Il collasso della sanità sarda. Intervista ad Angelo Fancellu

Che scelte deve fare la Giunta Solinas per il nostro immediato futuro in ambito sanitario? Lo abbiamo chiesto ad Angelo Fancellu, medico ospedaliero con ventennale esperienza in Medicina Interna. Da sempre impegnato nel sociale e politicamente attivo in difesa dei diritti universali dell’uomo, è presidente di Sardegna Possibile e membro del Consiglio di Presidenza della Corona de Logu.


de Ninni Tedesco Calvi


1. Angelo, quando si parla di sanità in Sardegna tocchiamo un tasto molto dolente già in situazioni di normalità, figuriamoci in emergenza. Quali criticità ha messo in evidenza questa pandemia?

La pandemia ha evidenziato la fragilità dell’attuale sistema sanitario non solo sardo ma di tutto lo stato italiano. Nell’ultimo ventennio, per puri calcoli di risparmio della spesa, abbiamo assistito al graduale smantellamento del SSN con la riduzione dei servizi territoriali, la soppressione di tanti ospedali periferici e la netta riduzione dei posti letto ospedalieri. In altri termini, sono state ridotte le prestazioni sanitarie pubbliche. Ci ritroviamo a osservare un sistema sanitario inadeguato ad affrontare la quotidianità e che si è dimostrato totalmente inefficace di fronte all’emergenza. L’immissione di nuove risorse economiche e il ricorso all’assunzione di un elevato numero di addetti ha limitato i danni ma non ha dato ancora la soluzione.

Se a questo aggiungiamo il numero chiuso alle Facoltà di Medicina e la difficoltà di accesso alle Scuole di specializzazione – con la conseguente riduzione dei medici formati che annualmente vengono immessi nel mercato del lavoro – ci rendiamo conto che reperire personale aggiuntivo nella fase emergenziale diventa quasi impossibile. In Sardegna questi problemi vanno comunque moltiplicati per un fattore correttivo che tenga conto della distribuzione demografica della popolazione, della viabilità e dei mezzi di trasporto, sia interni che esterni.

Inoltre, di fronte all’emergenza Coronavirus è stata messa a nudo la carenza organizzativa della distribuzione territoriale dei servizi sanitari, con la conseguente sensazione di operare continuamente nell’improvvisazione e nella totale assenza di una regia centralizzata. Le centrali operative sono da subito andate in tilt e non hanno potuto dare risposte adeguate alle innumerevoli richieste di aiuto da parte della popolazione. I cittadini spesso si sono sentiti abbandonati, senza plausibili risposte da parte dei medici di base e tantomeno dalle continue chiamate a telefoni muti o quasi. Nel momento più importante è venuto a mancare il coordinamento sia dell’assessorato sia dell’ATS! 


2. Dal tuo osservatorio cosa è stato fatto e cosa invece non è stato neppure ancora programmato da questa nuova giunta rispetto alla precedente per porre rimedio alla crisi della sanità pubblica sarda?

L’attuale Giunta Regionale ha fatto rimpiangere persino la precedente, a sua tempo definita la peggiore in assoluto! A dimostrare che non c’è limite al peggio.
Abbiamo assistito quasi quotidianamente a continui proclami di belle intenzioni senza mai essere seguiti da fatti e azioni concrete. Fin dall’inizio della pandemia si poteva mettere in campo un piano strategico sardo per limitare la diffusione del Coronavirus, ma fin dalla prima settimana abbiamo assistito a dichiarazioni del tipo: “siamo pronti”, “i nostri ospedali sono sufficienti”, “facciamo migliaia di test in poche settimane” per poi dimostrare l’assoluta incapacità ad agire e ad operare. La sensazione di brancolare nel buio era tangibile, gli operatori sanitari ricevevano ordini di comportamento ma a loro non veniva consegnato l’adeguato quantitativo di mascherine, di guanti, di disinfettanti. Mancava persino il detergente e la carta per asciugarsi le mani.

Dall’Assessorato, quasi quotidianamente, arrivavano ordini, si diffondevano linee guida e si emanavano direttive sui comportamenti da seguire di fronte ai casi di positività, ma poi quotidianamente ci si scontrava con gravi carenze organizzative.
Nel frattempo si è trovato il modo di moltiplicare i posti di sottogoverno e di spartizione del potere, con l’ennesima riforma sanitaria che abolisce la precedente Azienda unica e ne crea altre nove: in piena pandemia non se ne sentiva l’esigenza!


3. Cosa ne pensi della questione tamponi/vaccini rispetto alle scelte compiute dalla Regione Sardegna fino a questo momento?

Come detto prima, si continuano a fare proclami ma i fatti di questi ultimi giorni confermano la sensazione di una improvvisazione diffusa. Il presidente Solinas ha dichiarato che in quarantacinque giorni tutti i sardi saranno vaccinati e che prima dell’estate saremo tutti immunizzati, ebbene sono trascorse quasi due settimane e non è stata ancora conclusa la vaccinazione della popolazione ultra-ottantenne.
Per la vaccinazione di massa, l’Assessorato decide di ricorrere ad una registrazione online tramite mail o sms, ma l’ATS fa marcia indietro e procede chiedendo aiuto ai sindaci e ai medici di base. Si ha l’ennesima sensazione che le cose decise a livello centrale non tengano conto dei problemi organizzativi dei vari territori, e che in periferia ci si arrangi alla meno peggio. Fatto sta che al momento solo pochi sindaci sono stati coinvolti e altrettanto dicasi per i medici di famiglia.
Se realmente si vuole fare in fretta e vaccinare il maggior numero di persone nel minor tempo possibile, è necessario istituire più unità vaccinali territoriali e quindi coinvolgere più medici e infermieri, coinvolgere i medici di base e i Pediatri di Libera scelta, coinvolgere le amministrazioni locali e i servizi demografici. Il tutto sotto il controllo di coordinamenti distrettuali efficienti ed efficaci, in altri termini mettere le persone giuste al posto giusto.

