Ambiente

129 Articoli

Architettura

3 Articoli

Cinema

8 Articoli

Cultura

148 Articoli

Economia

8 Articoli

Giustizia

8 Articoli

Interviste

49 Articoli

Lingua

45 Articoli

Mondo

26 Articoli

Musica

4 Articoli

Notizie

60 Articoli

Persone

15 Articoli

Politica

212 Articoli

S'Imprenta

133 Articoli

Sanità

13 Articoli

Senza Categoria

1 Articoli

Società

15 Articoli

Sport

5 Articoli

Storia

90 Articoli

Trasporti

3 Articoli

Non perdere le ultime da S'Indipendente!

Aici andat sa vida?

Myriam Mereu, PhD in Studi Filologici e Letterari all’Università di Cagliari, è stata assegnista di ricerca in diversi progetti sul cinema e gli audiovisivi, tra cui il progetto “ATLas – Atlante delle televisioni locali” (Prin 2020). Autrice di diversi contributi sul cinema in Sardegna in riviste e volumi, nel 2024 ha pubblicato la sua prima monografia dal titolo Le voci dello schermo. Le lingue nel cinema sardo contemporaneo con l’editore Mimesis


Partiamo da alcuni dati ripresi da CineGuru: media di 1.085€ in 651 cinema per un totale di 3.269.038 euro al 2 novembre 2025. Stiamo parlando della performance al botteghino de La vita va così di Riccardo Milani dopo il secondo fine settimana di programmazione nelle sale.

Al di là degli incassi, assolutamente significativi, merita attenzione la ricezione del film uscito il 23 ottobre 2025 e presentato in occasione della ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma come film d’apertura. Non c’è dubbio che il battage promozionale abbia creato un caso cinematografico a partire dalla vicenda di Ovidio Marras, il pastore teuladino che nel 2010 si oppose alla costruzione di un resort di lusso nell’area di Tuerredda-Malfatano e rifiutò un’ingente somma di denaro da parte della Sitas S.p.A., fallita nel 2018. Ma le persone che hanno visto e gradito il film di Milani cosa ricordano di quella vicenda? E soprattutto, il pubblico continentale, che magari non ha seguito la storia di Ovidio Marras con la stessa partecipazione emotiva, cosa ha interiorizzato del racconto e della rappresentazione del pastore? Descritto come “una storia di resistenza e appartenenza”, il film di Milani ha conquistato il primo posto al box office nel weekend di esordio, ma ha anche scatenato un dibattito che oltrepassa i confini isolani.

Le discussioni sui social sono particolarmente accese e, come prevedibile, polarizzate: chi ha apprezzato il film si sofferma principalmente sulla performance (convincente) di Giuseppe Ignazio Loi, il pastore ottantaquattrenne di Terralba che interpreta Marras, il quale ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera di aver ampliato la casa grazie ai soldi guadagnati col film. Chi invece non l’ha recepito in maniera positiva rimarca soprattutto la stereotipizzazione della figura del pastore “buon selvaggio” che nonostante gli siano stati offerti milioni di lire – in seguito milioni di euro – per la vendita dei suoi terreni si è opposto con “orgoglio” alle avances del gruppo immobiliare milanese.

Troviamo in questa polarizzazione, sintetizzata in poche righe, diverse criticità: la prima è che il pubblico si aspetta di ritrovare nel non-attore valori quali l’orgoglio, la resistenza, la caparbietà e l’integrità che hanno caratterizzato Ovidio Marras nella sua battaglia contro il cemento e che continuano a promanare dopo la sua morte, come se si volesse proiettare su di lui l’immagine dell’eroe fiero e tenace, una specie di Amsicora dei nostri giorni. La seconda è che i fan del film di Milani accusano i “detrattori” di non aver colto il messaggio di denuncia insito nell’opera e che anziché lamentarsi dovrebbero plaudire alla decisione del regista di rievocare una vicenda che dovrebbe fungere da monito per l’intera isola.

