Tabula arsa, tabula rasa

Ripensare l’economia, cambiare prospettive di sviluppo, proteggere le coste dalla cementificazione e ridare ossigeno alle tradizioni: sembrerebbero ricette semplici ma in realtà avrebbero bisogno di una classe politica e dirigente capace di una nuova visione, libera dalle briglie di legami imbarazzanti con i soliti poteri. Come scrive Oliva “abbiamo bisogno di operare scelte di governo del territorio coraggiose che sappiano invertire la tendenza negativa di abbandono delle aree interne. Una di queste potrebbe essere proprio bloccare definitivamente la cementificazione delle coste e ogni incentivo alla sottocultura della “valorizzazione” delle località turistiche balneari; ovvero contrastare una economia di rapina, drogata dai facili affari e guadagni che si realizzano con la svendita o privatizzazione dei nostri beni collettivi.”


De Giovanni Oliva

Ricordo che negli anni della mia formazione universitaria (anni ’70 del secolo scorso) mi imbattei in una mappa della FAO che indicava quali fossero le zone del nostro pianeta interessate dagli effetti dei cambiamenti climatici che avevano conseguenze anche sull’aridità dei suoli e facevano prevedere inarrestabili processi di desertificazione. 
Scoprii, con mia grande sorpresa, che la Sardegna era indicata fra le regioni mediterranee considerate aride o semiaride a rischio di desertificazione. Ricordo che la cosa mi colpì molto.


Delle particolari condizioni geo-climatiche della nostra isola dovetti interessarmi anche quando partecipai allo studio di alcune aree SIC, fra cui quella del “Campo di Ozieri e pianure comprese tra Tula e Oschiri” individuata dentro la Rete Natura 2000 dall’Unione Europea come sito di importanza comunitaria per il suo caratteristico habitat semisteppico dei pascoli secchi (non irrigui) anche nella forma a “dehesas” (ossia sotto un bosco rado di querce).


Appresi che il paesaggio semisteppico era stato determinato dalla pressione esercitata sulla originaria copertura vegetale a bosco mediterraneo dal pascolamento nelle forme tradizionali. Ci erano voluti secoli e secoli di attività pastorale per dar forma a quel paesaggio. Mi colpì allora il fatto che l’Unione Europea non chiedeva di vietare o ridurre il pascolamento, perché era evidente che quel paesaggio, così particolare, habitat di specie botaniche e faunistiche rare e pertanto tutelate, era stato così formato proprio dall’attività dell’uomo. L’UE chiedeva solo di mantenerlo, suggerendo di confermare alcune buone pratiche tradizionali onde preservare le caratteristiche botaniche e faunistiche che rappresentavano la preziosa risorsa di Biodiversità presente nel sito.


Chi afferma oggi che i SIC e le ZPS sono all’origine della tragedia degli incendi in Sardegna, come ho sentito, perché lì ci sarebbero dei divieti di pascolamento, forse generalizza e non sa bene quel che dice.


Le direttive europee per aree SIC e ZPS non impediscono che sulle aree protette si continuino ad esercitare le attività tradizionali (agricoltura, allevamento brado, caccia, pesca ecc.) anzi, chiedono proprio che queste siano mantenute e regolamentate secondo delle “buone pratiche” confermate; semmai dà indicazioni per evitare che non si introducano nuove attività incongrue che potrebbero alterare le condizioni e gli equilibri utili alla conservazione degli habitat. 


Ma allora che cosa fa sì che la Sardegna sia così particolarmente esposta al rischio incendi? Altri più esperti di me potranno dirlo con maggior competenza e precisione. Ma azzardo anch’io alcune ipotesi. 
Un dato dovrebbe farci riflettere: la popolazione della nostra isola non cresce, anzi, le aree interne si spopolano… l’insediamento umano si concentra sempre più nelle aree urbane soprattutto costiere. Questo è un fatto. Il fenomeno allarmante è ben conosciuto.


Poi c’è da considerare un altro dato, questo forse meno noto, ossia chesiamo la regione italiana con la maggior estensione boschiva e di aree ricoperte da vegetazione spontanea pro capite (e questo dato va a combinarsi con le particolari condizioni climatiche di cui si diceva sopra e con lo spopolamento delle aree interne ovvero proprio dei territori più ricchi di copertura vegetale).


Nelle quattro regioni italiane (Sardegna, Sicilia, Puglia e Basilicata) classificate aride o semiaride e ricadenti nei territori a maggior rischio relativo di desertificazione, su un totale di 325.596 ettari di superfici forestali di boschi di querce e latifoglie sempreverdi, la Sardegna, da sola, ne assomma ben 258.152 ettari mentre la Sicilia ne dispone di soli 30.076 ettari (Fonte: Risorse_Forestali  (mite.gov.it) ) 
Se poi si vuole calcolare l’incidenza per abitante (in Sardegna siamo poco sopra il milione e 600.000 abitanti mentre la Sicilia ha superato i 5 milioni di abitanti) beh, allora ci si può rendere conto della enorme differenza della situazione fra queste due isole.


Ciò in effetti significa, a ben considerare, enormi estensioni di bosco, macchia mediterranea e pascolo naturale, ormai non più capillarmente controllate, in una regione caratterizzata da un clima collocabile nella fascia “arida o semiarida” e in zone purtroppo in via di “desertificazione”, oggi per la fuga degli abitanti! Ecco la ricetta ideale per la minaccia e il disastro che si materializza oggi anno e si è ripetuto anche in questi giorni in forme e dimensioni tragiche! E’ evidente che non basteranno i pur indispensabili urgenti rinforzi dei servizi forestali di controllo e di intervento.


Forse per correre ai possibili ripari, abbiamo bisogno di operare scelte di governo del territorio coraggiose che sappiano invertire la tendenza negativa di abbandono delle aree interne. Una di queste potrebbe essere proprio bloccare definitivamente la cementificazione delle coste e ogni incentivo alla sottocultura della “valorizzazione” delle località turistiche balneari; ovvero contrastare una economia di rapina, drogata dai facili affari e guadagni che si realizzano con la svendita o privatizzazione dei nostri beni collettivi, un’economia che non “produce” ricchezza ma che l’”estrae” dalle bellezze della nostra isola, consumandole, corrodendole, corrompendole e lasciandoci alla fine tutti più poveri. 
In pianto per le illusioni svanite, anch’esse andate in fumo.

Foto de presentada: Associazione Turistica e Culturale S’Archittu

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