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4 novembre: eroi per la guerra degli altri

Ogni anno, il 4 novembre, lo Stato italiano celebra la “Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate”. Le piazze si riempiono di bandiere, di inni, di cerimonie in cui si parla di “patria”, di “onore” e ovviamente di “eroi”. Ma per la Sardegna, questa data non è una festa. È una ferita che ancora pulsa.

Ci dicono che fu nelle trincee della Grande guerra che i sardi “dimostrarono il loro valore”, che il sangue dei nostri giovani servì a conquistare rispetto e cittadinanza nazionale. Perfino una parte del sardismo ha abbracciato questa triste retorica, basta pensare alle dichiarazioni di Christian Solinas che da presidente della Regione Sardegna non perdeva occasione per esternazioni di tal fatta e scordandosi che Camillo Bellieni aveva chiesto lo scioglimento della Brigata Sassari. 

Ma davvero la nostra identità deve nascere dal sacrificio imposto in una guerra che non era la nostra e dove i sardi sono stati solo carne da cannone?

Secondo i dati ufficiali dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (1967), furono mobilitati 97.923 sardi durante la Prima guerra mondiale. Di questi, 13.602 risultano caduti e oltre 3.000 dispersi — una mortalità del 13,8%, contro la media italiana del 10,4%.
Nessuna altra regione dello stato pagò un tributo di sangue così alto.

Eppure, quello che per molti fu un lutto collettivo, lo Stato lo trasformò in mito e questo mito viene oggi veicolato anche de molti sardi. Nacque la leggenda della Brigata Sassari, i “diavoli rossi” che incarnavano la “virtù guerriera dei sardi”. Una mitologia utile a costruire consenso e a trasformare i sardi – come scriveva Gramsci – nei «cosacchi di un qualunque Kornilov».

La retorica patriottarda trasformò la sofferenza in orgoglio, la subordinazione in valore nazionale. Il sardo diventava utile solo quando combatteva. Quando moriva. Così, la Sardegna venne raccontata come la regione leale, obbediente, sempre pronta a sacrificarsi per una “Patria” che le aveva dato in cambio miseria, emigrazione e servitù militare.

Come ricorda Andria Pili in Ribaltiamo la Brigata Sassari, la Brigata Sassari non è soltanto un’unità militare valorosa della Prima guerra mondiale, ma un dispositivo simbolico e storico attraverso il quale lo Stato italiano ha incarnato, nella Sardegna, una forma di colonialismo interno: costruendo l’identità italiana dell’isola attraverso il sacrificio militare dei sardi, naturalizzando stereotipi etnici (i “selvaggi in divisa”, i “valorosi sardi”) e legittimando la subordinazione dell’isola alla nazione-metropoli. In questo modo – sempre secondo Pili – il “tributo di sangue” dei sardi svolge la funzione di assicurare che la Sardegna si riconosca come parte della nazione italiana anche tramite la morte dei suoi figli.

Il 4 novembre non è quindi solo una data. È dunque un dispositivo politico e simbolico — la messa laica dello Stato-nazione che celebra la subalternità coloniale della Sardegna. Ogni anno, la liturgia patriottica prova a ripetere lo stesso messaggio: “Siete italiani perché avete combattuto per l’Italia”. Ma i nostri nonni, contadini e pastori, spesso analfabeti, non sapevano nemmeno perché morivano.

Ricordare, oggi, non significa celebrare. Significa restituire loro voce. Non come “eroi d’Italia”, ma come vittime di una guerra coloniale travestita da guerra patriottica.

La Sardegna non può più definirsi per il sangue versato nelle guerre degli altri. Il nostro futuro non è nell’obbedienza, ma nella consapevolezza che è giunta l’ora di recidere questo morboso legame e di urlare a gran voce che non esiste alcuna “vocazione militare” dei sardi e della Sardegna e che noi non abbiamo scelto alcun “legame profondo” con alcun esercito. Forse solo allora potremo guardare al 4 novembre come al giorno in cui abbiamo smesso di essere “i bravi soldati della Patria” e abbiamo iniziato a diventare un popolo libero.


Immagine: conlabrigatasassari.sardinia.it

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Un commento

  1. A cussos pitzinneddos irmalitziaos chi ant ficchiu a costau de cussos mamutones, e a s’iscola totu, di tepent faere ligere su libru de Giuseppina Fois chi chistionat de sa Brigada Tattaresa.

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