La lingua tagliata
Riceviamo da Giovanni Ugas e pubblichiamo un testo che tratta di lingua sarda, insegnamento, standardizzazione e ruolo delle amministrazioni pubbliche.
Il piano di distruzione della lingua e della cultura sarda
C’è un passo della Costituzione italiana, l’articolo 33 che recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, e poi aggiunge “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione”. Ma, per la Sardegna, le norme violano le premesse fondamentali dello stesso articolo 33. Infatti, con la “Scuola dell’obbligo” è venuta a mancare la libertà di chi insegna e soprattutto di chi riceve l’insegnamento, cioè della comunità. Con la forza delle loro leggi, imponendo nell’Isola l’obbligo dell’insegnamento in lingua italiana e vietando gli insegnamenti delle materie di studio in lingua sarda, senza alcun rispetto per l’identità del popolo sardo, i governi italiani hanno decretato la distruzione della sua lingua madre e del suo grande patrimonio di conoscenze relative a Lavoro, Letteratura scritta e orale, Arti, Musica, Usi e Costumi, e a tutte le altre espressioni culturali dell’isola. Ovviamente nella “Scuola dell’obbligo” della Sardegna non sono mai state insegnate, se non in modo estemporaneo, la Storia, la Geografia e le Scienze naturali dell’Isola, col risultato che gli stessi Sardi conoscono molto approssimativamente le caratteristiche culturali e naturali della loro terra.
Un’esigenza fondamentale nei primi passi della didattica è partire dal conosciuto, dalla realtà in cui si vive e, dunque, nell’Isola la prima attenzione avrebbe dovuto essere rivolta alla cultura, a cominciare dalla lingua, e alla natura della nostra regione. Invece, contravvenendo alle più elementari norme della didattica, i governi italiani hanno impedito ai Sardi l’uso della lingua madre; anch’io ne sono stato vittima perché nel mio paese, come in tutti i centri interni dell’Isola esisteva il peccato originale del parlare in lingua sarda. In conseguenza, da bambino mi era impossibile scrivere “i pensierini” perché non conoscevo le corrispondenze in italiano dei nomi delle erbe e delle piante, degli animali, degli attrezzi da lavoro, di tutto ciò che caratterizza la vita quotidiana. Per questo mio essere un bambino sardo, a fatica e in tempi lunghi, ho dovuto crearmi un mondo italianizzato e capire che i balocchi non erano is ballocas, le lumache, ma i giogus e che il camino non era su mori, cioè il sentiero, ma sa giminera. Per rispetto non solo delle regole della didattica, ma anche dell’identità dei popoli, si deve pretendere la conoscenza della lingua e della cultura sarda dalle persone che insegnano in Sardegna; nell’isola la lingua italiana, non essendo la lingua madre, doveva essere e deve essere insegnata come una lingua allogena, come l’inglese o il francese.
Il recupero della lingua e della cultura sarda
In relazione alle lingue regionali o minoritarie, il comma 2 dell’articolo 1 della Legge 15.12 1999, N. 482, recita “La Repubblica che valorizza il patrimonio linguistico della lingua italiana, promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge”. Appresso, nell’art. 2 della stessa legge si afferma che, in attuazione dell’art. 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi internazionali ed europei (dunque in armonia anche con la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 15.11.1992) “la Repubblica tutela la lingua e la culture delle popolazioni parlanti le lingue regionali o minoritarie tra cui il sardo”. Successivamente, nell’art. 4 comma 1 è scritto che “nelle scuole materne dei comuni (nei quali si parla la lingua regionale o minoritaria) di cui all’Art. 3, l’educazione linguistica prevede accanto all’uso della lingua italiana anche l’uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto anche l’uso della lingua della minoranza come strumento di insegnamento”. Ancora, all’art. 4 comma 2 è scritto che “le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado deliberano le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali”, e infine, all’art. 4 comma 5 “al momento della preiscrizione i genitori comunicano all’Istituzione scolastica interessata se intendono avvalersi per i propri figli dell’insegnamento della lingua della minoranza”. Dunque si può notare da parte dello Stato un’apertura nei confronti dell’insegnamento della lingua sarda, ma non basta certo a risolvere i problemi dell’insegnamento e della stessa esistenza della nostra lingua.
