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Studiare la cultura sarda all’università. Intervista a Dino Manca

Dal prossimo anno verrà attivato presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università di Sassari il curriculumdi Lingue e culture della Sardegna nel corso di laurea magistrale in Lettere, Filologia moderna e Industria culturale. Ne parliamo con il prof. Dino Manca, titolare della cattedra di Filologia della letteratura italiana, che insegna anche Linguistica italiana e Filologia della letteratura sarda, ideatore e artefice di questo ambizioso e innovativo progetto, unico in Sardegna.


de Ninni Tedesco Calvi

Professore, ci racconta in breve da quali esigenze e riflessioni è nata l’idea di istituire questo curriculum e quali difficoltà/ostacoli ha incontrato nella realizzazione del progetto?
L’idea parte da lontano, da un’esigenza del soggetto (sono un barbaricino che ha dovuto fare i conti col conflitto dei codici e con un io dimidiato sardo-italiano) che ha avuto la fortuna di incontrare grandi maestri, Nicola Tanda tra tutti. Partirei dalla riflessione, dall’orizzonte di senso. Se si volesse render conto dell’affermarsi di locuzioni come locale-globale o del declino di altre come egemonia-subalternità o centralità-marginalità, dovremmo scomodare categorie interpretative che fanno parte del fondamento epistemologico di discipline diverse. La rivoluzione culturale novecentesca ha inevitabilmente messo in crisi, insieme al concetto ottocentesco di stato‑nazione, anche l’idea stessa di letteratura nazionale monolitica e monolingue.

Proviamo a esemplificarla dal punto di vista di un linguista e filologo della letteratura italiana: oggi non ha più senso parlare di letteratura italiana, quanto semmai di comunicazione letteraria degli italiani e dei sardi, ossia di sistemi letterari policentrici la cui identità si è diacronicamente e diatopicamente affermata grazie al contributo di più lingue e di più culture. Il segno letterario non può prescindere dal suo sostrato, che è il codice linguistico. Se ogni sistema linguistico produce un sistema letterario, ne consegue che il sistema linguistico sardo ha prodotto una sua particolare testualità, alla prova degli studi una testualità policentrica e plurilingue, che non sempre ha coinciso col sistema linguistico e letterario degli italiani.

Il filologo Cesare Segre ha scritto che il senso che diamo al mondo è il nostro discorso del mondo. Se in principio è la parola, e quindi la lingua, e se la lingua genera il testo, la mediazione tra l’uomo e il mondo avviene tramite il testo. Tra tutti, il letterario è il testo a più alta densità comunicativa, risultato di un’alta elaborazione del codice. Ma se la mediazione tra l’uomo e il mondo si realizza tramite il testo, e se tra tutti, il letterario è quello a più alta densità comunicativa, si può allora affermare che attraverso gli alfabeti del mondo un popolo effettui – soprattutto grazie ai suoi poeti, scrittori e artisti – la transizione modellizzante e simbolica dal piano della natura a quello della cultura, e soprattutto che ogni cultura tende a sua volta a pensare e a descrivere se stessa in un certo modo, ossia a costruire un automodello.

Dove sta il sistema culturale sardo nell’offerta formativa della scuola e dell’Università sarda? Dove sta l’automodello sardo? Gli insegnanti che andranno a insegnare nel territorio possono ignorare i linguaggi che hanno storicamente plasmato quel territorio?
Ancorché attenuata, sussiste ancora nella società italiana e sarda la resistenza di concezioni etnocentriche, esclusiviste, elitarie, fuori dalla Storia. Siamo ancora allo scontro tra civiltà e barbarie. Il sardo non è l’Ottentòtto da civilizzare. Il sardo è esso stesso portatore di una sua civiltà variegata e composita. Si tratta di conoscerla e di farla conoscere per governare il domani.

Per tutte queste ragioni bisogna iniziare a ripensare la ratio studiorum del sistema formativo sardo, nella scuola e nell’Università. Una nuova impostazione interpretativa in grado di apprezzare, nello spazio geografico, le differenze e le distinzioni territoriali, storiche e linguistiche. Non esiste comunicazione senza contesto, così come non esiste metodo educativo al di fuori delle coordinate spazio-temporali e quindi anche ambientali. L’ambiente è una condizione di cultura e di formazione educativa, perché condizione del processo stesso della personalità del soggetto. Una scuola avulsa dal contesto in cui opera, viene meno a uno dei suoi compiti prioritari.

L’apprendimento di ogni ragazzo, avvenuto per esperienza direttamente vissuta e sperimentato emozionalmente, si realizza dentro un ben preciso contesto ambientale e si regge, come ogni percorso educativo, sull’imparare a conoscere, a fare ma soprattutto a essere; ossia sulla capacità di acquisire gli strumenti della comprensione di tale contesto così da essere capaci di agire creativamente nell’ambiente circostante e poter in tal modo costruire una propria identità culturale e umana. Si ritorna al concetto di identità del giovane non disgiunto dal senso di appartenenza a una comunità inserita storicamente in un territorio.


Quali obiettivi si propone di raggiungere nel medio e lungo termine?
Iniziare un percorso accademico che attivi altri processi si spera virtuosi, nella scuola e nei territori, che provochi una scintilla. Il mio obiettivo continua a essere quello di un visionario: la legittimazione di un mondo plurietnico e multirazziale passa attraverso la valorizzazione della cultura della differenza e acquista un senso nel riconoscimento della propria appartenenza culturale. Se non si riconosce se stessi come parte di una pluralità non si può parlare di cultura della diversità e perciò di mondo multietnico e multiculturale. Quindi, nel rispetto della complessità e di tutte le diversità, noi sardi dobbiamo ricostruire, da protagonisti e da nuovi artefici, il nostro futuro.

