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Sa domo de su Rettore

Ancora sul crollo de sa domo de su rettore, a Bono

La Casa del canonico Frassu (o Sa Domo de su Rettore) versa nel più completo abbandono, come testimoniano le fotografie che girano sui social. Un pezzo di Giuseppe Zingaro ha aperto il focus sulla questione. In questo articolo Walter Fagio richiama l’opportunità di costruire stimoli culturali e possibilmente percorsi museali.


de Walter Falgio

Centro storico di Bono: la Casa del canonico Frassu, detta Sa Domo de su Rettore, è piuttosto malandata. Le fotografie che circolano sui social sono eloquenti e la recentissima denuncia di Caminera Noaprova a riaccendere i riflettori su una questione certamente datata. «La storia della rivoluzione sarda va in pezzi», si legge in un post sul gruppo Facebook, «l’edificio ha subito un ulteriore crollo degli orizzontamenti in legno», e –continua il messaggio – si invoca «un urgente intervento di messa in sicurezza da parte dell’amministrazione Comunale, della Soprintendenza e della Regione». Imbattutomi in un confronto in rete, sono stato invitato a rimettere in fila alcune considerazioni sulla vicenda, per S’Indipendente. 

La notizia rattrista per due ordini di motivi principali:
– Il primo, più generale, riguarda la constatazione del degrado incombente al quale molti centri storici delle aree interne della Sardegna vanno incontro per cause molteplici, ma spesso strettamente connesse: l’abbandono dovuto al progressivo spopolamento, l’assenza di pianificazione in ambito urbanistico, come ha già rimarcato Giuseppe Zingaro su questo blog.
– Il secondo attiene invece alla specifica rilevanza storica dell’edificio legata evidentemente alla vita del suo eminente inquilino.

Sembrerebbe scontato prevedere una riqualificazione di un bene appartenuto a un esponente di rilievo dei moti angioiani, non essenzialmente in un’ottica di valorizzazione del patrimonio edilizio di pregio, ma soprattutto con l’intento di costruire stimoli culturali e possibilmente percorsi museali rivolti alla fruizione collettiva.
Per far questo occorrono banalmente risorse, ma non solo. Occorre in più e in quantità superiore ai danari acume politico e lungimiranza. Principalmente è una questione di scelte aperte, sostenibili e coordinate ai vari livelli della pubblica amministrazione che, per definizione, non possono essere ingabbiate nei magri bilanci municipali. Esistono in proposito innumerevoli esempi virtuosi, relativi alle piccole comunità isolane e significativi sotto il profilo progettuale e della sinergia tra attori pubblici e privati: per conoscenza diretta potrei citare il museo dell’ossidiana di Pau, il museo e parco archeologico di Villanovaforru, il MACC di Calasetta, il museo della bonifica di Arborea. E si potrebbe continuare.

Pertanto la richiesta avanzata da Caminera Noa di un intervento indilazionabile è più che motivata e consente di ricordare i buoni motivi che la sostengono. Ovvero che Frassu fu perseguitato ed esiliato in Corsica per aver preso parte in giovane età ai moti antifeudali, che conobbe Madama Letizia Ramolino, madre di Napoleone, e che nella sua dimora di Ajaccio fu ospite. Che Giorgio Asproni ne tracciò un bel profilo biografico nella Gazzetta Popolare di Giuseppe Sanna Sanna descrivendolo come «intelligente, attivo, ardimentoso, di maniere squisitamente gentili e simpatico». 

Dall’archivio del deputato bittese emerse una lettera a firma dello stesso Frassu datata 11 maggio 1855 che svelava i dettagli della fuga di Angioy da Casale verso l’asilo in Francia. Un giorno del 1925 quella lettera inedita fu pubblicata con enfasi nel numero 33 dalla rivista Il Nuraghe diretta da Raimondo Carta Raspi. A introdurla, poche ma significative righe di un poeta e scrittore sardo, anch’egli bonese: il religioso Giovanni Antonio Mura, che definiva Salvatore Frassu «ospite desiderato e venerato di casa Bonaparte». Quale occasione migliore, allora, per riflettere sulla storia sarda e per lavorare sul presente, la sfida di gran lunga più problematica e complessa alla quale non possiamo sottrarci. Nemmeno in tempi di pandemia.

Il canonico Giovanni Spano dettò l’epigrafe per la sua tomba:

(…) homine doctu politicu et de consizu /
amesit sa patria in su memorandu 1796 /
patesit persecutione et disterru /
ma sa virtude in fines triumphesit (…)


Foto de presentada: FB

8 mar 2021

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