Peraltro, la citata legge n. 482 mentre recepisce in parte quanto previsto nella L. R 15 Ottobre 1997, N.26 (Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna), non rispetta del tutto la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992. Infatti nella Carta non solo si sostiene all’art. 7 comma d l’esigenza che gli Stati europei “si adoperino per la facilitazione / incoraggiamento all’uso scritto e orale delle lingue regionali o minoritarie nella vita pubblica e privata”, ma anche all’art. 7 comma h, 2 si richiede l’impegno degli Stati “a eliminare ogni atto che abbia lo scopo di mettere in pericolo il mantenimento o lo sviluppo della pratica di una lingua regionale o minoritaria”.
Ora, la Repubblica italiana non ha affatto eliminato ogni atto che abbia lo scopo di mettere in pericolo il mantenimento e lo sviluppo della lingua regionale della Sardegna, perché – come si è detto – la Repubblica, imponendo di fatto, in nome del progresso e dell’integrazione sociale, l’obbligo dell’insegnamento in lingua italiana nelle scuole materne, nelle elementari e nelle medie inferiori nell’isola e vietando ad un tempo gli insegnamenti delle materie di studio in lingua sarda, ha attentato al mantenimento della lingua parlata e scritta e della cultura madre, provocando danni enormi al patrimonio linguistico e culturale della Sardegna. Dunque l’Italia va condannata per quest’azione distruttiva.
Spesso i cambiamenti che si intende apportare vengono giustificati proprio in nome del progresso e dei benefici economici, ma la storia umana insegna che molti mutamenti portano distruzione e regressione, basti pensare ai cambiamenti climatici, alle repressioni e alle guerre, alle violenze e alle schiavitù subite dai popoli. Solo l’eliminazione e il superamento di tali regressioni possono ripristinare, purtroppo solo in parte, i valori umani delle comunità e riaprire la via del futuro; nella sostanza è necessaria un’azione di resilienza nel senso che a questa parola ha attribuito il suo ideatore Boris Cyrulnik. Tra gli eventi nefasti della storia recente dell’Isola, oltre alla distruzione della sua economia agricola e pastorale attuata in nome della politica industriale rivelatasi fallimentare, è da considerare proprio l’attentato alla lingua e alla cultura sarda, perciò in Sardegna occorre una complessa azione riparatrice per l’economia, e una non semplice opera di restauro per la lingua e la cultura.
Poiché la lingua madre è un elemento identitario imprescindibile per ogni popolo, per una fondamentale opera di rivitalizzazione culturale nelle scuole dell’Isola è un passo obbligato l’insegnamento della lingua sarda e delle materie di studio in sardo. Se lo Stato italiano, dopo aver progettato e imposto la distruzione della cultura sarda, tenterà di sbarrare la strada all’adozione della lingua madre nelle scuole dell’isola, la Regione Sardegna dovrà ricorrere agli organismi internazionali e, se non bastasse, l’intero popolo sardo dovrà affrontare una dura battaglia. I Sardi, hanno gli strumenti per vincere questa battaglia perché non si può impedire ad essi di parlare e di scrivere nella loro lingua madre, neppure nelle scuole e neppure per legge.
Nell’ottica dell’eventuale contenzioso con lo Stato occorre tener conto, tra l’altro, del citato articolo 33 della Costituzione italiana, secondo cui “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Sulla base di questo principio va considerato libero anche l’insegnamento della lingua e di tutti gli elementi della cultura in quanto aspetti della scienza. La lingua come la cultura non può essere solo quella italiana perché altrimenti verrebbe meno la libertà di chi insegna (gli insegnanti sardi) e non di meno di chi riceve l’insegnamento (le comunità sarde). Non si può certo eludere il dettato dell’articolo 1 comma 1 della citata legge 15.12 1999, N. 482, “La lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano”, ma non è specificato in quale forma l’italiano è la lingua ufficiale e si può ben intendere che l’italiano è la lingua degli atti ufficiali. L’insegnamento in sardo e non solo del sardo nella scuola dell’isola dovrebbe essere lecito a condizione che i relativi atti ufficiali siano redatti anche in lingua italiana e non solo nella lingua minoritaria.
