Àrbores – Una storia dimenticata

Pubblichiamo l’articolo di Roberta Olianas, estratto dalla versione cartacea de S’Indipendente, stampato per l’occasione di Fàulas, il Festival che ribalta i luoghi comuni sulla Sardegna.

de Roberta Olianas

La percezione della Sardegna, da parte degli stessi sardi, è intrisa di stereotipi, visioni comunemente accettate che perpetuano l’incapacità di leggere in modo oggettivo una realtà diversa.

Quanti di noi pensano alla Sardegna come ad una terra difficile, sfortunata, povera di risorse, arida? E quanti pensano che l’economia dell’isola sia da sempre legata alla produzione ovina? Davvero è sempre stato così?

Àrbores, documentario del regista nuorese Francesco Bussalai, offre una risposta a queste semplici domande e mette lo spettatore dinanzi al ribaltamento di idee radicate. 

Il film racconta le vicende di uno spaccato dell’universo boschivo sardo, quello del Monte Ortobene, esempio di rinascita del patrimonio verde a seguito della selvaggia opera di disboscamento di cui tutta l’isola fu vittima nel corso dell’Ottocento e parte del Novecento, ad opera delle élites sabaude che la governavano.

Ispirato al volume “Colpi di scure e sensi di colpa”  dell’antropologo Fiorenzo Caterini, che ripercorre le fasi della rapina delle risorse boschive sarde, il documentario narra l’infausto abbattimento delle foreste, ridotte nel giro di pochi decenni ad un quinto del patrimonio silvestre originario. 

Prendendo le mosse dai protagonisti, gli alberi, il film si compone di una molteplicità di significati e indaga aspetti più profondi, quali la visione stereotipata della Sardegna e la memoria.

È un film dalla narrazione composita, che unisce fotografie d’epoca ad animazioni, immagini odierne dell’Ortobene e dei suoi abitanti alle commoventi testimonianze di alcuni protagonisti.

Il taglio sistematico delle aree boschive, senza aver cura di preservarne la rigenerazione a vantaggio delle comunità, non fu un mero sfruttamento di legname. 

Il bosco, utilizzato dalle comunità con equilibrio e rispetto, non solo offriva risorse, ma era legato a credenze parte di un sentire comune e di un patrimonio culturale antichissimo.

Sulla base di questa considerazione, l’abbattimento dei boschi, oltre a depauperare risorse necessarie alle attività quotidiane di ciascuna famiglia, sconvolse la relazione tra il territorio e le sue genti, insieme ad un altro grande cambiamento sancito dall’ Editto delle chiudende, che nel 1820 introdusse giuridicamente la proprietà privata a danno della consuetudine consolidata degli usi civici delle terre.

Con il disboscamento, la Sardegna subì uno stravolgimento, ampiamente documentato dalle descrizioni dei viaggiatori che visitarono l’ isola in quel tempo. 

Se i viaggiatori dell’ Ottocento descrissero il territorio sardo ricco di una vegetazione rigogliosa, quelli che vi misero piede nel Novecento riportarono nei resoconti di viaggio l’ immagine di una terra brulla, poi radicatasi nella visione collettiva e divenuta un luogo comune.

La Sardegna finirà per essere percepita come una terra da sempre povera, inospitale e improduttiva. 

Subito dopo, per interessi economici d’oltre Tirreno, diverrà “l’isola delle pecore” ed anche questa immagine finirà per diventare un’idea distorta, quella di una vocazione territoriale sempre esistita. Un altro luogo comune. 

È bastato il salto di un paio di generazioni a fare sì che il ricordo della Sardegna fertile precedente al disboscamento svanisse del tutto, sebbene vi fossero state anche testimonianze dirette di coloro che vissero la piaga delle accette coi loro occhi e la documentarono.

La rimozione di memoria, risoltasi in una frattura del prezioso legame tra le comunità e la terra, è il vero nodo del documentario. Il messaggio non è – solo – quello del legname perduto, del bosco raso al suolo, di un’economia stravolta a vantaggio di altre genti e di altri luoghi,  ma è quello della memoria come elemento di coesione e forma di tutela contro il diffondersi di luoghi comuni, talvolta provenienti da osservatori esterni, ma più spesso accettati o alimentati dallo sguardo interno. 

La Sardegna non è una terra brulla; le foreste hanno ripreso a crescere e prosperare, sebbene l’alto tasso boschivo odierno comprenda anche aree nelle quali la macchia è ricresciuta a causa dell’abbandono dell’ uso agricolo delle terre, segno di un’ epoca  piagata dallo spopolamento delle aree interne.

Il bosco vive e riprende lentamente il suo spazio, custode di una storia che è doveroso raccontare, affinché lo sguardo su chi siamo sia libero dal pregiudizio e sia attento osservatore di un presente che promette nuove e pericolose speculazioni. Affinché la memoria abbia sempre una voce.


Immagine: gliscomunicati.it

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