
Quando Bezos sceglierà la Sardegna
Il matrimonio di Jeff Bezos a Venezia ha riacceso il dibattito su turismo, diritti dei residenti e sfruttamento dei territori. Ma cosa accadrebbe se eventi simili si spostassero altrove, in luoghi come la Sardegna? Questa è una riflessione su identità, sostenibilità e su come evitare che la nostra terra diventi solo una cartolina.
Quando Bezos sceglierà la Sardegna
Bezos e Sánchez si sono sposati a Venezia tra la felicità di alcuni esercenti e le rimostranze di una parte dei cittadini. Un signore veneziano è stato bloccato dalle forze dell’ordine mentre tentava di rientrare a casa dopo una giornata di lavoro, perché la sua abitazione si trovava in un’area interdetta al passaggio per la celebrazione di quello che alcune testate giornalistiche hanno definito il “matrimonio del secolo”.
In Piazza San Marco gli attivisti di Greenpeace hanno srotolato uno striscione di 400 metri quadrati recante la scritta “Se puoi affittare Venezia per il tuo matrimonio, puoi pagare più tasse”. Invece, il gruppo No Space for Bezos ha proiettato sul Campanile di San Marco delle scritte con il laser e durante la terza giornata di festeggiamenti centinaia di manifestanti hanno protestato contro la presenza del fondatore di Amazon, accusato di essersi arricchito sfruttando i lavoratori.
Il dibattito sui social si è acceso tra chi pensa che il denaro e la visibilità portati alla città di Venezia da parte del miliardario valgano la pena di tre giorni di stravolgimento del quotidiano dei cittadini e chi pensa che non tutto si possa comprare e che sia immorale affittare un’intera isola (San Giorgio) a un singolo, a ciò si aggiungono le criticità rispetto alla sostenibilità dei mezzi di trasporto usati dagli invitati della coppia: jet privati – pare quasi un centinaio – e mega yacht ormeggiati nella laguna.
Ma la questione del sentirsi ospiti in casa propria è per i cittadini di Venezia un cruccio che va avanti già dal secondo dopoguerra, quando il turismo di massa iniziò a essere la modalità preferita di visita della città lagunare. I veneziani da allora hanno dovuto scegliere se restare e vivere in un parco divertimenti perenne, fatto di un andirivieni quotidiano o se andare a vivere sulla Terraferma, cioè il territorio non insulare del Comune di Venezia, e molti hanno scelto questa seconda opzione. Il centro storico, già fragile per la sua conformazione, si trova ad affrontare un flusso turistico elevato a fronte di una permanenza molto breve dei visitatori. Infatti secondo l’annuario del turismo del Comune di Venezia nel 2024 sono state registrate 9.432.844 presenze in quella porzione di città, con una permanenza media di 2,4 giorni. Per fare un confronto, nello stesso anno, nell’intera Sardegna si sono registrate 18.860.000 presenze con una permanenza media di 4,25 giorni.
Negli ultimi anni, chi si occupa di turismo sostenibile ha sottolineato la dannosità delle visite mordi e fuggi che privilegiano l’esperienza da cartolina, più che la comprensione del luogo rispetto al suo contesto storico e sociale, e sottopongono i luoghi e le persone a una pressione eccessiva. Le Guide di Venezia per un Turismo Sostenibile, sul loro sito scrivono: “Nonostante Venezia sia una delle più importanti città d’arte del mondo, i dati relativi alle presenze nei musei evidenziano come molti visitatori giungano in città inconsapevoli della sua offerta artistico-culturale e siano attratti prevalentemente dalla peculiarità del luogo.”
Mentre Lauren Sánchez, la sposa, ha dichiarato di star vivendo una favola, ignorando le proteste che si susseguono nella città, alcuni albergatori esultano augurandosi un “effetto Bezos” che porti altri personaggi importanti nella città, con tutto il contorno di amici e soldi del caso. Nel loro invito nuziale, gli sposi hanno specificato che, in occasione della loro permanenza a Venezia, avrebbero donato tre milioni di euro per la salvaguardia della laguna a Corila, Viu e Unesco. Basta questo per pulire la coscienza dei miliardari e per garantire l’accettazione della loro impegnativa presenza almeno da una parte della cittadinanza? C’è un limite a quello che i soldi possono comprare? Ma chi ci guadagna da questi eventi? Parliamo di un arricchimento della città o di pochi? Diceva qualcuno che i soldi non fanno la felicità, ma certamente fanno la differenza.
