamente gli amministratori comunali e le centinaia di giovani precari impegnati in questi settori. 

I primi, perché è nell’interesse di ogni Ente locale poter implementare il proprio organico con un’iniezione di giovani preparati, motivati, capaci di innovare l’amministrazione esistente e di cogliere e concretizzare tutte le opportunità esistenti per perseguire le missioni strategiche. Altresì, una PA di questo tipo sarebbe capace di monitorare i processi e verificare i risultati degli affidamenti che continuerebbero a esserci, ma che sarebbero declinati maggiormente sulla fase della realizzazione degli interventi, meno su quella di ideazione, progettazione e monitoraggio che tornerebbero in mano al pubblico. Una PA capace di progettare su più fronti, con una diversa consapevolezza. 

Un esempio concreto, adatto a questi tempi di bandi PNRR: affidare la scrittura di un progetto a una società di consulenza che conosce superficialmente il territorio – indipendentemente dal successo o meno della proposta –, lascia ben poco rispetto a un lavoro costante da parte di un team di project manager strutturato negli enti di appartenenza, in grado di scegliere il bando consono per un’idea progettuale invece di piegare l’idea progettuale a un bando inadatto, come spesso avviene quando si ha a che fare con società esterne, con le inevitabili conseguenze negative che arrivano al momento della “messa a terra” delle azioni. 

Un altro beneficio dell’internalizzazione di nuove professionalità sarebbe la concretizzazione della tanto citata co-programmazione e co-progettazione con la società civile, sia nella definizione delle strategie che nella realizzazione degli interventi. Se si è costretti ad appaltare totalmente le attività a società private, non si consolideranno mai dei processi partecipativi che hanno al contrario bisogno di continuità, radicamento e leadership locali, certamente più facili da raggiungere con professionalità internalizzate – quantomeno su un livello associato –, con i diritti e le tutele di un contratto di lavoro dignitoso. 

Infine dovrebbero farsi portatori i giovani dei mondi delle vecchie e nuove professioni. Rinnovare la PA reclutando nuove figure permette di sfuggire al ricatto di dover aprire una partita iva pur di lavorare, allo sfruttamento e all’autosfruttamento, agli orari di lavoro improponibili, all’assenza di diritti e tutele, allo stress e all’incertezza economica che spesso portano ad abbandonare le proprie vocazioni in favore di un lavoro puramente strumentale, pur di soddisfare i propri bisogni legittimi di sicurezza e stabilità. La Sardegna ha un disperato bisogno delle nuove professioni e non possono essere lasciate in balia della precarietà e del lavoro povero. Inevitabilmente, un settore pubblico che propone condizioni lavorative migliori, imporrà anche al privato di adeguarsi, a beneficio di tutti. 

Su questi punti occorrerebbe aprire un grande e diffuso dibattito pubblico. È nell’interesse della maggioranza delle persone farlo, meno per chi vuole continuare a fare affari e a condizionare la democrazia sarda con i propri appetiti. 

È tempo di battere un colpo su questi temi, che costituiscono un tassello parziale ma fondamentale per un complessivo rinnovamento della Pubblica Amministrazione. Perché senza questo rinnovamento, tutti i progetti di cambiamento – pur concreti e visionari – non avranno le gambe per impattare realmente su una terra che ha tante potenzialità da sprigionare. Se la Regione Sardegna non prende iniziativa, è chi vive ogni giorno le contraddizioni che deve alzare la voce, dando battaglia per compiere scelte importanti e decisive.     


Immagine: informagiovani-italia.com

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2 commenti

  1. Anche se troppo lungo il tuo intervento, perfetto bei contenuti, denota che non hai ancora raggiunto la piena consapevolezza del “ barbaro” livello della ns classe dirigente e purtroppo non solo nella coalizione di destra che governa là Ras e moltissimi dei più importanti comuni sardi! Anche tra noi “sinistri” abbondano i fautori del fare a prescindere dalle perfette riforme minimali che proponi! Questa classe politica, ed aggiungo la gran parte della struttura burocratica che la supporta,non farà mai alcuna riforma seria a favore dei bisogni reali delle ns comunità! L esempio macroscopico del miliardo di lire erogato , senza essere stato richiesto,( leggo ora sulla stampa) ad una fondazione di fatto inesistente nel panorama culturale nuorese, denota che i tuoi interlocutori sono lontano anni luce dalla gran parte delle cose che suggerisci! Vengo al punto: l agnello da arrostire mai accenderà il forno che deve cuocerlo! Che fare dunque? O saremo capaci ( e non lo saremo) di modificare la legge elettorale truffa vigente o saremo ancora una volta sconfitti da una logica spartitoria di risorse che utilizza le istituzioni x autocoservarsi è marginalizzare le ns comunità! Potremmo forse , ma sono pessimista, tentare almeno un parziale rinnovamento di mentalità e prassi se faremo le barricate x espellere con il vincolo dei due mandati almeno una parte dei manigoldi che da diversi decenni depredano i sardi!

  2. Concordo con Tonino Frogheri. Magnifico quello che scrive Danilo Lampis, ma prima bisogna arrivarci nella stanza dei bottoni. E se non si cambia la legge elettorale mai si arriverà.

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