Tra guerra armata e guerra energetica. Fermare la quarta colonizzazione della Sardegna è necessario

De Cristiano Sabino

La notizia è di quelle che squarciano una grigia mattinata di un aprile iniziato con il maltempo. La sentenza del Consiglio di Stato dello scorso 4 aprile del 2022 sembra rimescolare un mazzo di carte di un gioco che ha tutta l’aria di essere truccato. La Sardegna viaggia infatti spedita verso un nuovo e brutale processo di colonizzazione, il quarto precisamente.

Se consideriamo solo gli ultimi 70 anni, la prima colonizzazione è stata quella linguistico-culturale, con la sostituzione forzata della lingua italiana con quella sarda, che nel secondo dopoguerra ha assunto dimensioni da etnocidio. La seconda quella dell’industria chimica che ha compromesso irrimediabilmente vastissime porzioni di territorio sardo, destabilizzando profondamente comunità e relative economie. La terza è relativa all’occupazione militare dell’isola da parte dell’Esercito italiano, con circa il 70% delle servitù militari della Repubblica piazzate strategicamente in territori scarsamente popolati e politicamente deboli per potersi opporre. La quarta è quella energetica che sta arrivando proprio nel nostro presente ed è voluta da Enel, Eni, Terna, Snam, cioè i grossi poteri industriali legati allo Stato italiano che hanno già deciso il nostro futuro energetico, e si stanno spartendo il bottino del PNRR e delle altre agevolazioni che il governo italiano garantirà all’industria sotto la copertura della “transizione energetica”.

Gli esecutori di questa nuova epoca di sfruttamento e impoverimento della Sardegna sono i governi Conte e Draghi e lo strumento tecnico è il decreto, con il quale quest’ultimo ha approvato un’enorme distesa di gigantesche pale eoliche bypassando procedure ordinarie e valutazioni di impatto ambientale. Fra i campi autorizzati quello gigantesco nei pressi della famosa Basilica di Saccargia e della Valle dei Nuraghi, nel territorio tra Nulvi e Ploaghe, sventrando un territorio preziosissimo dal punto di vista ambientale, agricolo e storico-archeologico. La coppia Draghi-Cingolani aveva fatto spallucce anche davanti all’opposizione di Regione Autonoma, Soprintendenza, Ministero dei Beni Culturali e Tar Sardegna, in nome della nuova – anche se altamente contraddittoria – santa alleanza tra “riconversione energetica” e guerra al gas russo. Il Governo aveva deciso, attraverso il decreto del Presidente del Consiglio, ovviamente senza dibattito parlamentare, di destinare la Sardegna a piattaforma energetica per le regioni ricche del settentrione d’Italia. 

Ma a ciel sereno è arrivata la sentenza del Consiglio di Stato dello scorso 4 aprile che ha messo un primo stop a questo scellerato progetto governativo. Non dobbiamo illuderci. Senza una grande mobilitazione popolare, questa sentenza sarà facilmente ribaltata, come del resto è già recentemente accaduto. Il Governo ha infatti sbloccato sei parchi eolici in nome dell’ «interesse superiore per quello che riguarda l’approvvigionamento energetico nazionale». Fra questi uno nello stesso territorio di Nulvi-Ploaghe. In un intervista alla Nuova Sardegna Costantino Deperu, ingegnere a capo dei progetti di Erg, società della famiglia Garrone, spiega senza mezze parole come il Governo possa scavalcare le tutele ambientali e i normali meccanismi di valutazione: 

«Perchè nel frattempo è cambiata la normativa. Con le ultime leggi sulle semplificazioni dei processi amministrativi, sia a livello nazionale che comunitario, e persino regionale, l’ammodernamento e il potenziamento degli impianti esistenti beneficiano di una corsia autorizzativa per così dire preferenziale. La stessa Regione, con una sua delibera del 27 novembre di due anni fa, ha fatto esplicito riferimento agli impianti da rinnovare e/o potenziare, “da favorire in coerenza con il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima”. La Regione ha scritto di essere favorevole a questo tipo di interventi. Insomma, per assurdo se avessimo presentato adesso quel progetto, senza cambiare neppure una virgola rispetto ad allora, sarebbe stato approvato in tempi molto più rapidi».