Per quanto riguarda i test diagnostici eseguiti in Sardegna, fin dall’inizio abbiamo assistito al basso numero di tamponi somministrati per la ricerca dei probabili positivi e dei loro contatti. Nella seconda ondata della pandemia a fronte della grande richiesta da parte della popolazione e di fronte al dilagare dell’infezione in intere comunità, solo l’intervento di tante amministrazioni locali con l’acquisto di migliaia di tamponi rapidi ha permesso il riconoscimento di tante persone positive e questo ha di fatto limitato la diffusione.

A metà dicembre un altro proclama del Governatore Solinas annunciava l’acquisto di due milioni di test rapidi per lo screening di tutta la popolazione. A tre mesi di distanza siamo ben lontani dal traguardo e soprattutto non si ritiene necessario proseguire su questa strada. È bene invece fare il test rapido a intere popolazioni circoscritte, come recentemente è avvenuto a La Maddalena o a Bono, per individuare in modo istantaneo la positività al virus in quel determinato momento e per porre in atto tutte le misure per limitarne la diffusione.
Occorre ricordare che il test diagnostico (molecolare o antigenico), è un test che evidenzia la positività al virus in quel determinato momento, non ci dice se quella persona è stata infettata un mese prima o se sarà infettata all’indomani dell’esecuzione del test.  È semplicemente un’istantanea!


4. A prescindere dai colori dati a livello centrale, dunque senza tener conto ancora una volta della reale situazione sarda e dei pericoli cui potremmo andare incontro, quali dovrebbero essere le scelte prioritarie e irrinunciabili per l’immediato futuro da parte della giunta Solinas?

Al momento la Sardegna è stata promossa in Zona Bianca e spero che continui ad avere questo colore. Tale risultato è stato ottenuto a prescindere e se vogliamo nonostante l’azione della Giunta Regionale; il merito va dato al corretto comportamento e al senso di responsabilità della stragrande maggioranza dei cittadini sardi, oltre naturalmente alle peculiari caratteristiche demografiche e territoriali della nostra isola. La Sardegna da sola e con una oculata programmazione sanitaria è capace di vincere la sfida contro il Coronavirus.
Occorre pertanto preservare questo risultato raggiungendo quanto prima la cosiddetta “immunizzazione di gregge” con la vaccinazione di massa. Allo stesso tempo è necessario che l’ordinanza sugli arrivi in Sardegna venga fatta rispettare sempre e che sia data ai viaggiatori la possibilità di eseguire i test rapidi all’interno degli aeroporti e delle aree portuali. Tutto ciò al fine di preservare la stagione turistica ormai alle porte.

Che scelte deve fare la Giunta Solinas per il nostro immediato futuro? Non c’è una sola priorità ma tanti grandi problemi da affrontare, primo fra tutti la necessaria risposta ai bisogni della gente. Per circa un anno richieste di esami e visite di routine sono state inevase, malati cronici lasciati soli con le loro malattie, interventi chirurgici rimandati, terapie rinviate, diagnosi ritardate e medicina preventiva sospesa fino a nuovo ordine.

Si è calcolato che nei primi sei mesi di pandemia non siano stati eseguiti due milioni di accertamenti routinari, tra visite ed esami ematici o strumentali. Nel frattempo non si muore di solo Covid-19, si continua soprattutto a morire per tumori, per infarti, per ictus e quant’altro.

Dai territori si alza quotidianamente la richiesta per avere un numero adeguato di medici di famiglia, di pediatri, di ufficiali sanitari e di specialisti ambulatoriali, nonché di esami strumentali da eseguire in tempi e in sedi ragionevoli. Si continua a rispondere che manca personale sanitario, senza peraltro dare una speranza a che le cose cambino davvero. La pandemia ha accentuato certe carenze ma allo stesso tempo ha dimostrato che laddove esiste una sanità territoriale strutturata e ben organizzata, il sistema sanitario resiste alle emergenze. Per tale motivo è prioritario riorganizzare i servizi sanitari territoriali di base in modo razionale e coordinato, creando così una rete organizzativa capillare che si diparta dalle città per arrivare fino alle estreme periferie.

La riorganizzazione dei servizi passa anche attraverso una seria programmazione del corso degli studi universitari, una rivisitazione del numero chiuso in medicina e una scelta oculata del numero di specialisti da formare, branca per branca. Occorre un serio confronto tra Università Sarde e RAS, utilizzare lo Statuto speciale dell’Autonomia e stabilire un percorso universitario e formativo che veda come prioritaria la partecipazione al corso di laurea degli studenti sardi, ovvero la formazione di medici che molto probabilmente lavoreranno in Sardegna. A tal proposito, le proposte dell’associazione dei giovani medici sardi “Mèigos” vanno accolte e incentivate, e questa è una risposta che l’intero Consiglio Regionale deve dare senza ulteriori tentennamenti.
C’è molto da lavorare, ma se si tralasciano gli interessi di bottega o di partito, si potrebbe costruire qualcosa di duraturo e di efficiente.


Grazie Angelo.
Grazie a voi.

Foto de presentada: Angelo Fancello

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