21 settembre giornata dedicata alla riflessione sulla malattia di Alzheimer
D. Ciao mamma, come stai oggi?
R. (sorriso) Buongiorno, chi è lei?
Ecco, questo accade a volte, prima saltuariamente, poi sempre più spesso, poi arriverà il giorno in cui si spegnerà ogni parola. Un doloroso smarrimento, una vita che si sfilaccia e si consuma dentro il corpo di una fragilità disarmante e disperante.
“La malattia di Alzheimer è stata descritta per la prima volta nel 1906 dal neuropatologo Alois Alzheimer (1863-1915): fu durante la Convenzione psichiatrica di Tubingen che Alzheimer presentò il caso di una donna di 51 anni affetta da una sconosciuta forma di demenza. Ma fu soltanto nel 1910 che la malattia ebbe un nome, quando Emil Kraepelin, il più famoso psichiatra di lingua tedesca dell’epoca, ripubblicò il suo trattato “Psichiatria”, nel quale definiva una nuova forma di demenza scoperta da Alzheimer, chiamandola appunto malattia di Alzheimer. Il morbo d’Alzheimer è la forma più comune della cosiddetta demenza senile che spesso si riscontra negli anziani o nelle persone di età pari o superiore a 60 anni. Tuttavia, raramente la malattia si manifesta in età molto più giovane su alcuni precisi soggetti”. (Alzheimer.it) Un declino cognitivo cui segue inesorabilmente quello fisico.
Si tratta di una malattia progressiva che peggiora quando il disturbo cresce e fa degenerare più cellule cerebrali. Un declino nel processo di ragionamento e della memoria inizia ad inibire la mente di una persona facendole potenzialmente dimenticare importanti dettagli della sua vita. Alcuni dei segnali d’allarme che possono indicare il processo di degenerazione sono i seguenti: perdita di memoria sempre più significativa tanto che si possono dimenticare facilmente date, nomi ed informazioni importanti nonostante vengano spiegate continuamente; difficoltà nell’assolvere semplici istruzioni, ovvero lenta o improvvisa incapacità di seguire anche le direttive più semplici; difficoltà ad eseguire semplici attività quotidiane, per cui i semplici compiti che normalmente possono essere svolti da chiunque possono diventare complessi per chi sta sviluppando i sintomi; confusione relativa al tempo (ora, giorno, mese, anno) e dunque alle scadenze o ricorrenze; difficoltà nel linguaggio e dunque nella comunicazione, non solo perché vengono a mancare le parole come associazione ai concetti, ma perché ci si dimentica di cosa si stava parlando; perdita costante degli oggetti, anche di quelli importanti come le chiavi di casa; talvolta cambiamento nel carattere, che può assumere aspetti di rabbia o anche di violenza verbale e fisica; disagio sociale e isolamento cui segue una mancata cura di sé.
Non necessariamente tutti questi fattori sono segnali di comparsa della malattia ma possono essere campanelli di allarme per decidere un accertamento diagnostico.
Ma a questo punto entra in gioco la nostra pessima Sanità pubblica sarda. Per accertare la malattia occorre eseguire dei test che sono protocolli applicati da neurologi specializzati ed eventualmente ricorrere a una PET del cervello, oppure recarsi in un centro UVA (Unità valutazione Alzheimer) che al momento esiste solo a Sassari, Olbia e Cagliari (con attese interminabili). Insomma, in Sardegna il deserto. Solo chi ha attraversato il drammatico percorso per giungere a una diagnosi può capire quale profonda distanza esista tra il paziente e le “Istituzioni”. Ogni passaggio, ogni piccolo tassello necessario per usufruire del diritto a una cura, che dunque arriva tardivamente, parlo per esperienza personale, è possibile solo attraverso servizi sanitari privati. Nella mia storia (come in tante, troppe altre storie) sono occorsi anni, difficilissimi, vere emorragie in termini di risorse umane e finanziarie, e nel frattempo mia madre peggiorava le sue condizioni, cadeva, si fratturava, si spaccava lo zigomo, si ustionava le mani, si chiudeva fuori casa o si perdeva nei suoi incubi confusionari. Un percorso di sofferenza inenarrabile. Nessuna assistenza pubblica. E senza diagnosi neppure la certificazione di invalidità con l’accesso a quelle poche e modestissime agevolazioni cui avrebbe avuto diritto.
Oggi la Sardegna registra un’alta incidenza di questo male, parametrando il numero delle persone colpite a quello degli abitanti dell’isola. Emerge così che con un’incidenza del 36 per cento, è al secondo posto dietro la Valle d’Aosta, insieme ad altre tre regioni nel rapporto malati/abitanti; passando alle province, invece, il primo posto in Italia è occupato da Carbonia-Iglesias con il 46 per cento, mentre Sassari è terza con il 38 per cento. I più alti tassi di mortalità si presentano in Valle d’Aosta (48%), in Piemonte (36%), in Sardegna (36%), in Veneto (36%) e nella Provincia Autonoma di Bolzano (36%). Per quanto riguarda le province, i tassi più elevati si registrano a Carbonia- Iglesias (46%), Treviso (39%), Cuneo (38%), Trapani (38%), Sassari (38%), Bergamo (36%), Cremona (36%), Ancona (36%) e Modena (36%). Sono circa ventimila i pazienti sardi affetti da demenza, la metà di questi hanno l’Alzheimer. E sono oltre cinquantamila le figure coinvolte a vario titolo nell’assistenza. Il sesso femminile è un importante fattore di rischio per l’insorgenza della demenza di Alzheimer, la forma più frequente di tutte le demenze (circa il 60 per cento). La prevalenza della demenza oscilla fra 5,9 e 7,1 per cento degli ultra-sessantaquattrenni.