La sentenza è importante anche da un punto di vista politico, perché per la prima volta stabilisce in maniera chiara che la Regione Autonoma non è una morta appendice del centro politico, ma gode di sovranità reali. Insomma, da una parte c’è un potere dell’istituzione Regione Autonoma che, in teoria e se accompagnata da una reale volontà politica, esprime una certa sovranità in materia energetica e ambientale. Dall’altra la tendenza del Governo di svuotare questa sovranità in nome del solito “interesse nazionale” affiancato stavolta dalla logica dell’emergenza bellica. Ecco uno stralcio della sentenza del Consiglio di Stato che mette in evidenze le competenze in materia energetica: 

«La Regione autonoma della Sardegna, in base al proprio Statuto, ha competenza legislativa primaria nel disciplinare gli aspetti paesistico-ambientali del proprio territorio, in ciò differenziandosi dalle Regioni cui tale competenza non è attribuita, ben potendo quindi la suddetta Regione individuare, con maggiore autonomia rispetto alle Regioni ordinarie, le aree non idonee all’insediamento di impianti eolici considerato che la puntuale applicazione delle linee guida statali, nei confronti della Regione autonoma della Sardegna, incontra il limite di competenza inerente ai profili di tutela del paesaggio». 

Lo Statuto Autonomo, per quanto inadeguato, vecchio, nato morto e per nulla atto a garantire il diritto all’autodeterminazione dei sardi e delle sarde, possiede dunque qualche elemento per rendere complicati la vita ad affaristi e speculatori. E questa non può che essere una notizia di cui tenere conto in futuro. A maggior ragione se teniamo presente che questa sentenza arriva in un momento internazionale come quello che stiamo attraversando, che ha e avrà pesantissime ripercussioni sulle vite di tutti gli europei e in particolare dei territori subalterni come la nostra isola, i quali saranno certamente sacrificati sull’altare delle nuove politiche energetiche pianificate in funzione anti russa.

La guerra in Ucraina è arrivata infatti come un colpo d’ascia fra capo e collo a spaccare l’opinione pubblica sarda, come è del resto accaduto in tutta Europa. La maggioranza dei partiti e degli intellettuali non ha dubbi su uno schieramento acritico pro Ucraina (con annessi e connessi, alcuni dei quali assai inquietanti). Altre forze politiche e culturali ci vanno più caute e trovano più di una difficoltà ad identificarsi con lo schieramento che postula una superiorità morale del redivivo “mondo libero”, anche a causa del fatto che la guerra non è certo iniziata lo scorso febbraio e chi seguiva le dinamiche internazionali sa che la UE e la NATO hanno più di una responsabilità in tutta questa tragedia.

Ma la Sardegna che c’entra con la guerra in Ucraina e con il gas russo? Posizionata a migliaia di chilometri di distanza dal confine ucraino, gli effetti politici ed economici di questa guerra appaiono più concreti di quanto si possa pensare. In primo luogo a causa di quella che gli stessi militari dell’Esercito italiano chiamano “vocazione militare” dell’isola (che a ben vedere vocazione non è, trattandosi di una vera e propria destinazione d’uso bellica imposta dall’alto). In secondo luogo perché quel poco di dibattito politico e intellettuale che si svolge a casa nostra, è del tutto condizionato dalle dinamiche dei salotti televisivi italiani, ricalcandone quasi del tutto argomentazioni, cattive maniere e stili sempre più inquadrati in una logica biecamente militarista e del tutto tributaria verso le ragioni statunitensi. In terzo luogo – e si tratta del focus tematico che ci interessa qui – sul versante dell’energia che è una delle questioni fondamentali su cui si giocano tutte le guerre contemporanee ed in particolare questa guerra. 

