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Sul diniego debole del principio di autodeterminazione. Piccolo contributo a un analisi di argomentazioni amletiche.

de Antonio Fadda Mele

In un suo recente post su Facebook la candidata governatrice del centrosinistra alle prossime elezioni regionali, On. Alessandra Todde, si è posta la questione dell’autodeterminazione del popolo sardo. Vale la pena riportare il passaggio iniziale del suo post che contiene un esempio emblematico di quello che io chiamo ‘diniego debole del principio di autodeterminazione’(DDPA). La mia tesi è che gli argomenti DDPA sono quelli più dannosi per l’affermazione del principio di autodeterminazione stesso, perciò cercherò di presentarne i connotati, le limitazioni logiche e i mascheramenti paradossali.

Prima di spiegare meglio cosa sia un argomento DDPA, rileggiamo il passaggio di Todde laddove si pone la domanda chiave se i sardi siano pronti per l’autodeterminazione o n. Come si riscontra presto, la sua risposta è negativa e dunque in linea con le risposte a cui i politici sardi ci hanno abituato da generazioni. Scrive Todde:

“In questi giorni mi sto confrontando con più interlocutori sul tema dell’autodeterminazione.

Questa parola può avere diversi significati. Per me ne ha uno molto chiaro: autodeterminazione significa libertà per ogni popolo di poter scegliere il proprio regime politico ed economico, e questo deve valere anche per il popolo sardo.

La domanda che però dobbiamo porci è la seguente: il popolo sardo ha condizioni, strumenti e conoscenza sufficienti per autodeterminarsi?

Noi siamo un popolo che, in diverse parti del proprio territorio, non ha le condizioni di base per poter prosperare, e spesso ci mancano perfino le condizioni per vivere dignitosamente. Come pensiamo, quindi, di poter ambire all’autodeterminazione? È necessario prima restituire al popolo sardo le condizioni di vita indispensabili per poter decidere dove vivere nel proprio territorio, ed è necessario soprattutto nelle zone interne e in quelle periferiche. I sardi devono avere la possibilità di vivere con dignità e soddisfazione non solo a Cagliari, ma anche nelle zone più remote della nostra isola.”

Innanzitutto va notato che la domanda dell’On. Alessandra Todde è una domanda rispettabile ed è una domanda che molti sardi si pongono quando si interrogano sul tema dell’autodeterminazione del popolo sardo. La domanda in sintesi è: siamo noi sardi davvero pronti per autodeterminarci? La risposta al negativo che Todde si dà, è anche essa vastamente diffusa in Sardegna: noi sardi non siamo pronti perché abbiamo grossi problemi di natura x e y. In questo caso, sebbene Todde nel suo domandare retorico menzioni non meglio precisati “strumenti e conoscenza”, nel proseguo del suo post identifica perlopiù variabili di ordine economico e demografico come impedimenti all’autodeterminazione.

Questo io lo chiamo ‘diniego debole del principio di autodeterminazione’ a cui, per comodità, voglio dare l’acronimo ‘DDPA’. Perché ‘diniego debole’? Innanzitutto va notato che non si tratta di una negazione esplicita e radicale del principio di autodeterminazione per i sardi. Todde riconosce che il principio di autodeterminazione si applica a tutti i popoli nel perseguimento legittimo della loro libertà, incluso il popolo sardo. Indubbiamente una posizione di negazione forte del principio di autodeterminazione sosterrebbe una posizione diversa da quella di Todde. Sosterrebbe per esempio, che i sardi non abbiano alcun accesso all’autodeterminazione in nessuna circostanza e questo sarebbe un diniego assoluto del principio di autodeterminazione (DPA).

Le posizioni DPA sono ormai marginali in Sardegna. Sono pochi quelli che negano la realtà della cogenza di questo tema per i sardi e la Sardegna. La politica ne ha chiaramente preso nota ed ha aggiornato la sua comunicazione sul tema passando da argomenti DPA a argomenti DDPA, ovvero sia argomenti che negano il principio di autodeterminazione in una forma più sottile, più debole, adatta al palato dei sardi sempre più inclini ad abbracciare l’una o l’altra forma di autodeterminazione ma ancora fortemente dubbiosi. Spesso, questa forma aggiornata che io chiamo ‘diniego debole’ fonda la sua conclusione, ovvero la tesi che i sardi non siano pronti per l’autodeterminazione, sull’idea che il processo di autodeterminazione richieda prima la risoluzione di problemi che sono in ultima analisi di natura economica.

Bisogna in primis notare le inconsistenze logiche degli argomenti DDPA. Gli argomenti contro una possibile autodeterminazione a partire da motivazioni economiche sono raramente presentati in una forma logica valida. Ovvero la conclusione ” La Sardegna non dovrebbe autodeterminarsi prima di aver risolto urgenti problemi di natura economico demografica” non viene fatta quasi mai derivare da premesse universali che renderebbero l’argomento logicamente cogente. Per esempio, una di queste premesse potrebbe essere la seguente: “Tutti i paesi che nella storia si sono autodeterminati con successo hanno prima risolto problemi urgenti di natura economico demografica”. Non troviamo quasi mai tali premesse universali nelle argomentazioni DDPA perché tali premesse sono semplicemente false o comunque facili da attaccare con controesempi.  

In sostanza, le premesse avanzate nei DDPA assomigliano più a dei dubbi che a delle premesse solide. Chiaramente, i dubbi possono anche essere rispettabili ma non hanno la forma di un argomentazione cogente. Dopotutto un dubbio è per definizione incertezza, come potrebbe dunque agire da premessa fondata? Tuttavia, non va negato che i dubbi abbiano una loro legittimità e un loro spazio nel dialogare di autodeterminazione.