Anche per la politica sarda, quindi? Ovviamente sì, e infatti il film è stato generosamente sostenuto dalla Regione Sardegna e dalla Fondazione Sardegna Film Commission che nella home page del sito lo celebra come successo del cinema “made in Sardegna” insieme a Storia di un riscatto di Stefano Odoardi, “primo tra le produzioni indipendenti italiane”. Ed ecco un altro nodo problematico: La vita va così, titolo dall’impianto astutamente precettivo, è una lezione di vita fatta al popolo sardo da un regista che ha la Sardegna nell’anima, tifoso di Gigi Riva a cui lo stesso Milani ha dedicato il documentario Nel nostro cielo un rombo di tuono (2022). Dopo il ritratto del campione amato, ecco una storia che ci parla di dignità, di rispetto del territorio e di lotta alla prepotenza che sembra riecheggiare il Procurade ‘e moderare di Francesco Ignazio Mannu ma in chiave ambientalista e buonista.

Dice bene Michele Virdis che il popolo sardo è affetto da una forma di contraddizione congenita: da una parte si proclama “orgoglioso, forte, speciale, portatore di valori superiori e di una cultura millenaria indomita”; dall’altra si lascia ammaliare dall’ennesima eterorappresentazione del pastore sardo visceralmente legato alla propria terra, “custode silenzioso di un tempo che sembra non esistere più”, come si legge nel sito di Medusa, la società che distribuisce il film nelle sale. Sembra di leggere le pagine di Sea and Sardinia di D.H. Lawrence, che nel 1921 scriveva: “Sardinia, which is like nowhere. Sardinia, which has no history, no date, no race, no offering”. Al viaggio in Sardegna di Lawrence e di sua moglie Frieda von Richtofen si ispira anche la collezione primavera/estate 2026 dello stilista algherese Antonio Marras, che ha fatto chiudere la sfilata a Giuseppe Ignazio Loi, “simbolo della Sardegna che resiste”. 

La costruzione del carattere forte e resiliente del pastore sardo ha radici profonde nella letteratura, e per osmosi anche il cinema ha assorbito e fatto propri alcuni stilemi di questa caratterizzazione granitica e inscalfibile. Negli anni Sessanta, lo scrittore Giuseppe Dessì paragonava la Sardegna a «un pezzo di luna caduto nel Mediterraneo», una terra che «si muove in un tempo preistorico» e che vive in una condizione di «isolamento, una solitudine che è fuori dalla dimensione della vita moderna» (Dessì, 2006: 73). In letteratura troviamo spesso la descrizione della Sardegna come un luogo mitico più che geografico, identificata con concetti quali isolamento, solitudine, primitività e atemporalità; è la storia, più della geografia, che ne determina le coordinate spaziali e stabilisce le distanze rispetto agli altri luoghi del mondo.

Fin dalle origini, il cinema d’ambiente sardo ha riproposto e amplificato alcuni cliché associati all’isola, specialmente alle zone dell’interno, cosicché sullo schermo la Sardegna è spesso apparsa come una terra selvaggia, chiusa e impenetrabile, in contrapposizione allo spazio osmotico e liminare delle coste. Nel film di Milani l’accento è posto sulla bellezza dei luoghi – le spiagge in primisin contrapposizione a una situazione di immobilità che sembra pervadere il paese di Bellesamanna, “bloccato” dalla testardaggine del pastore che non vuole vendere la terra in barba al tasso di disoccupazione galoppante e all’emigrazione dei giovani, compreso il figlio. Centrali sono, nel film, le scene in cui gli abitanti del paese si recano in processione da Efisio con la speranza di farlo desistere dai suoi propositi, un segmento narrativo che Gianni Canova apprezza per la modularità e la dinamicità ma che a parere di chi scrive appesantisce e banalizza la narrazione. 

