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Veni, Vidi, Vici (e un documento inedito su Soru) – S’Imprenta, rassegna stampa dalla colonia

Passate le elezioni e l’inutile passerella dei cosiddetti “Big” che hanno iniziato qualsiasi discorso con l’immancabile “Bisogna + [inserisci qui questione banalizzata]*“, la Sardegna ha una presidente, la prima donna nella storia autonomistica: Alessandra Todde.

Nella campagna elettorale ha cercato il collegamento con Michela Murgia; i suoi fan la associano ad Eleonora d’Arborea; qualcuno giura di averla vista in apparizione mistica a Medjugorje, annunciatrice di pioggia benedetta.

Le elezioni in Sardegna sono elezioni natzionali sarde, finalizzate a risolvere i problemi della società sarda. Non possono essere ridotte a test per i partiti statali. Invece ci tocca ascoltare, dalle onde di RadioX, il solito Marcello Fois che parla di “sondaggio per capire quello che succederà a livello nazionale”.

Brevissima analisi del voto italiano, di cui si è già scritto tanto:

  • La candidatura di Alessandra Todde alla fine è stata una scelta vincente.
  • C’è un forte vento statale di destra, ma hanno sbagliato candidato, l’analisi dei voti di lista è chiarissima.
  • Meloni non ha incontrato i trattoristi cagliaritani, un elettorato generalmente vicino alla destra.
  • I 5stelle si fermano al 7,8% pur esprimendo la candidata (qualche domanda Licheri dovrà farsela).
  • A destra, i partiti sardi (Psd’Az, Riformatori Sardi e Sardegna 2020) ottengono un totale del 18%.
  • Soru ha preso lo 0,7% in più delle sue liste; Todde ha vinto per uno scarso 0,3%; per cui è altamente probabile che senza quella parte di voto disgiunto verso Soru, avrebbe vinto la destra. Già dal 20 gennaio scorso, dopo lo scaricamento di Solinas, avevamo scritto di voto disgiunto di Lega e Psd’Az (e dei cagliaritani) anche se poi Soru ne ha beneficiato solo in minima parte. Col senno di poi (ma così è facile!) si poteva intuire da un post di Mario Carboni, vecchio esponente sardista, che la maggior parte del disgiunto sarebbe andato direttamente alla Todde. Vendetta fatta.
    Occorrerà aggiornare la prosa del sardo, amicone che non ti abbandona mai.

C’è un’altra questione che aleggia e che accompagna l’Italia ad ogni elezione.
Destra e sinistra non si riconoscono reciprocamente democraticità piena. Dal “risorgimento lungo” si è passati al fascismo, ideologia che l’Italia ha regalato al mondo. È seguito un cinquantennio di democrazia senza alternanza e poi un ventennio di teledemocrazia Mediaset, con qualche alternanza dei post-comunisti.

Oggi al governo siede una signora che ha nel simbolo la fiamma che fu del MSI. La democrazia italiana non è matura, le parti non si riconoscono democraticità, da cui scaturisce l’efficacia della chiamata al voto utile, come chiamata di resistenza contro i manganelli, preludio di un neofascismo pronto a riemergere.

Fine dell’analisi sul campo italianista del voto.

E l’indipendentismo, ancora s’agatat?

Il prossimo futuro dell’indipendentismo è determinato dalla scelta di una singola persona, che non è neppure indipendentista (non proprio il massimo per chi crede nell’autodeterminazione). Il resto, a catena, si muoverà di conseguenza.

È caduto un tabù storico. Per l’indipendentismo questo voto non è stato come gli altri: dopo Autodeterminatzione (la più alta realizzazione dell’idea di Casa Comune di Angelo Caria) per la prima volta la maggioranza delle sigle ha scelto l’alleanza con i partiti italiani: iRS, Progres, Liberu, Sardegna chiama Sardegna, Maninchedda sono andati con Soru; A Innantis con i 5Stelle; i Rossomori con la sinistra italiana. Solo Sardigna Natzione non ha aderito ed è rimasta fuori, con il rischio di stare relegata in un angolo della storia, in assenza di una forte ripresa di iniziative. Occorre ripensare e andare oltre la “Casa Comune”.

Qui ci concentriamo solo su due problemi di fondo, che ricorrono ad ogni elezione. Ce ne sono molti di più, ma avremmo tempo e modo in seguito.

Il primo è di marketing puro, la politica c’entra solo in minima parte.

L’indipendentismo manca di coraggio, per cui si nasconde dietro sigle e alleanze autonomiste, si presenta con candidati non indipendentisti, salvo poi assegnare la sconfitta al tema indipendentista, che secondo alcuni non tira più (ma il cui argomento non è mai stato speso nelle elezioni degli ultimi 15 anni).