Mettiamo subito le cose in chiaro. La Sardegna era, resta e rimarrà una colonia energetica nei piani del Governo italiano, di qualsiasi Governo italiano. Ci sono strategie e obiettivi che non cambiano con il cambiare degli scenari politici, come noto esiste un deep state che informa di sé qualunque maggioranza si costituisca in Parlamento e il ruolo subalterno della Sardegna fa parte del pacchetto. Da tempo ci sono voci che mettono in guardia la nuova, radicale colonizzazione dell’isola da parte dello Stato italiano e delle sue multinazionali energetiche. Purtroppo però questo tema non è riuscito a diventare “il” tema su cui concentrare il dibattito nell’isola. Non lo è per i partiti che si rifanno esplicitamente al centralismo italiano (dal PD a Fratelli d’Italia), non lo è per quel surrogato di sardismo clientelare che ci ritroviamo e non lo è – spesso e volentieri – nemmeno per l’indipendentismo che guarda alla finestra (e sovente con sospetto) il lavoro di comitati e associazioni perché non ha la forza di far valere una chiara lettura anticoloniale della questione. 

Andiamo al punto. In apertura ho citato il Dpcm approvato dal Governo Draghi che – secondo quanto denunciato da ADES (acronimo di “Assemblea per la democrazia energetica sarda”) – «fa dell’Isola una piattaforma conto terzi per l’esportazione di energia elettrica e metano, creando problemi all’ambiente e senza reali vantaggi economici». Cosa dice questo Dpcm in soldoni? Che bisogna riempiere la Sardegna di campi eolici e fotovoltaici, molto più di quando l’isola ne abbia bisogno, che questi non sono affatto sostitutivi a carbone e fossili – anche in virtù del fatto che, con la guerra, le fabbriche che avrebbero dovuto chiudere, verranno mantenute in vita e anzi si pensa di riaprire quelle giù chiuse in passato – e che tutta questa montagna di energia (green, meno green e per nulla green) prodotta in Sardegna verrà pompata verso il continente italiano ed europeo attraverso un terzo cavo rispetto ai due già attivi, ovvero il Tyrrhenian Link

Ecco perché da mesi i social e i giornali sardi sono inondati da richieste di società che, a dispetto del nome, sono tutte estranee alla Sardegna e tutte alla ricerca di facili concessioni per incamerare commesse governative e soprattutto per mettere le mani sui fondi del Pnrr. Insomma, una bella nuova ondata di speculatori che sentono il profumo dei soldi e che hanno tutto l’interesse di utilizzare lo scenario della nuova guerra fredda tra occidente e oriente per fare una valanga di affari, ovviamente sulla pelle dell’ambiente, delle comunità e dei territori più fragili e subalterni, fra cui spicca la Sardegna. Come? È abbastanza ovvio: usando gratuitamente il nostro vento, il nostro sole e i nostri terreni svalutati dalla crisi agricola e resi prontamente disponibili al saccheggio.

L’Ades contesta il Dpcm a cominciare dall’estensione della rete di trasmissione elettrica nazionale attraverso il cavo Sardegna-Sicilia (appunto il Tyrrhenian Link) e disegna un quadro inquietante della destinazione d’uso della nostra isola ad esclusivo profitto di terzi: 

«Un nuovo elettrodotto (il Tyrrhenian link) con cui aumentare le esportazioni di energia elettrica dalla Sardegna verso il Continente, due navi deposito-rigassificatore e tre tratti di metanodotto per riavviare l’impattante filiera dell’alluminio nel Sulcis e “permettere” ai sardi di utilizzare il metano, fuori tempo massimo. Mentre nella penisola si utilizzerà l’energia elettrica prodotta in Sardegna, ai sardi viene chiesto di bruciare metano, fossile inquinante e antieconomico. Si può riassumere così il Dpcm approvato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, emblema di una politica ingiusta e calata dall’alto. Che punta sul metano proprio quando è sempre più chiaro che il metano è la gamba zoppa della transizione».  