Un altro elemento che attraversa la narrazione è l’identità, o meglio “il fantasma dell’identità sarda”, per riprendere le parole di Salvatore Mannuzzu: come un baluardo sicuro e inespugnabile, l’identità è un concetto “passe-partout” che si presta alla trattazione delle tematiche più disparate e si insinua in ogni pertugio, dal paesaggio, ridotto a cartolina patinata, alla preparazione della pilarda, il pomodoro secco che invade la cucina della moglie di Efisio Mulas, fino alla lingua e alla rappresentazione della donna sarda. Emblematico, a tal proposito, lo scambio di battute tra la figlia di Efisio, interpretata dalla romana Virginia Raffaele, e la giudice Giovanna, interpretata dalla sarda Geppi Cucciari. L’immagine della donna sarda è anch’essa vittima di stereotipi, imbrigliata in una rappresentazione passatista e conservatrice di forza, resistenza e silenziosa sopportazione riassunta nella frase “le donne sarde non piangono mai”.

Una parte della discussione pubblica si è concentrata sulla questione linguistica: c’è chi ha parlato di furto dell’accento sardo nel tentativo di ricreare mimeticamente la realtà sociale raccontata, una patina di Sardwashing che si posa lieve sul paesaggio linguistico senza troppe asperità; di fatto l’unico personaggio compiutamente sardofono è Efisio Mulas, che non a caso è interpretato da un attore non professionista al suo esordio cinematografico: la sua padronanza del sardo, simbolo di autentico radicamento nel territorio, è anche il sigillo della sua ostinata determinazione e chiusura. Solo Francesca, la figlia, lo capisce, ma è con la giudice Giovanna che la comprensione arriva a un livello più profondo. Hamid Naficy ha coniato l’espressione accented cinema in riferimento ai film con un “accento”, ossia un tratto che instaura uno stretto legame con l’identità, l’etnicità e l’autenticità del parlante. Se la recitazione di Ignazio Loi alias Efisio Mulas è “accentata” in quanto rimanda alla sua sardità e alla sua sardofonia, quella degli altri attori è una interpretazione che dell’accento possiede solo una blanda veste fonetica tendente alla caricatura o alla mimesi. 

La ricezione critica si è mossa tra entusiasmo e cautela. Alcuni critici, come Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera, hanno visto nell’opera «una lezione civile in stile Capra, costruita con rigore e affetto per i suoi personaggi». Altri, come MyMovies, ne hanno apprezzato il ritmo sobrio, la fotografia tersa e la capacità di riportare al centro il tema della dignità individuale in tempi di precarietà etica. Tuttavia, non sono mancate letture più problematiche: testate e osservatori sardi, da S’indipendente a Vistanet, hanno sottolineato una certa distanza fra la Sardegna reale e quella evocata da Milani, rimarcando come il film, pur mosso da buone intenzioni, finisca per esportare un’immagine edulcorata del mondo agropastorale, filtrata da uno sguardo esterno.

In un’altra sede, io e Andria Pili abbiamo argomentato l’operazione politico-cinematografica compiuta da Milani col sostegno della Regione. Il confronto fra le reazioni locali e nazionali rivela dunque una doppia prospettiva: da un lato, il film vorrebbe soddisfare il bisogno di rappresentazione dell’isola, portando in sala un racconto che parla di etica, comunità e resistenza ai modelli economici globali; dall’altro, espone le fragilità e le attese di un pubblico che chiede di vedersi rappresentato senza filtri, lontano dagli stereotipi del “paradiso incontaminato” o del “paese immobile”. Il dibattito sul film, ancora in fieri, condurrà inevitabilmente ad altre riflessioni e a nuove polarizzazioni volte a esacerbare la tensione tra rappresentazione autentica e visione mediatizzata della Sardegna. 

Cumpartzi • Condividi

Lascia un commento / Cummenta

I commenti saranno sottoposti ad approvazione prima della pubblicazione.

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha in caricamento...