È un classico errore di posizionamento. Nel marketing si chiama “posizionamento” la ricerca di alcune proprie caratteristiche su cui far leva per differenziarsi dagli altri competitor.

Nel momento elettorale, in cui tutte le sigle unioniste si dichiarano opportunisticamente autonomiste, l’indipendentismo sceglie di non differenziarsi e si dichiara anch’esso autonomista, per paura di spaventare i bambini. Sceglie, cioè, di rendersi indistinto e irriconoscibile in termini di proposta politica. O è indipendentismo o è autonomismo (il federalismo raramente è stata un’opzione presente alle elezioni). Qualsiasi tentativo di sfuggire a questi schematismi finisce per sbattere contro la realtà fatta di contenziosi legali/amministrativi tra Italia e Sardegna.

Soru e Chessa non sono indipendentisti, come non lo erano Muroni e Andrea Murgia. Sono tutti autonomisti. Dunque, presentarsi come autonomisti è perdente.

Sempre per stare nel campo del marketing, un altro errore è quello sulla Brand awareness.

Qualsiasi sigla indipendentista, dopo anni di duro lavoro per far conoscere il marchio, con assemblee, battaglie, sit-in con bandiere sventolanti, improvvisamente, sotto elezioni, fa scomparire il marchio della sigla per far comparire una anonima e sconosciuta lista civica. Contemporaneamente, sotto elezioni, compaiono improvvisamente altre 20 liste civiche, in tutte le aree politiche, con i simboli e nomi che richiamano alla Sardegna.
Per cui l’indipendentismo finisce per perdere completamente la poca visibilità acquisita negli anni precedenti. È un errore di presunzione, o di scarsa attinenza con la realtà, pensare che tutti siano attenti alle dinamiche che accadono dentro ad una bolla in realtà minoritaria e isolata.

Se girassimo nei mercatini e chiedessimo a delle signore anziane se conoscono il marchio Vota Sardigna o Sardegna R-Esiste in poche risponderebbero affermativamente. Come si può anche solo prendere in considerazione il voto per qualcosa che non si conosce? Sardegna chiama Sardegna, dopo essersi fatta apprezzare e conoscere, improvvisamente sparisce dalla scheda elettorale. Idem per i Rossomori. Ancora di più per Sardigna Natzione (in riferimento alle elezioni precedenti) forse il marchio più conosciuto, per questioni anagrafiche e perché ha un “nome parlante” e facilmente memorizzabile: ha sempre scelto di scomparire nel momento elettorale.

È come se la Coca Cola cambiasse nome nel momento di maggiori vendite. Una follia totale. È ovvio che il progetto deve nascere nei quattro anni precedenti le elezioni e deve farsi conoscere per durare almeno per i prossimi vent’anni.

Chessa (1%) sulle ali dell’entusiasmo ha annunciato la candidatura alle Europee e la prosecuzione del progetto.

Soru (8,6%) continuerà il progetto sul modello “valdostano”?

Dagli archivi di Sardigna Natzione Indipendentzia sbuca questo documento, a testimonianza di un suo lontano interessamento agli argomenti dell’autodeterminazione sarda, che però si sono persi da un certo punto in poi.

La Coalizione Sarda ha imbarcato indipendentisti, Rifondazione comunista, Calenda (che ha già sgomberato il disturbo dalla coalizione) +Europa. L’armata Brancaleone è stata costretta all’ammucchiata per ovviare il secondo problema drammatico dell’indipendentismo: la legge elettorale.

Se la mancanza di coraggio indipendentista non ha un effetto immediato sui risultati elettorali, ma su una crescita di lungo termine, la questione della legge elettorale è, invece, determinante.

È chiaro che se un personaggio già noto a tutti i sardi come Soru, che ha i soldi per la campagna elettorale, che ha fatto una ottima campagna elettorale (che ha posto temi non banali) non arriva al 10%, gli indipendentisti da soli, non si sarebbero nemmeno lontanamente avvicinati alla soglia di sbarramento. La famosa lista civica natzionale naufragata, su cui si stava lavorando sotto elezioni, si sarebbe fermata al 2-3%, andando bene. E oggi staremmo parlando del perché “i sardi non ci hanno capito”, con l’eterno ritorno delle solite blande analisi.

Con un’altra legge elettorale, l’8,5% non sarebbe stato un risultato negativo, anzi. Certo, se confrontato con le aspettative di Soru e Maninchedda (che si aspettavano la competizione per la vittoria) allora è una cocente sconfitta. In questo spazio abbiamo sempre parlato di minoranze (o di disturbatori del duopolio coloniale, a seconda del punto di vista). Che Soru e Chessa non fossero in corsa per la competizione era chiarissimo.
Date le alte aspettative di Soru, è molto difficile che scelga di portare avanti il progetto, destinato a stare minoranza per parecchio tempo. Vedremo già con le candidature per le amministrative di Cagliari.

