Come si costruisce il degrado: una risposta del Comitato di Uta su Macchiareddu

de Silvia Piras

E’ complesso e difficile rendersi conto di quanto striscia sotto i nostri nasi, nel totale silenzio ed indifferenza di tutti. Noi purtroppo ce ne accorgeremo solo a cose fatte. Perché la comunità nella maggior parte dei casi non è resa partecipe delle decisioni che riguardano il suo territorio, e quando le istituzioni lo fanno “la chiamata” non è mai chiara.

In questi casi si dovrebbe fare come una volta, suonare il campanile e radunare tutti come fosse una emergenza, perchè di altro non si tratta. Cosa è questo assalto se non “S’Unda” come a fine 800? E’ un vero e proprio disastro ambientale e culturale.

Dobbiamo ringraziare le sentinelle sul nostro territorio, che col loro lavoro e il loro vivere i territori hanno modo di accorgersi di movimenti sospetti. Ad oggi sono migliaia quelli riuniti in ben 15 comitati in tutto il territorio sardo.

 Da qualche tempo si è costituito il  Comitato per la difesa del territorio di Uta, un vastissimo territorio minacciato ,attualmente, dalla speculazione energetica, che si va ad aggiungere al già tanto discutibile utilizzo di prezioso territorio agricolo a fini industriali avvenuto dagli anni 60 ad oggi nell’area di Macchiareddu.

Ricordiamo infatti che gran parte del territorio a sud di  Uta rientra, con gran parte dei territori di Assemini e Capoterra, nell’area industriale di Macchiareddu: 82 km quadrati di cui 37 occupati da 137 imprese .

Ma Macchiareddu oggi rappresenta un importante polo strategico in continua espansione che dà spazio anche ai grandi colossi per la logistica come Amazon, Lidl, nonché fulcro strategico per il mercato via mare tramite porto canale.

 Insomma Macchiareddu offre la possibilità di erigere tetti solari, se non fosse che l’area per gran parte è occupata da impianti fotovoltaici a terra che limitano anche quelle possibilità, precludendo nel contempo anche lo sviluppo di nuovo future attività ed occupazione a favore di privati.

Su niu de su pilloni. Ph: Davide Meloni

Premesse

Macchiareddu è una delle aree industriali più vaste d’Italia, e sorge nella piana alluvionale formata dai fiumi Cixerri (che nasce dai monti dell’iglesiente), e del Rio Santa Lucia (dai monti di Capoterra).

Alla foce, questi fiumi,  hanno determinato  a formare lo Stagno di Santa Gilla insieme al Rio Flumini Mannu che nasce nelle lontane pendici del Gennargentu.

L’orogenesi delle montagne da cui discendono questi fiumi  è costituita da minerali come scisti, calcari, feldspati e argille che, depositandosi alla foce grazie all’attività pluviale hanno dato all’area una certa impermeabilità, dando modo alle acque del mare e dei fiumi che si incontravano, di  formare quei bacini lagunari riccamente popolati da specifica fauna e molto pescosi. 

In merito all’argillosità dell’area prospiciente la foce una testimonianza è data anche la presenza delle Saline Conti Vecchi che per esistere necessitano di un fondo argilloso impermeabile; inoltre Assemini e la sua antica tradizione ceramica, ha utilizzato quelle terre per approvvigionarsi della materia prima, l’argilla appunto.

Spostandosi più a nord della foce, il terreno acquista una caratteristica mista con ciottoli ben evidenti, segni dell’attività erosiva dell’acqua, caratterizzando quel terreno di medio impasto ma tendenzialmente argilloso, che lo rende il terreno adatto per la coltivazione del frumento.

E proprio il grano e il frumento, fin dai tempi remoti, fu la merce di scambio  principale (la grana) che alimentò tutti i mercati.
Dalla cartografia aerea dagli anni ‘40 fino a tempi recenti  è possibile osservare grandi aree perfettamente squadrate, latifondi agricoli, in cui di norma si coltivavano  monocolture di grano e frumento in generale, sia per uso umano che foraggi per l’allevamento.

Campo di grano a Macchiareddu. Ph: Davide Meloni

L’area di Macchiareddu, denominata Grogastu, ovvero giallastro, è un toponimo che infatti  descrive il colore dell’area, forse riferendosi proprio al colore della terra o del giallo del frumento, o delle erbe palustri di una vastissima area.
Questi dati danno la precisa idea del livello di fertilità di quei luoghi, le differenze e le ricchezze delle quali fin dai tempi antichi i nostri avi si sono nutriti.