Però, i territori che investono nel turismo e che di questo vogliono vivere dovrebbero guardare con molta attenzione all’evoluzione del tessuto urbano veneziano. In particolar modo bisogna stare attenti a quali precedenti si creano, a come si narra il proprio territorio, a quale visibilità gli si dà, a quale posto si desidera occupare nell’immaginario del turista. Chi poi sceglierà di visitare quei luoghi si aspetterà di vedere soddisfatte le proprie aspettative, perché ha pagato.
Tra questi territori, ovviamente, la nostra isola. I meccanismi dietro al caso Bezos, infatti, si verificano anche in realtà più modeste. Al di là dei consueti matrimoni dei vip in Costa Smeralda, mi è capitato di sentire più di una volta di persone “comuni” che hanno scelto di celebrare il proprio matrimonio in Sardegna, pur non avendo nessun legame col territorio. Posto che una pratica del genere non si può vietare e che sicuramente avrà fatto la felicità di qualche albergatore e ristoratore, vale almeno la pena di chiedersi il perché di queste scelte. Io l’ho chiesto ai diretti interessati e la risposta è stata “perché ci piace la Sardegna”, dove sono stati in vacanza qualche volta. Quindi gli piace la “location” e non certo il luogo, di cui hanno avuto un’esperienza superficiale. Attenzione a sentirsi lusingati: il bel mare non è un’esclusiva sarda, per quanto amiamo raccontarci che lo sia.
Queste persone, aderendo perfettamente alle aspettative “aesthetic” dei social e della società contemporanea, hanno scelto la cartolina che preferivano. Potendoselo permettere perché no? Ma cosa accadrebbe se questa diventasse una nuova moda del turismo di massa? Cosa accadrà se il prossimo Bezos vorrà affittare una zona della Sardegna per le proprie nozze? E se i turisti prenderanno il posto dei residenti – come già accade – grazie alla continua emorragia di giovani sardi e sarde, allo spopolamento dell’isola e alla trasformazione dei centri storici in B&B a cielo aperto?
Qualcuno potrebbe pensare che siano scenari catastrofici, lontani dalla realtà. Ma anche l’abitudine di raccogliere conchiglie e sabbia sulle coste sarde sembrava inoffensiva, finché non ci siamo accorti che stava danneggiando gravemente il territorio, al punto da richiedere una legge per fermarla. Forse vale la pena di imparare da questi precedenti e giocare d’anticipo. Puntare solo sul turismo è una scelta che segna profondamente la vita di un luogo: chi abita la meta delle vacanze altrui rischia di diventare un orpello folkloristico, parte di un’immagine fissa, in una perenne estate di divertimento. È necessario riappropriarci della narrazione della nostra terra, anche dal basso, non cadendo nella tentazione di vendere la nostra identità, ritagliandola solo sull’aspettativa turistica e sulle esigenze di mercato e questa consapevolezza deve essere accompagnata da una regolamentazione lungimirante che protegga il nostro patrimonio, permettendoci di condividerlo in serenità.
Canta il portoricano Benito Antonio Martínez Ocasio ai suoi conterranei: “Vogliono togliermi il fiume e anche la spiaggia, vogliono il mio quartiere e che nonnina se ne vada. No, non mollare la bandiera e non ti scordare il lelolai, che non voglio che facciano con te quello che è successo alle Hawaii. Qui nessuno voleva andar via e chi se n’è andato sogna di tornare. Se un giorno mi toccherà, quanto male mi farà”. E cosa sono le Hawaii nel nostro immaginario se non esclusivamente una meta di vacanza? Gli hawaiani che fine hanno fatto? I sardi che fine faranno?
Immagine: repubblica.it