La politica sarda deve prendere atto che esiste un pezzo di Sardegna che non voterà mai il duopolio coloniale e che non viene rappresentato.
A quel punto, meglio l’astensione!

Invece, Cuccureddu (Orizzonte Comune, con Todde) tra i responsabili di questa oscena legge elettorale, non vuole modificarla perché, a sua detta, durante una delirante intervista a l’Unione Sarda,garantisce la governabilità“, per cui, secondo Cuccureddu, “per un Terzo Polo non c’è spazio“, come se la mancata elezione non fosse derivata da una scelta dettata da chi ha fatto questa porcheria di legge elettorale, ma da un fatto dettato dal destino.
Questa cosa non ha senso, perché la governabilità è garantita dal premio di maggioranza, non dallo sbarramento. Ma il giornalista dell’Unione, che non è molto pratico in fatto di domande scomode, non è stato capace si farglielo notare.

Per Massimo Zedda, invece, le minoranze sono portatrici di istanze particolari, dunque non hanno una visione generale: premio Nobel per la pace subito, per il rispetto delle minoranze! Però i fascisti erano gli altri.

La legge elettorale è l’assicurazione del duopolio coloniale, e ce lo dicono tranquillamente. È il fortino che i partiti italioti non toccheranno mai. È una delle battaglie da cui ripartire, da combattere con il coltello tra i denti, questa volta in maniera condivisa e senza padrini, su un terreno neutro.
È un aspetto democratico, dunque fondamentale. Se la sinistra sarda non lo capisce, abbiamo un grosso problema di democrazia anche a sinistra.

L’indipendentismo sardo, rispetto a quello Corso, ha scelto decenni fa la via democratica e non violenta per l’autodeterminazione della Sardegna, ed è giusto che si continui su questa strada.

Cosa aspettarsi da Alessandra Todde?

Ha responsabilità sull’ondata speculativa energetica e sul Tyrrhenian Link, ma ha detto che opporrà la moratoria: vedremo; continueranno le esercitazioni militari (“sostenibili”, qualsiasi cosa voglia dire) e continuerà la dessardizzazione: lingua e storia sarda non saranno obbligatorie a scuola. Opererà per migliorare il rendimento scolastico? Sanità e trasporti interni ed esterni immagino che saranno per forza di cose all’ordine del giorno, tutti i giorni.

I tempi moderni ruotano intorno alle guerre (e al genocidio palestinese) che necessitano di tecnologia, che ha fame di energia. Il dramma delle servitù in Sardegna rispecchia in pieno questa triade, tra basi militari, esercitazioni Nato, RWM e speculazione energetica eolico-fotovoltaica che si aggiunge alla petrolchimica. La colonia è servita.

Il nuovo decreto aree idonee:

  • concede alle regioni 180 gg per indicare le aree su cui installare i GW assegnati
  • i GW assegnati alla Sardegna sono 5,8, rispetto ai 75 del totale Italia.
    Produrremo il 7,73% sul totale statale, ma siamo il 2,6% della popolazione dello stato italiano. Quasi il triplo. Questa quota va ricontrattata.

Inoltre è necessario che la transizione energetica vada a beneficio della popolazione, con il fotovoltaico sui tetti e sui capannoni, privati e pubblici, non delle multinazionali. Esiste una questione sociale che accompagna quella ambientale.

Una risposta dai Comitati territoriali

È tempo di fare il tagliando ai Comitati. Passata la tornata elettorale è necessario stare con il fiato sul collo del governo sardo: 180 giorni volano in fretta.
Se teniamo conto del fatto che almeno 60 giorni serviranno per mettere su il governo, di fatto saranno solo 120 giorni per fare la moratoria e predisporre il piano energetico.

Innanzitutto, i Comitati non sono stati un fuoco di paglia, hanno resistito all’usura e continueranno a lottare contro quest’attacco speculativo che devasterà la Sardegna.

Anzi, ne stanno nascendo di nuovi. Gli ultimi a Sassari, ad Alghero e ci aspettiamo quello di Orgosolo. Il comune che ha conosciuto la lotta di Pratobello, subirà un attacco paesaggistico preannunciato solo da una pec. La situazione è piuttosto esasperante, la lotta si intensificherà e non si conosce l’esito finale.