Insomma una sorta di piccola “Mesopotamia”  che i moderni hanno avuto l’ardire di trasformare in area industriale invece che in piane coltivabili come ci hanno insegnato gli antichi, riservando le alture verso le montagne, più al sicuro da probabili allagamenti, alle abitazioni. Oggi infatti sul versante ovest sono presenti ancora le testimonianze di quelle antiche civiltà. Complessi prenuragici, terme ed altre evidenze…

Macchiareddu nell’immaginario collettivo

Fatta questa doverosa premessa è necessario capire come oggi viene letta l’intera area e la limitrofa e con quale sentimento la si osserva, ovvero: “un generale senso di abbandono e di desolazione.” (p. 75 Studio Impatto ambientale SIA – ricavato dalle osservazioni per i piani/programmi/progetti sottoposti a procedimenti di valutazione ambientale di competenza statale della  Dott.ssa Greca N.Meloni, antropologa).

E come non potrebbe esserlo, dopo che oramai il nome dell’area è associata all’ industria, e dopo che nessuno si occupa di rinverdire e rendere più a misura d’uomo le aree prospicienti gli edifici industriali determinando anche l’assenza di specie di uccelli che sugli alberi albergano e che sono notoriamente i seminatori dei campi, e non solo non ci sono alberi nell’area industriale ma quei pochi che ci sono, sono a rischio e, precisa la Dott.ssa Meloni: Bisogna tenere presente che questo (il generale senso di abbandono e di desolazione) è probabilmente connesso ai recenti tagli dei filari di cipressi e di eucalipti per fornire cippato per biomassa ad una azienda locale.

Ph: Silvia Piras

Come dire che anche quel poco continua ad essere oggetto di assalto senza nessun rispetto per nessuno degli ecosistemi che ancora tentano di sopravvivere nell’area.
Non solo, sono numerose le discariche abusive persino di avanzi di cemento di risulta dalla lavorazione dei nuovi progetti fotovoltaici in atto.

Ph: Davide Meloni

Ciò che succede abbraccia ampiamente i risultati enunciati dalla  “teoria dei vetri rotti”: ad esempio l’esistenza di una finestra rotta (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un idrante, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale. La teoria fu introdotta nel 1982 in un articolo di scienze sociali di James Q. Wilson e George L. Kelling.

A sostegno della teoria i nostri governi hanno previsto con un emendamento alla legge di conversione del Decreto Ucraina o Taglia Prezzi del famigerato Dlgs 199/2021 ad incrementare da 300 a 500 metri le aree agricole che si trovano intorno a stabilimenti industriali, cave e miniere, purché non interessate da vincoli ex Codice dei Beni culturali e del Paesaggio.

Per giustificarne l’uso industriale e l’attribuzione di poco valore le teorie sono tra le più disparate come ad esempio:
L’uso esclusivo del pascolo in alcune aree, in una situazione di fragilità pedologica e agronomica ha portato come logica conseguenza ad un ulteriore depauperamento del suolo agricolo in particolare della frazione legata alla sostanza organica, principale pilastro della fertilità dei terreni agrari (203 Amb. Relazione agronomica: Progetto definitivo per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra collegato alla RTN Comune di Uta (CA) – Loc. Macchiareddu.)

Eppure ho memoria che molti agricoltori chiedessero espressamente ai pastori di far percorrere i campi non solo per diserbare ma anche per concimare. 

Continua la relazione: Allo stato attuale l’area si presenta pertanto in uno stato di forte impoverimento della fertilità potenziale, con un riflesso diretto ed immediato sulla potenzialità produttiva. Inoltre l’azione del pascolamento monospecifico, protratto negli anni, ha portato ad un impoverimento floristico del cotico naturale per l’azione di selezione sulle essenze pabulari svolta in particolare dagli ovini.

Dalle testimonianze locali e più ampiamente osservando le mappe satellitari, le terre dell’area non appaiono sfruttate da greggi al pascolo, se non in piccole porzioni private in cui si evince la permanenza degli animali. 

Oltre al taglio dei filari dei cipressi e degli eucalipto per biomassa, le cause della desolazione sono da attribuire anche: all’aria poco salubre, frequentazione con mezzi pesanti ed impattanti, discariche abusive, brutali capitozzature degli eucaliptus per impedire il proiettarsi delle loro ombre sui pannelli fotovoltaici già installati: è questo quello che si può vedere di persona percorrendo quel sentiero di pellegrinaggio che da secoli gli utesi hanno percorso ogni anno per recarsi alla Chiesetta di santa Lucia di Monte Arcosu. E’ stato completamente rovinato quel paesaggio di raccolta meditativa che si crea quando si lasciano le case e ci si affaccia alla campagna, laddove ognuno di noi ritrova la sua dimensione col resto del creato. 

Resiste quasi per miracolo, uno spettacolare viale monumentale di Eucalipti come raramente si ha modo di vedere. Affacciarvisi è percorrerlo è come passare per un’altra dimensione, dalla desolazione alla vita.
Il viale è lungo circa 2 km, sono due filari attraverso i quali si può liberamente passeggiare, si può calcolare ad occhiometro che possano esserci circa 1000  esemplari.
Furono piantati da Ugo Minola, il proprietario di quelle terre intorno agli anni ‘20.