Una malattia prevalentemente femminile, dunque, così come donne sono quasi sempre i/le caregiver che si prendono cura dei propri cari. Infatti, molto spesso le persone con demenza vengono seguite in casa in quanto le strutture pubbliche sono scarse e quelle private non solo hanno costi accessibili a pochi, ma non garantiscono quella cura costante sia fisica che affettiva che questa patologia richiede. Spesso per mancanza di personale sufficiente, o in possesso della qualifica necessaria, dei servizi extra come la fisioterapia, degli spazi di socializzazione, della preparazione che occorre per seguire un malato allettato, della disponibilità immediata di medici di fiducia. Insomma, una catena efficace di cure, di pazienza, professionalità e amore che garantiscano una vita dignitosa a chi soffre di questa terribile malattia. Noi caregiver, persone di famiglia che accettiamo questa sfida, seppur con l’aiuto di badanti, affrontiamo tutto questo senza alcun sostegno da parte della struttura sanitaria pubblica. Esistono centri diurni di sostegno, formati da volontari, come ad esempio il Centro di riattivazione per l’Alzheimer di Sassari che, recentemente, ha festeggiato il rinnovamento dell’edificio nel complesso di San Camillo, potenziando gli spazi e il personale di supporto rappresentato al momento da sei operatori formati e uno psicoterapeuta che accompagnano le persone in diverse attività, tra cui quelle di danza e musico-terapia. Il centro riceve finanziamenti dalla Fondazione Sardegna, dalla Fondazione Sud e dai privati ma niente da Stato e Regione. Oltre 500 i pazienti accolti dal 2003 nei locali affidati e che adesso è arrivato a misurare 300 mq. Ha inoltre attivato uno sportello di ascolto e aiuto rivolto proprio ai familiari. Perché la solitudine delle famiglie è talvolta insopportabile e il silenzio delle “Istituzioni” ha qualcosa di criminale. Così come criminali si sono rivelati, anche alla luce di un recente fatto di cronaca nel Nuorese, emerso grazie al coraggio dei parenti, taluni “amministratori” nominati dai tribunali che hanno vergognosamente approfittato di alcuni malati loro affidati per “tutelarli”, attingendo ai risparmi che avrebbero dovuto “amministrare nell’interesse dell’amministrato” e non certo di sé stessi. Qui si apre un altro capitolo sommerso, altrettanto doloroso e vergognoso nello stesso tempo, di uno “Stato” che a volte non pone la dovuta attenzione nella scelta di persone, spesso avvocati/e, estranee alla famiglia, e magari non verificando con puntuale vigilanza l’accesso ai conti e al patrimonio di chi non è in grado di farlo. Spero presto di affrontare anche questo spinoso capitolo.
C’è tanto dietro una malattia, dietro la vicenda di una persona che vive un momento drammatico della propria vita, in questo caso quando è anche anziano, fragile, indifeso, spesso solo. C’è il bisogno di cure, di attenzioni, di affetto e di calore, e purtroppo anche di tante spese che è difficilissimo affrontare e per le quali le agevolazioni concesse sono poche e ridicole.
Non è il nostro un paese per vecchi, non è un paese civile per nessuno.
Carta dei Diritti del Malato di Alzheimer
Approvata dalle Assemblee Generali di Alzheimer’s Disease International (A.D.I.), Alzheimer Europe e Alzheimer Italia
- diritto del malato ad un rispetto e ad una dignità pari a quella di ogni altro cittadino;
- diritto del malato ad essere informato, nelle fasi precoci della malattia, e dei congiunti o rappresentanti legali in qualsiasi fase della stessa, per quanto possibile, sulla sua malattia e sulla sua prevedibile evoluzione;
- diritto del malato (o del rappresentante legale) a partecipare, per quanto possibile, alle decisioni riguardanti il tipo di cura e di assistenza presente e futura;
- diritto del malato ad accedere ad ogni servizio sanitario e/o assistenziale al pari di ogni altro cittadino: questo diritto implica che attenzioni particolari siano rivolte affinché i malati con AD possano realmente accedere a certi servizi da cui la loro mancanza di autonomia tende ad allontanarli;
- diritto del malato di disporre di servizi specializzati, che affrontino specialmente i problemi della demenza;
- diritto del malato e di chi si prende cura di lui di scegliere fra le diverse opzioni di cura/assistenziale che si prospettano;
- diritto del malato, considerata la sua vulnerabilità, ad una speciale tutela e garanzia contro gli abusi fisici e patrimoniali;
- diritto del malato, in assenza di rappresentanti legali, o nel caso in cui i potenziali rappresentanti legali rifiutassero la tutela, di avere per legge un tutore scelto dal tribunale.
Immagine: piamfarmaceutici.com