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Al 20,9% la Sardegna diventerà una discarica nucleare 

de Cristiano Sabino

Ricordate Margherita Hack? La simpatica astrofisica, con spiccato accento toscano, materialista, atea mai pentita e convinta comunista? Fu anche candidata per Rifondazione Comunista alle Europee. E ricordate Fukushima? Quella ridente città giapponese coinvolta nell’incidente nucleare più famoso dopo Chernobyl? E ricordate cosa è accaduto in Sardegna il 15 e 16 maggio del 2011? 

No? Va bene, ripassiamo insieme un po’ di storia recente, ma prima partiamo dalla cronaca. 

È notizia recentissima che a settembre sarà pronto il provvedimento con cui il governo aprirà ufficialmente le «autocandidature dei territori per accogliere il Deposito nazionale unico delle scorie nucleari»

Lo ha reso noto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, lo stesso che recentemente aveva dichiarato che la Sardegna dovrà diventare la turbina d’Italia producendo energia per circa cinquanta milioni di persone, anche se in Sardegna siamo poco più di un milione e mezzo.   

Contestualmente alla colonizzazione energetica, si gioca pure allo schiaffo del soldato sulla questione “deposito unico scorie nucleari”.  

Ma di cosa si tratta precisamente? Non ci crederete ma c’è un sito istituzionale (https://www.depositonazionale.it/ ) che lo pubblicizza come fosse il paese dei balocchi.

Leggiamo insieme qualche passaggio:  

«Oggi, al contrario di quanto accade all’estero, non esiste ancora in Italia una struttura centralizzata in cui sistemare in modo definitivo i rifiuti radioattivi. La sua disponibilità permetterà di smaltire definitivamente tutti i rifiuti radioattivi italiani e di completare il decommissioning degli impianti nucleari così da poter restituire i siti che li ospitano privi di vincoli radiologici».   

 «La realizzazione del Deposito Nazionale non solo consentirà all’Italia di allinearsi a quei Paesi che da tempo hanno in esercizio sul proprio territorio depositi analoghi, o che li stanno costruendo, rispettando così gli impegni etico-politici nei confronti dell’Unione Europea, ma anche di valorizzare a livello internazionale il know-how acquisito».   

 «Il progetto comprende anche la realizzazione di un Parco Tecnologico, le cui attività, tra le altre cose, stimoleranno la ricerca e l’innovazione nei settori dello smantellamento degli impianti nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi, creando nuove opportunità per professionalità di eccellenza». 

Complimenti all’ufficio marketing che ha buttato giù questa bella pubblicità progresso per indorare l’amarissima pillola di quel territorio che avrà la disgrazia di essere individuato come idoneo ad ospitare – per sempre – il sarcofago con tutte le scorie nucleari prodotte all’interno dello Stato.  

La ragion di stato (o, se preferite, la ragion coloniale) parla chiaro: in sostanza il deposito unico delle scorie nucleari va costruito perché: 

  1. Ce lo chiede l’Europa (già sentito vero?) 
  1. È etico-politico nei confronti dell’UE (v. punto 1, ma con un riferimento alla morale…) 
  1. Vi facciamo anche un parco tecnologico, così ci portate gli studenti e magari qualcuno trova pure lavoro. Altro volete? 

Ok, ma dove lo vogliono fare questo deposito?  

Non certo nella terra che “ospita” suo malgrado il 65% delle aree militari dello Stato. Non certo nella Regione dove si programma di costruire una pantagruelica quantità di campi eolici e fotovoltaici per rifornire di energia a basso costo le fabbriche del nord Italia ed Europa. Non certo nella terra sacrificata da una industrializzazione criminale che ha avvelenato decine di migliaia di chilometri quadrati, tra il Sulcis, il centro Sardegna e l’area industriale di Porto Torres (per cui L’Eni è stata recentemente condannata: https://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2016/07/22/news/darsena-dei-veleni-d-porto-torres-condannati-tre-manager-della-syndial-1.13855447 ).  

Verrebbe da dire che, insomma, questa terra ha già dato e sta abbondantemente pagando quello che i vari messi governativi e i loro apologeti locali definiscono “interesse nazionale”. Il deposito unico di scorie nucleare potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso, anche per quei sardi che dimostrano devozione e amor patrio (in senso italico) e che risultano intrisi di tutta la retorica patriottarda con cui generazioni di isolani sono stati nutriti in 150 anni di lavaggio del cervello.  

E invece no. Ecco che il ministro dell’ambiente del Governo Meloni è tornato alla carica sulla questione “deposito unico” che si fa sempre più seria. Dove finiranno i 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi italiani per ora custoditi in depositi temporanei? 

La Sogin è la società incaricata dal governo di risolvere l’annosa questione e a marzo 2022 ha trasmesso al ministero della Transizione ecologica la proposta della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), individuandone 67 tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. 

14 su 67 sono in Sardegna, quindi il 20,9% di possibilità che la Sardegna diventi la discarica nucleare d’Italia e già questo è un dato che dovrebbe farci rizzare le orecchie.  

Non sarà che poco poco questo ciclico anda e torra di notizie sul deposito unico, sia una strategia comunicativa, sapientemente architettata, per bollire la rana, dove ovviamente la rana siamo noi sardi? 

La conoscete la storiella della rana che viene gradualmente abituata al tepore dell’acqua fino a diventare incapace di scappare e alla fine muore bollita viva? Ecco…  

Quattro delle aree individuate sono nell’Oristanese. Le restanti 10 sono nel Sud Sardegna, casualmente nelle zone più impoverite e avvelenate dall’industrializzazione pesante. E si sa, dove c’è degrado e povertà è più facile fare passare qualunque imposizione e comprare, con pochi spiccioli e un po’ di retorica, gli amministratori locali.   