Ph: Silvia Piras

Alcuni si circondano unendo le braccia di 3 persone, ma per quello più maestoso ce ne vogliono 5. E’ stato recentemente dichiarato monumentale e protetto dal Comune di Uta.
 Su questi alberi alberga l’astore sardo “Nel Medioevo e Rinascimento, ai tempi d’oro della falconeria europea, l’ astore di Sardegna veniva esportato in gran numero assieme ai falchi pellegrini.
A riprova possiamo citare la “Carta de logu de Arborea”, che tra le altre regole, proibiva ai suoi sudditi di violare i nidi di falchi e astori . (Fonte rivistanatura.com)

Il viale e con esso quelli minori che delimitano tutti gli appezzamenti della medesima ditta, rappresentano l’unico polmone verde dell’area che contribuisce a compensare l’inquinamento creato dall’industria di Macchiareddu.
Dalla stessa teoria dei vetri rotti, prima citata, si potrebbe dedurre che se applicassimo azioni opposte,  investendo le risorse, umane, finanziarie, nella cura dell’ambiente esistente e nel rispetto della civile convivenza si otterrebbero, sempre per emulazione, risultati migliori rispetto all’uso di misure depauperanti.

Ma i nuovi sceicchi dell’energia green, avranno già adocchiato queste terre?

Saranno riusciti a far abbracciare anche a questi ultimi latifondisti la loro narrazione che vuole che quei terreni siano poveri e senza valore?
Una bella esca avvelenata per poter avere a cifre ridicole il bene più prezioso che l’uomo possa avere: la terra.
E’ ancora più drammatico se si pensa che per questi stessi motivi questi territori potrebbero essere al centro di interesse di quella cosiddetta “mappa delle  aree idonee” dalla quale dipenderebbe la loro definitiva rovina.

I luoghi della memoria

Ma non basta, ci si spinge ancora più lontano perché in quest’isola tutto è concesso.
In assenza totale di norme che regolino le misure degli impianti eolici e fotovoltaici privati nel nostro paesaggio, ci si spinge fino ai luoghi della memoria quasi a volerla cancellare appositamente.
Perché in fondo cosa ci tiene profondamente legati alle conoscenze del passato se non la memoria.

Come si potrà mai sapere che quello che oggi è considerato desolazione un giorno era una piana rigogliosa ed una fonte di nutrimento per le antiche civiltà nonché una porta d’accesso per i popoli del mediterraneo?
Chi protegge conserva, chi non protegge svende. 

Ed è questo lo scopo, innescare una narrazione di autosvalutazione come nelle migliori delle manipolazioni mediatiche. Perché il business non ha cuore né memoria.
Fintanto che ci saranno cittadini pronti a credere che questo business è progresso saremo sempre in pericolo.

In questa immagine, in rosso, alcuni progetti fotovoltaici in corso di approvazione. Sul lato in basso a destra la zona industriale. Da notare l’enorme distanza che separa le due aree che si teme che presto verrà colmata da altri impianti.
Inoltre lambisce le pendici dei colli verso Monte Arcosu notoriamente popolato anche da specie di animali protette come il cervo sardo che si spinge fino a quelle zone, ed insiste nelle vicinanze del complesso prenuragico di Su Niu de Su Pilloni e proprio nell’area dove oggi sono presenti esemplari di quercia secolare.
Stiamo perdendo non solo suolo, ma memoria, spazi vitali, qualità della vita.

In questo breve excursus anche storico ho voluto far notare come il degrado non resti circoscritto ad un’area, ma esso può espandersi all’infinito come una infezione, come un cancro, rendendo compromesse anche aree di notevole valore vitale.
Quanto sta accadendo è proprio una contaminazione infettiva, una metastasi  mortale di tutti gli aspetti di una civiltà. E siccome scientificamente  provvediamo ad asportare la zona malata, mi chiedo in quale modo si pensa che in futuro possa essere eliminata questa malattia?

Questo è il fatto che preoccupa non poco la popolazione cosciente. Ancora in tanti forse non hanno capito la gravità della situazione, e per questo il gruppo del Comitato di Uta, agguerrito in questa battaglia sta portando avanti iniziative per informare le persone del disastro che incombe nel loro futuro.

Per il 19 maggio il Comitato organizza una passeggiata accessibile a tutti per conoscere questi luoghi, viali, nuraghi, sentieri in pericolo. Ma anche quello che si son già portati via. Orario di partenza ore 9.00 da Uta. per informazioni 3488636694 e 3791402504.

Solo unendoci in difesa della nostra terra potremmo pretendere una progettualità a misura delle nostre necessità attuali e future, per una transizione giusta e non servile.


Immagini: Silvia Piras e Davide Meloni

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