Nel quadro della competizione, del libero gioco della cultura e della ricerca, occorre puntare in prima istanza a fare in modo che i sardi siano i produttori, i destinatari e i consumatori privilegiati del proprio patrimonio culturale e ambientale. Si deve riattivare il circuito interno della memoria e della comunicazione che promuova e sostenga la crescita di una consapevolezza sempre maggiore di sé, delle propria peculiarità, della propria Storia, delle proprie lingue e dei propri linguaggi. Si deve sviluppare il circuito e il mercato interno della cultura e della natura sarda promuovendo la diffusione di quegli aspetti che ci fanno, nella nostra originalità, mediterranei, europei, universali.

Il problema, dunque, è come la cultura di un gruppo o di un popolo, sia capace, nel libero confronto, di orientare e trasmettere il mutamento della propria eredità sociale, attraverso le proprie istituzioni, politiche e culturali, formative e informative, attraverso il proprio grado di autodeterminazione e di consapevolezza storica, ma soprattutto attraverso il proprio prestigio che da questi ne discende. Come sardi possiamo essere capaci di dialogare col mondo solo se riusciamo a produrre cultura, inserendoci, con una nostra peculiarità e identità (moderna, plurilingue e policentrica), nei nuovi circuiti. Identità intesa non come autoemarginazione, ma come capacità di integrarci col mondo a partire da noi stessi.

La lingua sarda ha diritto di esistere sul piano giuridico e legislativo, ma di fatto il suo utilizzo è ancora marginale e soprattutto non riconosciuto di fatto: ad esempio, non è inserita come lingua veicolare nei programmi della scuola. Pensa che questo progetto possa contribuire a modificare la realtà attuale, magari formando insegnanti in grado di insegnare il sardo e le altre lingue parlate in Sardegna nei vari ordini di scuola?
Stiamo lavorando perché il CLA (Centro Linguistico di Ateneo) attivi e gestisca almeno un lettorato di lingua sarda aperto al territorio. Vogliamo che il curriculum si accompagni al lettorato. Il sardo deve poter stare alla pari con le altre lingue insegnate. Perciò chiederemo una interlocuzione privilegiata col Servizio lingua e cultura sarda della RAS, perché ci sostenga in questa importante iniziativa. Inoltre pensiamo di offrire nel curriculum – oltre alla linguistica e alla dialettologia (che si terrà in lingua sarda) – almeno un laboratorio a scelta di una delle nostre varietà.
Ciò che lei dice è giusto, tuttavia parziale. Non parlerei solo di lingua e di lingue, ma anche di linguaggi (letterari, artistici, musicali, teatrali, cinematografici). L’offerta formativa perciò non può che essere variegata e composita: letteratura e filologia sarda, antropologia del territorio, storia e geografia della Sardegna, storia della musica e dell’arte sarda. È prevista anche una lingua straniera (spagnolo, francese, inglese, tedesco) e i crediti necessari per abilitare gli studenti all’insegnamento. Parliamo di lingue e culture. 

Nel corso istituito si parla di lingue e non di lingua.
Come ho già avuto modo di dire in altri contesti, l’identità odierna della Sardegna è il frutto di un lungo processo storico, dinamico e polimorfo, veicolato da più lingue. La storia ci ha insegnato, infatti, che la civiltà sarda è una sorta di conglomerato etnico, risultato di un incontro di lingue e di culture. Il sardo è uno e trino (Logudorese, Nuorese e Campidanese). La lingua sarda con le sue varietà e le altre minoranze (sassarese, gallurese, catalano e tabarchino) hanno prodotto una loro testualità dal Medioevo a oggi. Poi ci sono le altre lingue più o meno esogene: l’italiano, il catalano, il castigliano, il latino umanistico, il francese. Cosa dirò allo studente di Sassari, Porto Torres e Sorso? E a quelli di Alghero? E alla studentessa di Tempio, Arzachena e Olbia? Dirò che le loro lingue si parlano in un’altra isola? Stiamo attenti a non fare verso le minoranze quello che gli altri hanno fatto contro il sardo. Detto questo, va anche precisato che l’oralità non è la scrittura. Queste sono evidenze scientifiche. Ricordo poi che il Servizio lingua e cultura sarda della RAS, in conformità con l’ultima legge regionale, prevede sportelli linguistici di sardo, catalano, gallurese, sassarese e tabarchino.

Grazie Professore.
Grazie a voi.


Dino Manca è professore di Linguistica e Filologia italiana presso il Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’Università degli Studi di Sassari, dove insegna Filologia della letteratura italiana, Storia della lingua italiana e Letteratura e filologia sarda. Ha curato, tra le altre cose, le prime edizioni critiche delle opere di Grazia Deledda. Ha vinto il Premio Letterario Nazionale “Grazia Deledda” – “Studi Deleddiani” per l’edizione critica del romanzo L’edera. È direttore della collana di filologia, linguistica e critica letteraria «Filologia della letteratura degli italiani». È socio della Società dei Filologi della Letteratura italiana (SFLI), dell’Associazione degli Italianisti Italiani (ADI), dell’American Association of Teachers of Italian (AATI) e socio onorario dell’Associazione nazionale poeti e scrittori dialettali (A.N.PO.S.DI). Fa parte della Commissione scientifica per L’Edizione Nazionale dell’Opera Omnia di Grazia Deledda e partecipa ai lavori, in qualità di curatore, della nuova Edizione Nazionale delle Opere di Luigi Pirandello. È membro del comitato scientifico del Centro di Studi Filologici Sardi e dell’Istituto per la Storia dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea (I.S.T.A.S.A.C.). È vice presidente della giuria del Premio nazionale di poesia sarda «Città di Ozieri».

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