Anche il movimento anticoloniale Sardinnia Aresti ha una lettura simile ed è impegnato in una campagna di denuncia. Si legge sui social del movimento: 

«Sappiamo bene che la costruzione del Tyrrhenian Link sarà un’occasione in più per progettare altre mega centrali (che siano green o tradizionali), che si potranno impiantare dove più conviene ai ricchi imprenditori e meno a chi vive l’isola quotidianamente». 

Possiamo cercare tutte le parole che vogliamo sul vocabolario e frugare anche nel dizionario dei sinonimi e dei contrari, ma quello delineato chiaramente dal Dpcm Draghi è, in buona sostanza, puro e semplice colonialismo. Si individua un territorio, si decide dall’alto una monocultura improduttiva utile solo a chi la stabilisce, si procede con atti di imperio sfruttando la povertà e l’impotenza dei subalterni a cui nel frattempo si è somministrata la convinzione che “non si può sempre dire di no” e poi si agisce spediti a spremere quanto c’è da spremere, in questo caso fino all’ultimo fazzoletto di terra, l’ultimo crinale, l’ultimo specchio d’acqua disponibile della nostra terra. 

Ai sardi non viene in tasca nulla e gli speculatori e i territori già ricchi e produttivi si arricchiscono a dismisura! Anche il  Gruppo di Intervento Giuridico denuncia i medesimi meccanismi. Per esempio la Ichnusa Wind Power s.r.l., società energetica milanese «ha presentato un progetto per la realizzazione di una centrale eolica offshore, con 42 ‘torri eoliche’ alte 265 metri, su una superficie marina di 49 mila metri quadri, a circa 35 chilometri dalla costa dell’Isola di San Pietro. La potenza prevista è di 12 MW ciascuna per complessivi 504 MW». Il Grig si chiede a chi diamine serva «un così rilevante quantitativo di energia» e noi con loro. 

Al di là dei casi specifici i numeri fanno veramente impressione. L’Unione Sarda dello scorso 13 marzo ha dedicato uno speciale chiamato SOS Sardegna, aprendo la prima pagina con una mappa del saccheggio. I già esistenti 1100 ettari di pannelli fotovoltaici per gli 872 Mw prodotta saranno affiancati dagli ulteriori 2640 ha (per 2200 Mw) pianificati dal Governo. Sul versante degli impianti eolici va pure peggio. Quelli esistenti contano circa 350 pale che producono 1054 Mw, ma il Dpcm sblocca circa 900 ulteriori pale per un totale di 2600 Mw. Se consideriamo il territorio colonizzato la man bassa appare in tutta la sua enormità: lo spazio degli impianti fotovoltaici in arrivo dalla Draghi&Cingolani band sono 4659 ha, lo spazio per gli impianti eolici ammonta al doppio: 8258 ha. Numeri che fanno tremare i polsi, soprattutto se si pensa che si vogliono “semplificare” le procedure e i permessi, fino a bypassare in pratica le tutele ambientali previste in nome dell’emergenza.

Inoltre dobbiamo considerare che questa energia non serve ai sardi. Secondo i dati del piano energetico ambientale regionale, in Sardegna, ad oggi, il 46% dell’energia prodotta viene esportata. Visto che i nuovi progetti – per ammissione del duo Draghi-Cingolani – non andranno a sostituire l’energia prodotta da fonti fossili, cade anche l’argomento “green” e da “riconversione energetica” utilizzato per giustificare il saccheggio.  