Comunque, come si legge dai giornali, già dal governo precedente, per evitare eventuali sollevazioni popolari (magari la rana ancora del tutto bollita non è..), si è deciso di aprire le «autocandidature». Il che tradotto vuol dire press’a poco questo: magari esiste un sindaco tanto auto colonizzato (o sensibile a certi “argomenti”) che legge il sito di cui sopra e si innamora dell’idea di passare alla storia come colui che ha trasformato il suo ridente paesello in un sarcofago nucleare.  

Ma, nell’eventualità che questo sindaco non esistesse, il ministro Pichetto Fratin, mette le mani avanti e annuncia il segreto di pulcinella: vale a dire che potranno «essere prese in considerazione anche aree militari messe a disposizione dalla Difesa». Della serie o ci dite di sì volontariamente in cambio di qualche piatto di lenticchie o tanto la facciamo lo stesso nei territori sotto il nostro controllo militare. A voi la scelta! 

Bella la democrazia in stile italiano! 

Da-dan.. E dove si trovano aree militari così estese da poterne disporre in tutta serenità, con la capacità di poter tenere a debita distanza eventuali proteste popolari? 

La risposta la sapete già…  

Vediamo ora cosa c’entra la simpatica e compianta nonnina astrofisica Margherita Hack. Forse molti di voi l’hanno rimosso, perché quando una persona viene a mancare si tende a ricordare solo le cose belle.  

La compagna progressista e laica Hack era assolutamente favorevole al nucleare. E fin qui sono opinioni, discutibili magari, ma pur sempre opinioni. Ma la famosa astrofica era convintissima che il luogo idoneo per costruire queste centrali dovesse essere proprio la Sardegna: 

«Il nucleare comporta pericoli e va affrontato con grande serietà, che spesso in Italia manca, e razionalmente (..) esiste il problema della conformazione dell’Italia che è un Paese sismico. Quindi è necessario scegliere con grande attenzione zone sicure, come la Sardegna»  

 
Qui trovate la fonte: La Nuova Sardegna

Può far male, ma queste dichiarazioni della Hack ci ricordano che nel rapporto di dipendenza e subalternità che intercorre tra Sardegna e stato italiano, non ci sono progressisti e reazionari, buoni e cattivi, ma solo colonialisti e colonizzati. O fai le parti dell’uno o fai le parti dell’altro! Quando si ragiona con la testa dell’«interesse nazionale», tutti gli alfieri del colonialismo sono uguali e, chissà perché, la Sardegna ne esce sempre di sotto.  

Ma torniamo al focus della questione. Questa intervista veniva rilasciata a Il Giornale appena pochi giorni dopo l’apocalittico disastro nucleare di Fukushima causato da un potente terremoto l’11 marzo del 2011. Il terribile disastro nucleare  fu l’unico incidente atomico, insieme al disastro di Černobyl’, ad essere classificato di livello 7 della scala INES, cioè il livello di gravità massima degli incidenti nucleari.  

Ovviamente il mondo ne fu sconvolto e il dibattito sul ritorno al nucleare e sul deposito unico di scorie, fu affossato. Infatti, l’astrofisica aggiungeva: «è perfettamente inutile fare il referendum, il risultato è scontato: ci sarà una valanga di no». 

E una valanga di no in effetti arrivò davvero con il referendum consultivo sardo del 2011. All’epoca Sardigna Natzione aveva raccolto le firme per questo referendum, appunto consultivo, perché lo Statuto straccione in cui consiste la nostra carta autonomistica non prevede la possibilità di consultazioni popolari vere e proprie.  

Ma insomma, l’effetto a suo tempo si ebbe e come. Il 15 e 16 maggio 2011 infatti, pur essendo un referendum consultivo, il quorum veniva raggiunto con il 33% degli aventi diritto – che per essere un referendum consultivo mica male, a fronte di tanti referendum giuridicamente validi andati deserti nella recente storia repubblicana…  

La Hack era stata profetica, oppure semplicemente era a conoscenza della strategia governativa. Gli stati – al contrario dei singoli esseri umani – hanno tempi lunghi e sanno aspettare. Evidentemente era chiaro che all’indomani del disastro accaduto in Giappone i sardi non avrebbero mai accettato un diktat governativo sul nucleare e ora si prepara il terreno per tornare alla carica.  

Perché insomma, 14 aree su 67 papabili e le dichiarazioni del ministro sulle «aree militari messe a disposizione dalla Difesa» – come se quelle aree non fossero dei sardi – non fa presagire nulla di buono. 

E il momento è buono per farlo dal punto di vista dello stato: un governo che ha legittimità politica e che ha stravinto anche in Sardegna, un movimento indipendentista che tocca i minimi storici, drammaticamente diviso da anni di mancato radicamento e dalle scelte elettorali per le prossime regionali.  

Lo stesso Governo che – con il totale assenso della cosiddetta opposizione – lo scorso 12 luglio ha approvato all’unanimità il testo unificato dei cinque disegni di legge che istituiscono la “Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate”.  

Da una parte l’ideologia del “siamo tutti italiani e siamo tutti uniti che bello festeggiamo”, dall’altro la realtà nuda e cruda: la Sardegna che partecipa alla roulette russa con il 20,9% di possibilità di lasciarci le penne per sempre. 

Che bello essere tutti italiani, no? 

E noi? Vogliamo continuare a pensare di cavarcela individualmente o vogliamo iniziare a ragionare da collettività e futuro stato? Che vogliamo fare davanti a questa ennesima minaccia che riguarda la sopravvivenza stessa nostra e dei nostri figli, da qui alla fine dei tempi? 

Ci rilassiamo nel teporino dell’acqua che cuoce a fuoco lento o balziamo fuori e diamo battaglia? 


Immagine: Cagliaripad

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