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nuova questione sarda

Gli sbocchi politici della Nuova Questione Sarda – S’Imprenta, rassegna stampa dalla colonia

de Ivan Monni

Le hanno chiamate “aree idonee”, perché chiamarle “aree da sacrificare per produrre più energia possibile da qualsiasi fonte per favorire guadagni da parte del grosso capitale esterno” era brutto.

È necessario chiarire un equivoco: data la situazione, il NO al “compromesso con l’idea di aree idonee” non significa essere contrari alla transizione.
A prova di ciò, il post di Maurizio Onnis pubblicato su S’Indipendente esplicita chiaramente il rifiuto di compromessi al ribasso. Il sindaco di Villanovaforru ha dimostrato con i fatti di essere favorevole alla transizione dato che ha creato una delle prime comunità energetiche sarde ed italiane.

Il governo italiano dichiara guerra alla Sardegna e impugna la “moratoria” (fatto ampiamente previsto), perché talune disposizioni eccedono dalle “competenze statutarie”.
In attesa che la Corte Costituzionale si esprima, Todde dichiara che “il lavoro della giunta non si ferma. La mappa delle aree idonee dovrà essere consegnata entro 180 giorni”.

Dimenticate la frase ripetuta tante volte “prima impariamo a usare l’autonomia.
Il governo italiano pone una pietra tombale su qualsiasi afflato autonomistico che, difendendo lo status quo istituzionale, comprime il nostro percorso di autodeterminazione.

Impugneranno qualsiasi legge antispeculazione che provenga dalla Sardegna, in base ad un “interesse statale” superiore?

Non solo. Il governo italico aggiunge delle semplificazioni all’iter procedurale per le rinnovabili: tre binari per accelerare gli iter, ma le imprese delle rinnovabili lamentano ancora troppi paletti: parafrasando Altan, si sa che fine fanno i paletti.

Infine, lo stato italiano procede spedito riguardo alle Terre Rare, nonostante il parere negativo della regione Sardegna.
Il 2 agosto la regione Sardegna aveva espresso parere negativo in sede di conferenza stato-regioni, per il “mancato accoglimento di una serie di emendamenti proposti dalla Regione, volti a rendere vincolante il parere delle Regioni nel procedimento autorizzativo e a rendere obbligatoria l’intesa delle stesse per l’approvazione del Piano Nazionale delle Materie prime critiche”.
Lo stato italiano tira dritto: Terre rare e miniere: il decreto diventa legge.

La Sardegna insorge e lo impugna davanti alla Consulta. Todde: “Violate le nostre prerogative”. Martedì Todde ha incontrato il ministro Urso.
Nei secoli per accapparrarsi le risorse erano necessarie delle guerre. Allo stato italiano basta un decreto legge per appropriarsi delle risorse sarde. Questa battaglia contro la prepotenze del governo italiano va sostenuta.

Un triplice attacco, che ignora la resistenza popolare e che cala come un rapace con intento predatorio, con chiaro obiettivo di umiliare tutti i sardi proprio mentre si stanno ribellando: è una prova muscolare tra sardi e stato italiano.

La raccolta firme della legge Pratobello procede spedita, ma è necessario spingere al massimo la proposta con più firme possibili, per evitare che l’aula regionale la riponga nel cassetto del dimenticatoio.

È possibile che, ancora una volta, venga impugnata e cassata dagli organi statali, ma a quel punto, i sardi qualche domanda dovranno porsela sui rapporti con lo stato italico. Anche per questo motivo è necessario che la proposta raggiunga un buon numero di firme.

La transizione non può essere ridotta solo ad una questione tecnica tra ingegneri e climatologi. Esiste prima di tutto una questione politica, che va governata con strumenti politici. Ammettere l’esistenza di una questione coloniale e redistributiva, in questa transizione, è necessario per poterla riscrivere.

Dietro l’obiettivo transizione ce ne sono altri, politici ed economici, più o meno visibili, che celano qualcosa di ancora più importante. 

La resistenza sarda è finita nei giornali di mezzo mondo, ci sono studi in corso all’Università di Cambridge che la accomunano a quella degli Zapotechi in Messico e dei Sami nel Nord Europa. 

Perché in Sardegna divampa la resistenza di queste dimensioni, che non ha analogie nel Sud Italia (ugualmente sotto attacco)?

Perché rispetto al sud Italia, il terreno sardo era pronto dalle cento battaglie storiche del mondo indipendentista, ma non solo, che ha posto per decenni la questione anticoloniale.

Da Antonio Simon Mossa, padre fondatore dell’indipendentismo moderno, alla rivolta dell’oggetto di Michelangelo Pira, alle poetiche denunce sulla petrolchimica e delle basi (si che la depet ponnere in piatza del Duomo a Milano) di Cicitu Masala, ai romanzi sulla svendita della Costa Smeralda di Bachisio Bandinu, e ancora Placido Cherchi sulla lingua, Eliseo Spiga sulle comunità e sull’emigrazione.