E qui entra in gioco la guerra del gas tra blocco ad egemonia USA e Russia e la terrificante prospettiva che l’UE vada a sostituire le forniture russe con le navi gasiere statunitensi. La Sardegna è candidata a diventare un hub strategico di questa nuova, costosissima, inquinante e pericolosa strategia di guerra energetica. Il banchiere Draghi (attualmente capo del governissimo con tutti dentro) lo ha ribadito chiaramente, più volte. La Repubblica – così come tutti gli altri Stati Ue – deve tagliare i “ponti” con la Russia, o comunque non dipendere più dal gas della Federazione russa, e questo a prescindere dagli esiti della guerra in Ucraina. Ecco perché lo scorso 25 marzo è stato dato fondo ad un accordo tra l’Ue e gli Usa: i nordamericani rifileranno il GNL (gas naturale liquefatto), estratto tramite la traumatica e inquinante tecnica della fratturazione idraulica nota come fracking, alla faccia della riconversione energetica, all’Ue attraverso un flusso costante (altrettanto inquinante) di enormi navi gasiere. I numeri sono da capogiro: 15 miliardi di metri cubi subito, per arrivare a 50 miliardi all’anno fino al 2030. Ovviamente il tutto a prezzi enormemente più alti di quelli del gas russo erogato attraverso il Nord stream. E tutto questo per superare una dipendenza energetica da una potenza militarista come la Russia per stringerne una assai più inquinante, pericolosa e costosissima con una superpotenza che applica la dottrina Clinton ai quattro angoli del mondo, cioè l’idea che l’azione militare preventiva (ma anche la destabilizzazione, il finanziamento di gruppi terroristi) è giustificata per far valere gli interessi degli Stati Uniti sopra quelli di ogni altra ragione.  

E la Sardegna cosa c’entra con tutto questo? Lo scorso 18 febbraio, L’Ansa batteva una notizia che non ha fatto molto scalpore, ma che è tra quelle da archiviare per capire la destinazione d’uso passiva e subalterna della nostra isola nei piani del Governo centrale e sempre più centralista italiano. Attenzione alla data, stiamo parlando di dieci giorni prima dell’attacco russo all’Ucraina, a dimostrazione del fatto che queste strategie sono indipendenti dai fatti di cronaca. Ecco la notizia battuta dall’Ansa: 

«Sono due i progetti principali del programma di transizione energetica per la Sardegna e riguardano la realizzazione del Cavo Hvdc Sardegna – Sicilia, parte del Tyrrhenian Link, da 500+500 MW per il collegamento tra le due isole maggiori e un collegamento virtuale per l’apporto di Gnl, attraverso il trasporto di gas naturale via mare».  

Capito? Draghi e Cingolani, ben prima che il mondo volgesse lo sguardo al GNL americano portato per nave per liberarci dalla tirannia dell’Orso russo, hanno pensato di fare della Sardegna un hub strategico per accogliere il GNL statunitense. Scrive ancora la nota agenzia di informazione:  

«Il terminale di rigassificazione di Panigaglia (in Liguria) e al largo della Toscana (Olt), consentiranno il caricamento del Gnl su bettoline, mentre le “navi spola” gasiere – il sistema viene chiamato Floating Storage and Regasification Units (Fsru) – attraccheranno nel porto di Portovesme per il Sud dell’Isola e a servizio della città metropolitana di Cagliari” e a Porto Torres per il nord e l’area metropolitana di Sassari. In programma anche la realizzazione di un impianto di rigassificazione nell’area portuale di Oristano. Da questi tre punti si dipaneranno le reti che serviranno tutta l’Isola. Sarà poi l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, a definire il quadro regolatorio per consentire, per almeno cinque anni, le tariffe di distribuzione “in linea con quelle di ambiti tariffari con costi assimilabili». 

Insomma, invece del gas pulito e a basso costo che la Sardegna aspetta dagli anni Ottanta, arriverà quello inquinante (per le condizioni di estrazione), pericoloso (per le condizioni di trasporto) e costosissimo dagli Stati Uniti (perché il transito di navi gasiere per l’Atlantico è più costoso dell’erogazione del gas lungo un gasdotto). Giorgio Alimonda, sindaco di Portoscuso, non è certo un pericoloso indipendentista, ma aveva  bollato il provvedimento governativo in questi termini:  