A questo punto mi si potrebbe ribattere che l’argomento di Todde non può venire classificato come diniego perché lei, come tanti altri sardi, riconoscono l’applicabilità del principio pur negando la messa in atto. La mia risposta a questa obiezione è che il sostegno al principio di autodeterminazione non può essere subordinato ad altre considerazioni (e.g., di natura economica, demografica, sociale, etc.) pena il suo diniego appunto. Quando si subordina l’autodeterminazione a questi fattori, pur riconoscendo l’applicabilità del principio, si attua quello che io chiamo ‘diniego debole’, debole per l’appunto perché non radicale e assoluto, ma pur sempre diniego.

Vale la pena continuare ad esaminare gli argomenti DDPA per comprendere questo passaggio. La posizione “io sardo sono per il principio di autodeterminazione” ma “noi sardi non siamo pronti per l’autodeterminazione” configura una strategia argomentativa e comunicativa di cosiddetto “doppio vincolo”, un paradosso comunicativo  teorizzato dalla scuola di Palo Alto. La contraddizione è la seguente: tu sardo puoi autodeterminarti ma in realtà non puoi. Gli argomenti DDPA presentano spesso situazioni come queste di cosiddetto ‘doppio vincolo’, puoi ma non puoi, hai diritto ma non puoi metterlo in pratica, sei ma non sei pronto, etc. Ora si vede meglio perché alla fine dei giochi si tratta pur sempre di diniego. Certo non è un diniego radicale ma assomiglia piuttosto a un diniego amletico dell’ ‘essere non essere’ che lascia i soggetti in una condizione di dubbio o incertezza e certamente incapacità di agire verso una piena espressione del principio di autodeterminazione. Insomma gli argomenti DDPA promuovono più l’immobilismo che l’azione e per questo ricadono dalla parte del diniego.

In aggiunta, sempre rimanendo alle suggestioni della scuola di Palo Alto, gli argomenti favorevoli o sfavorevoli all’autodeterminazione possono configurare dei casi di “profezia che si autoavvera”. Ovvero sia, per autodeterminarsi si deve avere la coscienza di poterlo fare; viceversa, dire “non siamo pronti” contribuisce ad abbassare la soglia di coscienza realizzando il medesimo dubbio. Questo fattore della profezia che si autoavvera va sempre tenuto in mente quando si parla di autodeterminazione e ciò significa che vi è un elemento inaggirabile di volontarismo nella scelta di un popolo che si autodetermina. In tal senso, senza voler risuonare altisonanti o peggio ancora escatologici, l’autodeterminazione rimane una scelta volontaria di auto-avverare la propria ‘profezia’. Nessun popolo che si è autodeterminato si è autodeterminato ricurvo su se stesso tra lancinanti dubbi amletici.

In altre parole, il processo di autodeterminazione di un qualsiasi popolo é un processo che richiede il superamento del dubbio, della auto deprecazione e vittimizzazione, della percezione di incapacità. Un termine utile può essere quello di “self-efficacy” concetto avanzato da A. Bandura che potrebbe essere tradotto con “autocoscienza della propria efficacia”. Per autodeterminarsi un popolo deve avere un alto livello di “self-efficacy”, in parole povere, deve prima di tutto crederci.

In conclusione, l’autodeterminazione risiede in primis nello scatto evolutivo e creativo di un popolo slanciato nel porsi un obbiettivo storico comune tra le difficoltà e non dopo le difficoltà. L’autodeterminazione rimarrà sempre un salto nel vuoto ad un certo livello. In aggiunta, l’autodeterminazione non può essere soggetta a doppio vincolo: “siamo ma non siamo pronti”. Questi sono dinieghi deboli del principio di autodeterminazione. Gli argomenti DDPA, come quello avanzato da Todde, con il dovuto rispetto, aggirano la questione facendo appello al dubbio, talvolta usando strategie comunicative fumogene dallo scarso valore veritativo e dalla logica traballante con il risultato ultimo di indebolire la capacità dei sardi di percepirsi autodeterminati.

Va notato poi che l’argomento DDPA può avere delle correzioni che da diniego lo trasformano in un ‘assenso moderato del principio di autodeterminazione’ (AMPA). Questo passaggio sarebbe auspicabile e avverrebbe nel momento in cui si riconoscesse non solo l’applicabilità del principio di autodeterminazione ai sardi (come ha fatto Todde) ma persino la creazione di linee guida per la sua implementazione presente come valore guida dell’operare e della prassi politica. In parole, povere, si riconoscesse che l’autodeterminazione deve essere pane quotidiano per i sardi e non valore da issare in un futuro. O si è per l’autodeterminazione nel presente e si opera per quel fine, oppure si è per rimandare la questione a data da destinarsi.

Nelle argomentazioni AMPA, i dubbi permangono (questo giustifica il mantenimento dell’aggettivo moderato) ma vengono chiamati con il loro nome e non mascherati da premesse fondate. I dubbi contribuiscono all’acclaramento fattuale, scientifico, ineludibile nei dibattiti su questo tema. Palesare i propri dubbi fa parte di quella che chiamiamo onestà intellettuale. Ciò che non va è l’ammantare irresolutezze e paure con osservazioni economiciste incasellate con scarsa cogenza logica contribuendo così a indebolire la causa medesima dell’autodeterminazione.


Immagine: anep.it

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