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La vita va così, il film (riuscitissimo) che mette a nudo tante questioni irrisolte

Ho visto il film e mi è piaciuto molto, ha funzionato sia dal lato della commedia che del dramma (quest’ultimo tutto molto reale).
L’enorme pubblicità iniziale mi aveva fatto alzare diverse barriere e, scottato da altri film banali e mediocri, le aspettative iniziali erano molto basse: mi attendevo il solito film con lo sguardo orientalista, ma non è stato così, salvo piccoli passaggi. I dialoghi ricalcavano in qualche modo le modalità di esprimersi dei sardi, ad esempio quando Mulas riconosce il ricco milanese semplicemente “poita ca ses a frag”e dinai”. È una frase che potrebbe aver detto tranquillamente un sardo, diciamo che i dialoghi sono stati risciacquati in su Riu Mannu.

Dal punto di vista politico mette a nudo uno dei drammi della Sardegna, il ricatto occupazionale, tra lo sviluppo sostenibile e l’estetica come valore umano e politico. È successo storicamente e succede ancora oggi, con le basi militari, la petrolchimica e l’industria inquinante (“ci portano lavoro”) con la produzione di armi (“i posti glieli date voi se chiudono?”), con la speculazione energetica oggi (“dobbiamo chiudere il carbone”).
Le proposte esterne spaccano la società.

Se vogliamo inquadrare la vicenda di Teulada, da un lato (non presente nel film) l’esercito italiano che negli anni ’50 ha tolto i mezzi di sostentamento alla popolazione, espropriando, facendo crollare il prezzo del bestiame, devastando la comunità agro-pastorale costretta ad emigrare: in una parola creando povertà indotta. Qui sono presenti le video-testimonianze della popolazione, raccapriccianti.

Dall’altra, il modello turistico come alternativa di riscatto, e su cui ancora poco abbiamo discusso, per capire quale modello è giusto per noi.
Turismo d’élite o di massa, turismo diffuso o concentrato in grosse strutture, in cui ai sardi non resta che servire come camerieri e “su dinai si ndi bolat a Milano”, come dichiara laconicamente Efisio Mulas.

Perché alcuni lavori hanno lo stigma (pastore, agricoltore) e non attraggono più, mentre servire come cameriere sembra una manna dal cielo?
Scegliamo un turismo che si basa sulla costruzione di tanti fùrriadroxus, integrati nel paesaggio, a debita distanza dal mare?

Il ricatto occupazionale spacca le comunità, i grandi industriali danno del tu alla politica locale, che risponde con riverenza, spingono per fare pressione su chi si aspetta un posto di lavoro.

Se Ovidio Marras è considerato un eroe dei nostri tempi, questo film rimette in discussione la sua figura e la sua scelta, e ti costringe a riflettere sulle conseguenze. Sia tra chi ha maturato idee anticoloniali, che non può chiudere la partita senza fornire alternative, che, a maggior ragione, tra chi ha una visione non coloniale.

Efisio Mulas, di fronte al vescovo armato di pastorale, simbolo del potere ecclesiastico, si erge in piedi cun sa matzoca, simbolo del potere in casa sua, a ribadire il suo “apu nau ca nou”. Emerge la sovranità e l’inviolabilità della propria casa, di fronte ad ogni autorità, materiale o spirituale che sia. Emerge la forza d’animo e lo spirito libero.

Rispetto ad altri film, ad esempio “Mollo tutto e apro un chiringuito”, il milanese non viene ad insegnare ai sardi come va la vita, ma sarà lui ad andare via dall’isola apprendendo una dura lezione, forse incomprensibile dalle sue parti.
Su dinai, per una volta, non sta al centro di tutto, cussu si bolat.

Insomma è un film che mette il dito sulla piaga su molte nostre contraddizioni, non è il solito film che getta uno sguardo coloniale, scende molto più in profondità delle nostre questioni irrisolte, ma è anche un film universale, perché in questi tempi moderni, in cui tutto si vende e tutto ha un prezzo, i rapporti di forza sono determinati da chi ha maggiori poteri economici.
A meno che non usiamo un altro tipo di moneta, cioè un altro linguaggio.


Immagine: lastampa.it

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