Le azioni da intraprendere per il rinascimento culturale isolano non sono semplici ed è fondamentale il ruolo e l’impegno della Regione Sardegna. Da parte della Regione, attraverso il suo Assessorato all’Istruzione, gli uffici scolastici e una commissione di esperti, si renderà necessaria la predisposizione di un piano operativo (scelta delle materie, etc.) per l’insegnamento in lingua sarda, gradualmente a partire dalle scuole materne e dalle Elementari sino all’Università. Ovviamente nelle scuole, l’insegnamento delle varie materie di studio dovrà essere riservato solo a coloro che conoscono la lingua e la cultura sarda, tranne che per l’insegnamento delle lingue non sarde (italiano, inglese, etc.) e salvo che negli insegnamenti universitari.
Per i Sardi è fondamentale riappropriarsi pienamente dell’intero sistema linguistico che comprende il campidanese, il logudorese, il nuorese, il gallurese e il sassarese e le varie parlate degli abitati dell’Isola, in particolare il tabarchino di Carloforte e il catalano di Alghero. Infatti, anche il sassarese e il gallurese vanno considerate lingue sarde in quanto radicate nell’isola sul piano geografico e storico. L’italiano va invece ritenuto una lingua dotta e veicolare e non può essere messo sullo stesso piano della lingua madre dei vari territori sardi.
Per realizzare questo non semplice obiettivo è indispensabile il concorso di tutte le comunità isolane e occorre superare qualsiasi divisione sulla questione del come insegnare la lingua sarda e in lingua sarda. Così come, per non perdere la straordinaria varietà e bellezza dell’abbigliamento tradizionale della nostra isola, non si può imporre alle donne di Orgosolo, di Tempio e dei Campidani di buttar via i loro abiti per indossare il vestito pur bellissimo di Samugheo, allo stesso modo non si può abbandonare la straordinaria varietà linguistica isolana, e per tale ragione occorre impiegare nell’insegnamento le lingue parlate nelle diverse aree (Logudorese, Nuorese, Campidanese, Gallurese, etc.) e non già una lingua comune, perché diversamente le lingue parlate, e con esse le espressioni culturali in genere, scomparirebbero ineluttabilmente nella gran parte dei paesi sardi. Una pallida idea di ciò che si perderebbe (tanto si è già perduto) del complesso linguistico e culturale potremmo averla se improvvisamente nell’isola fosse vietato l’uso di tutti gli abiti tradizionali.
In questo delicato processo di rinascita, l’obiettivo primario è la salvezza della lingua madre che rischia la scomparsa nelle diverse parti dell’isola, non già la ricerca della standardizzazione e dell’unità della lingua sarda, che pure ha un fine nobile, l’unità dei Sardi, e auspicata anche da illustri benemeriti studiosi. Tale ricerca, infatti, va condotta in modo democratico e non può essere risolta in tempi brevi con un’aristocratica decisione dall’alto. Giustamente Giulio Paulis, in M. Argiolas, e R. Serra (eds, Limba, lingua language, 2001, p.158) ha rilevato che “la pianificazione linguistica (vale a dire la scelta di una lingua comune) può riuscire solo se avrà il riscontro della partecipazione collettiva e dev’essere fatta con la difesa della pluralità dialettale”. La lingua è la voce del popolo, un insieme complesso generato da una lunga storia e da vincoli territoriali, certo sempre in evoluzione, e non si deve distruggerla neppure in parte sia pure per un obiettivo rilevante come la lingua comune.
Per la stessa finalità della salvezza del patrimonio linguistico e culturale, parlato e non solo scritto, negli atti ufficiali si impone l’esigenza di adoperare la lingua locale in ambito comunale e provinciale (regione storica), e le diverse lingue sarde (Logudorese, Nuorese, Gallurese, Campidanese) in ambito regionale. Per quanto attiene alla complessità della questione, pensiamo alle quattro lingue della Svizzera, per giunta molto diverse tra loro e soprattutto all’esempio della Corsica. Per chi traduce in Italiano o in altre lingue è indifferente che egli abbia a che fare col Campidanese o il Logudorese. Sullo stesso piano, anche per le regole ortografiche è necessario partire delle diverse parlate e adottare norme rispettose dei testi scritti in sardo fin da antica data oltre che della formazione storica/etimologica delle parole e della pronunzia locale. Non è dunque giustificabile, ad esempio, la sistematica artificiale eliminazione delle consonanti doppie (baca, buca, seti, mama, anziché bacca, bucca, setti, mamma, etc.).