«Si persegue con un disegno anacronistico di un dpcm Sardegna che obbliga i sardi a diventare energeticamente dipendenti dalla Sicilia e Toscana. Un fatto grave che costerà ai sardi migliaia di posti di lavoro in conseguenza della chiusura delle centrali a carbone e attività connesse, in minima parte sostituite con il gas che notoriamente occupa percentualmente pochissime persone. Tale transizione non è neanche ecologica per il fatto che le emissioni di CO2 saranno pressoché equivalenti alla situazione attuale, se si considerano anche i trasporti su strada che sicuramente saranno incrementati. Per Portoscuso è una soluzione inaccettabile per gli ulteriori impatti ambientali negativi che si determinerebbero ma in particolare per la sicurezza e fruibilità del porto e dei cittadini residenti nell’attiguo centro abitato”. “Ancora una volta – osserva ancora il sindaco – Portoscuso dovrebbe essere sacrificata per tutelare gli interessi delle multinazionali che già in passato hanno devastato il nostro territorio, spesso violando le leggi che dovrebbero tutelare tutti i cittadini italiani compresi i cittadini di Portoscuso. Ci si augura – conclude Alimonda – che il presidente Draghi modifichi questo dpcm che condanna i sardi a pagare molto salati i costi del gas e dell’energia elettrica, anziché cogliere l’occasione per una reale transizione ecologica che pianifichi soluzioni strutturali sicure e affidabili piuttosto che soluzioni precarie, pericolose e dannose per l’economia del nostro territorio». 

Questa dichiarazione risale al 18 febbraio. Nella prima mattinata del 24 febbraio le truppe russe hanno invaso l’Ucraina. Se il sindaco di Portoscuso replicasse oggi queste dichiarazioni finirebbe su tutti i giornali come pericoloso filupitiniano ostile alla pace, alla democrazia, alla liberaldemocrazia che – tradotto in termini concreti per la Sardegna – vuol dire accettare tutte le strategie energetiche coloniali, dalle pale eoliche e dai campi fotovoltaici fino ai tre hub per il GNL nordamericano, senza fiatare, come in passato abbiamo accettato industrie inquinanti e poligoni militari. Organizzare la resistenza a questa quarta ondata coloniale è l’unica cosa che ci resta da fare.  

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3 commenti

  1. La credibilità e autorevolezza di questo articolo e’ seriamente compromessa dal fatto che l’autore eviti accuratamente di condannare l’aggressione russa e faccia di tutto per contestualizzare e minimizzare le responsabilità di un aggressivo regime imperialista come quello creato da Putin.
    Il fatto che questa associazione dia credito a questo autore e un articolo lungo, confuso e intellettualmente disonesto, mina la credibilità di tutta l’associazione che lo pubblica in questa forma e senza contraddittorio.

  2. Di un articolo così lungo ed argomentato Lei ha deliberatamente scelto di concentrarsi su un elemento di contesto che non era sicuramente l’oggetto dell’articolo, ignorando invece il soggetto (LO SFRUTTAMENTO DELLA SARDEGNA CONTO TERZI) che dovrebbe interessare e preoccupare, visto la portata e le conseguenze delle dinamiche dettate da “interessi nazionali italiani”, le quali conseguenze nefaste ben conosciamo (immagino anche Lei).

    Lei sta anzi spostando l’attenzione sulla Sua specifica visione delle responsabilità della guerra citata, imponendola e mal giudicando il fatto che l’autore non abbia espresso la Sua stessa opinione. (la guerra è sbagliata a prescindere, la pagano i morti, la pagano i militari sul campo, la paga chi si trova a pagare di più, giustificatamente o meno, il pane e varie materie prime. Poi chi ha bisogno di cercare colpevoli si informi e legga in maniera indipendente e tragga le proprie conclusioni).

    A me spaventa, tanto quanto la guerra di per sé e indipendentemente da chi la causa, il perpetuarsi di dinamiche colonialiste alla luce del sole, in continuità con ciò che ha rovinato il presente dei figli dei miei genitori (ossia il mio presente) e che allo stesso modo rovinerà il futuro (il presente dei figli che avrò).

    A Lei importa di più il nome da incolpare della guerra o il divenire Suo e altrui?

    Cordialmente

    Andrea P.

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