Il giorno prima delle elezioni, a Selargius, durante il sit-in di fronte al cantiere Terna, dove si stanno installando le stazioni del Tyrrhenian Link, i manifestanti sono entrati nell’area recintata e hanno affisso un Manifesto di sfratto, tra le pattuglie di carabinieri e polizia accorse per vigilare.
Il Manifesto di sfratto è bilingue. In sardo per ovvie ragioni, e in italiano per questioni di riguardo verso l’ospite (non gradito). A ricordare che Terna, a su Padru non è padrone, ma ospite! Il consiglio comunale di Selargius ha detto chiaramente NO ed è in corso un ricorso straordinario al presidente della repubblica.


Qui il video dell’invasione del cantiere.
Continua l’espianto delle vigne (qui il video) dei mandorli e degli ulivi (questi ultimi saranno reimpiantati).

Todde blocchi il Tyrrhenian link e studi altre forme per la stabilità energetica, lo statuto sardo ha competenze sull’energia.

In un precedente articolo avevamo parlato dei Comitati come dei veri e propri laboratori anticoloniali e in un altro ne avevamo descritto la vivacità (Viaggio dentro i Comitati).
La società sarda ha risposto alle varie chiamate, nonostante la partecipazione riguardi ancora una piccola porzione di popolazione. Uguale movimentismo, comunque, non si può ravvisare nelle regioni del sud Italia, anch’esse sotto attacco: Sicilia, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria.

Questa resistenza è un fenomeno tutto sardo, ma la politica è rimasta sorda.
Occorre alzare il tiro, seguendo il “metodo Selargius“: pressing politico puro a tutti i consigli comunali pertinenti, rumorose occupazioni dell’aula consiliare, assemblee di piazza, volantinaggio, manifesti, sit-in, eventi culturali, lavori collettivi, pranzi sociali.

Occorre spingere con forza contro la speculazione eolica, contro le esercitazioni militari, mantenere alta la guardia sulle scorie nucleari. Al sit-in di Selargius, contro il Tyrrhenian Link, era presente il Comitato No-Scorie, oltre a vari altri Comitati territoriali. È necessario il dialogo anche con A Foras, con Sardinnia Aresti e i vari comitati ambientalisti, ad esempio quello di Punta Giglio.

Infine, deve parlare con tutto il mondo agricolo e pastorale e con una parte di quello turistico (quello sensibile alle questioni ambientali). Deve porre alla politica le questioni paesaggistiche. È necessario studiare un turismo sostenibile, che non saccheggi la Salvacoste (tra i primi obiettivi della politica sarda a destra come a sinistra). Il nostro patrimonio culturale e paesaggistico si basa moltissimo sulla questione estetica. La bellezza deve entrare prepotentemente come categoria politica, e permeare le scelte in edilizia, nell’agroindustria, nel turismo e in tutte le attività che dall’ambiente ci vivono.

Azione e narrazione devono andare di pari passo, per cui è necessario rimettere in moto il mondo della cultura, quella parte non legata ad interessi romani, quella coraggiosa che si schiera contro il potere, consapevole che potrà perdere il cachet di una serata. Servono intellettuali con la schiena dritta e che ci mettano la faccia.

I Comitati hanno posto diverse domande e rappresentano il sale per una nuova elaborazione che potrebbe portare alla nascita di un nuovo corpo intermedio.

Analizzati con le categorie politiche tradizionali, i Comitati sono al loro interno molto variegati, per cui sembra difficile trovare una sintesi.
Tuttavia, un minimo comune condiviso, nei Comitati, va ricercato in alcune domande politiche forti che sono emerse in questi mesi, e che possono essere il nucleo per una base di dialogo, fermento per l’elaborazione:

  • La questione ambientalista/paesaggistica
  • L’anticolonialismo
  • La questione sociale redistributiva legata alla transizione
  • La richiesta democratica / autodeterminazione del territorio.
  • L’amore per la terra sarda

Le comunità vogliono contare e decidere, i cittadini vogliono determinare le scelte della politica del proprio territorio, in un modo che va oltre anche la semplice rappresentanza, a partire dalla presa di coscienza che lo statuto sardo assegna alla Regione poteri non sufficienti e che i Comuni contano pochissimo.

*qui sotto i riempitivi per il generatore automatico di problemi solving del “Big” di turno per questioni banalizzate: “allungare la stagione“; “puntare sulla cultura“; “ridurre le tariffe aeree“; “imparare ad utilizzare lo statuto autonomistico“; “puntare sui pirichitus“; ecc.


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100 cooperative aderenti in tutti i settori, oltre 3000 occupati , tra soci e non soci,  con un valore aggregato di oltre 90 milioni di euro di fatturato e circa 50 milioni di costo del lavoro.

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Articolo curioso, chi ha proposto non è un tecnico, da prendere con le pinze.

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Immagine copertina: ilfattoquotidiano.it

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