In questo difficile percorso del ripristino della memoria, i figli che frequenteranno la nuova scuola e i nonni aiuteranno i padri, quelli più colpiti dalla bufera della scuola italiana. A tal fine in ambito locale può essere assai utile non solo il coinvolgimento degli anziani, ma anche l’utilizzo della letteratura e della poesia scritta e orale dei singoli paesi, basti pensare alle straordinarie raccolte etno-linguistiche di Enrica Delitala, oggi al Museo Etnografico Regionale di Nuoro, purtroppo in gran parte ancora inedite. Per la sopravvivenza della lingua e della cultura sarda in tutte le sue forme è indispensabile il contributo dei nostri illustri linguisti e più in generale degli intellettuali.
Al momento, la situazione linguistica sarda non è paragonabile a quella italiana che adottò la lingua di Dante, dopo un processo durato secoli. In futuro, quando la loro lingua madre sarà tutelata in tutte le sue forme ed espressioni e i Sardi avranno piena cognizione della loro storia linguistica e delle diverse parlate dell’isola, niente impedirà ad essi, se lo vorranno, di adottare una lingua unitaria negli atti ufficiali d’ambito regionale e nella stessa lingua parlata; ora, come detto, è un impellente priorità risanare e recuperare il patrimonio linguistico parlato e scritto di tutto il popolo nelle sue diverse manifestazioni.
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Apu lìgiu cun interessu custu àrticulu, e seu de acòrdiu po su chi pertocat su tema de imparai su sardu in s’iscola, prus pagu po su chi pertocat s’arrexonu in contu de sa standardizatzioni, ma a parti custu pensu chi in custu artìculu amanchint duas cosas de importu mannu:
1: su sardu. comenti podeus chistionai cun arrennegu mannu contra s’iscola chi non imparat su sardu e scriri in italianu fintzas subra de custu tema? S’esperièntzias de àteras lìnguas minorizada nos ammustrat chi s’iscola, a sa sola, non bastat po torrari a ispaniai sa lìngua. Tocat chi is personas sceberint de dda impreai, de dda chistionai, de dda iscriri. Si is discentis imparant su sardu in iscola, ma poi foras de iscola ascurtant e ligint s’italianu est comenti chi imparint su latinu.
2: S’esperièntzia de Pèrfugas. Nd’apu chistionau in unu articulu in S’indipendente etotu. In Perfugas, gràtzias a s’iniziativa de su dirigenti Gianni Marras, e sena de fai nudda chi sa lei italiana non permitit, ant impreau su 20% de is oras curricolaris po imparai su sardu a is discentis e imparai àteras materias IN sardu! Cun resultaus stravanaus, ca is discentis ant imparau su sardu e fintzas mellorau meda sa connoscièntzia de àteras lìnguas. Su chi amancant, est sa connoscièntzia de custa possibilidadi e fintzas sa volontadi de dirigentis e maistrus, ca po una parti manna funt italianistas e mancu si ponint su problema de su sardu.
S’artìculu mi praxit meda e seu de acòrdiu giai in totu fràncu duas chistionis: in contu de istandard e de is arrègulas de iscritura.
Si est giustu finas s’amparu de is fueddadas localis, un’istandard est de importu mannu po nci bitiri su sardu a iscola, ca serbint librus e non podeus pensai de imprentai unu testu po ònnia bidda de Sardigna. E finas si pratzeus su sardu, poneus in duas perras: po mimi est un’atzioni polìtica chi podit ingendrai partzidura intre su pòpulu puru. Duncas pensu chi totu is lìnguas de Sardigna depant tenni un’istardand chi siat unu.
Po is arrègulas: non podeus pensai de imperai cun su sardu is normas chi eus connotu po iscriri s’italianu. Abarraus in is dòpias: teneus consonantis meda chi is sardus fueddendi ddas naraus sèmpiri afortiendiddas, comenti podit essi sa T, sa C, sa P; a iscriri custas dòpias mi parit de fai su sardu iscritu meda prus grai de su chi iat a depi essi.
Dae un’indipendentista sardu chi istimat sa terra e sa cultura sua.