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Inquinamento a Piscinas e narrazioni sulla Sardegna: un’occasione persa per una presa di coscienza collettiva?

de Federica Marrocu

È dello scorso fine settimana la notizia dello sversamento di residui inquinanti nel mare della spiaggia di Piscinas, in Costa Verde, divenuta virale a seguito della diffusione di materiale fotografico e video sui social media. Il colore del “fiume rosso” è causato dalle scorie di lavorazione provenienti dal pozzo minerario dismesso di Casargiu, nel Comune di Arbus.

Sabato 23 marzo le immagini del Rio Irvi, contaminato da metalli pesanti, hanno suscitato indignazione e sconcerto nell’opinione pubblica, anche per i toni e le modalità attraverso le quali la vicenda è stata trattata dai media, locali e italiani.
Può essere interessante inquadrare il discorso nella più ampia cornice delle narrazioni sulla Sardegna da parte della stampa e dei media in generale. In Italia di Sardegna si parla poco e, spesso, in modo non accurato; a livello locale non si è esenti da condizionamenti legati alla necessità di cavalcare l’onda del clamore mediatico, salvo poi dirottare l’attenzione su altro, senza perseguire il fine del fare informazione ed esercitare pressione sulle istituzioni.

Prima di analizzare le narrazioni sulla vicenda di Piscinas è importante sottolineare che il caso è scoppiato durante il fine settimana sui social media, dove i contenuti fotografici e video sono presto stati diffusi in modo capillare. Si tratta di elementi non secondari perché tra il venerdì e la domenica le redazioni dei giornali sono sguarnite: contenuti virali già pronti possono essere rilanciati senza che la cosa comporti un grande lavoro. In questo caso la combinazione di tali fattori con l’esigenza di coprire la notizia il più velocemente possibile, ha prodotto una certa imperizia nel riportare alcune informazioni, come ad esempio dove sia accaduto il fatto.
La Stampa, sul suo sito, ha pubblicato un articolo dal titolo “Sardegna, allarme disastro ambientale a Piscinas: fiume rosso con veleni si riversa nel Mare. Le scorie delle miniere abbandonate contaminano la Costa Verde”. All’interno dell’articolo se ne parla come del “litorale tra i più gettonati del Sulcis”.
Il Sulcis corrisponde alla parte sud-occidentale dei monti del Sulcis, alla piana sottostante e alla costa sud-occidentale, arcipelago del Sulcis compreso. Il Sulcis-Iglesiente comprende anche il territorio di Iglesias; se si parla di Arbus, è più corretto fare riferimento al Medio-Campidano-Iglesiente.
Per La Repubblica “le miniere di Arbus” sono “nel Sud della Sardegna”. Forse si intendeva dire che la provincia è quella del Sud Sardegna: il modo in cui è riportata l’informazione è fuorviante.

Sui toni e le parole scelte per raccontare l’accaduto si apre un capitolo della questione riguardante la tendenza della stampa italiana a usare parole iperboliche per descrivere gli eventi. Una delle conseguenze del ricorrere frequentemente a termini come “disastro”, “emergenza”, “allarme” è che perdono il loro significato: se tutto è un’emergenza, un disastro, quando qualcosa di grave accade veramente, chi li legge quasi tutti i giorni sui giornali, non ne ha la percezione.
L’emergenza legata alla contaminazione del Rio Irvi non è contingente: già nel 1998 era stata disposta la bonifica dello scarico e del corso d’acqua.
Colpisce leggere negli articoli che “è il tempo di agire”: la notizia è che ci sia un allarme in corso o che ci sia un problema di contaminazione delle acque dagli anni Novanta del secolo scorso mai risolto?
Uno degli aspetti più problematici della narrazione sulla vicenda è che ad amplificarne la gravità sia la tempistica, dato che ci troviamo a ridosso della stagione turistica. L’Unione Sarda riporta un virgolettato del sindaco di Arbus, Paolo Salis in questo passaggio: “Il sindaco di Arbus è preoccupato e sulle pagine de L’Unione Sarda, definisce «vergognoso» far girare quel video sui social, facendo una «pubblicità negativa che scoraggia i turisti»”.

Anche ammettendo che si tratti di una dichiarazione estrapolata da un contesto più ampio, deve far riflettere comunque sul fatto che la principale preoccupazione sia la minaccia alla reputazione della spiaggia di Piscinas come destinazione turistica e non il rischio per la salute pubblica e per il patrimonio naturalistico.
Come se la Sardegna fosse un disabitato parco giochi per vacanzieri e non un luogo popolato da persone con dei diritti.

La narrazione attorno a quanto accaduto a Piscinas è stata problematica anche nel momento in cui si è cercato di gestire la situazione: sempre su L’Unione Sarda, il sindaco di Arbus, Salis, riferisce che la maggior parte del volume d’acqua arriva dalla vicina diga Donegani, probabilmente con l’intento di tranquillizzare (chi? La popolazione o i turisti?) rispetto al fatto che non si sta assistendo ad un peggioramento della situazione.
La Nuova Sardegna il 23 marzo titolava: «Il mare di Piscinas non è inquinato»: primo sopralluogo della Capitaneria nella spiaggia di Arbus. L’accertamento è stato di tipo “visivo”. Lunedì 25 marzo Arpas e Guardia costiera preleveranno campioni di acqua per le analisi.
Il 25 marzo Ansa informa che l’allarme sta rientrando.

Non è surreale che non si stia puntando l’attenzione sull’inerzia nel risolvere la questione della contaminazione del Rio Irvi dagli anni Novanta del secolo scorso? Che non si chieda unanimemente conto della mancata individuazione delle responsabilità?
Sembra mancare il riconoscimento collettivo del fatto che questa vicenda è la manifestazione di un problema sistemico. In Sardegna sono stati creati, nel tempo, impianti e strutture industriali ad altissimo impatto, ritenendo accettabile il rischio di compromettere l’ambiente e la salute delle persone. Ciò senza predisporre delle stringenti regole di tutela e senza stabilire a priori delle forme di risarcimento per le conseguenze che ricadono sui territori e sulle comunità.
In questa situazione si persevera a veicolare una narrativa attorno all’idea -basata per lo più su stereotipi e luoghi comuni- della Sardegna come un paradiso: una narrativa talmente diffusa e ben elaborata che supera la realtà stessa, dove la verità è che si impara a tollerare, come fosse una specie di eredità storica e culturale, anche l’inaccettabile.


Link all’articolo de La Stampa
Articolo Unione Sarda con dichiarazioni del sindaco
Articolo La Repubblica (Montevecchio, sud della Sardegna) ​​
Articolo La Nuova
Ansa
Fonte dell’ordinanza del 1998

Immagine: Cagliaripad

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