L’humus fertile della denuncia delle servitù e della questione dell’autodeterminazione ha preparato il terreno. Avevamo a disposizione già un bagaglio culturale cui attingere, da oltre cinque / sei decadi, esempio di Pratobello incluso. 
Camminiamo sulle spalle delle loro elaborazioni e a questo appuntamento siamo arrivati pronti.

Incanalata in questo filone, la Nuova Questione Sarda si ripropone tra alcune problematiche principali che sono emerse:

  • la questione del paesaggio identitario, segnalata anche dalla soprintendenza per il PNRR;
  • quella sui beneficiari dei vantaggi (al capitale predatore o alla popolazione?);
  • quella dei poteri stato-regione ( chi decide sul territorio sardo?). 
    Lo statuto speciale, garantisce ai sardi la sovranità (che “appartiene al popolo”) del proprio territorio?

Sono tutte battaglie storiche del mondo indipendentista (che nella fase attuale ha smesso di elaborare ed è totalmente marginale) che ci forniscono buone lenti con cui guardare la realtà dei fatti.

Ripeto, il problema non è solo sardo, in Italia riguarda anche il sud e la Sicilia, ma è la resistenza sarda di queste dimensioni a fare la differenza.

La dimensione della questione in sé, rispecchiandosi nella dimensione della resistenza sarda, ne esce amplificata e con delle caratteristiche proprie, per le motivazioni scritte sopra.

Qual è lo sbocco politico di questo movimento?

Questa non è una battaglia come tante altre.
Ci sono tentativi fuorvianti di ricondurre la narrazione dentro ad uno scontro tra destra e sinistra italiana. È uno schema che non regge dal punto di vista storico. 

Le servitù in Sardegna si accumulano nonostante l’alternarsi al governo dei due blocchi coloniali.
Esiste continuità logica tra il Decreto Draghi (governo sostenuto dai Cinque Stelle, PD, Forza Italia e Lega) e il decreto Pichetto Fratin del governo Meloni.
Solinas non si è opposto al decreto del governo Draghi, in cui Todde era viceministra.

Quella tra destra e sinistra italiana, pur essendo chiaramente una chiave di lettura che non spiega l’accumularsi delle servitù, è uno dei punti ricorrenti nella narrazione attuale: la sinistra italiana addossa le colpe alla destra italiana, e viceversa.

Chi propone questa vecchia visione, o ha capito poco di quello che sta succedendo, o l’ha capito troppo bene e cerca di riportare in modo gattopardesco le cose al vecchio ordine dialettico.

La realtà viene spiegata meglio se la narrazione viene inserita in un’ottica verticale, in cui esiste un rapporto tra colonizzato (la Sardegna) e un colonizzatore (l’Italia) con una classe politica locale (destra e sinistra a turno) a reggere il sacco a quest’ultimo.
Tutti i pezzi del puzzle combaciano, seguendo questa impostazione.

In questo contesto, dentro il gioco italo-centrico, lo sbocco politico di una “lista civica” (comunale o regionale), non solo è perdente, ma rischia di ridurre tutta la battaglia ad un fallimento annunciato, il topolino partorito dalla montagna.
Soprattutto se la lista civica non raggiunge il 15-20%, rendendo quantificabile al ribasso il movimento che, per ovvie ragioni, opera sotto condizioni distorte.

Nel migliore dei casi, anche arrivando a quelle cifre, avendo un collante monotematico incentrato sulla difesa del territorio, esploderebbe su altre mille questioni al primo starnuto.

Pur basandosi su idee che hanno un’onda lunga almeno 50 anni, questo movimento non ha raggiunto la maturità nella società sarda da farne un fenomeno partitico di massa. L’elaborazione ha radici forti, ma è ancora troppo poco diffusa.

È necessario un cambio di paradigma

Ha più senso invece lo sbocco che chiede una ridefinizione dei poteri dello statuto sardo, proprio in ottica anticoloniale, non solo a partire dalla necessità impellente di strappare competenze primarie su ambiente e energia, ma è necessario rilanciarle dentro ad una questione culturale, possibile solo se si assumono poteri primari dello statuto speciale nella pubblica istruzione: è necessario fare la scuola sarda, che insegni  almeno lingua, storia e letteratura sarda, obbligatoriamente, in tutti i livelli scolastici.

L’intellettuale africano Cheickh Amidou Kane sosteneva che il controllo dei cervelli è più importante della polvere da sparo, in un processo coloniale. 

La questione coloniale è principalmente culturale, frutto di decenni di dessardizzazione, in cui, non solo la storia sarda viene nascosta, ma anche la letteratura, la musica, la poesia, la pittura, la scultura, fino ad arrivare alla vergogna del parlare sardo. In poche parole, dobbiamo ridiventare “l’oggetto” dei nostri studi, in un contesto globale.

Prima esportano i modelli “culturali”, poi arrivano le merci da vendere e le estrazioni da compiere, normalmente dietro il ricatto occupazionale, basato, peraltro, su pochissimi posti di lavoro.
Se perdiamo la battaglia culturale, perdiamo anche quella politica ed economica.

La lotta contro la speculazione energetica si sposa benissimo con la ridefinizione, attualmente in corso, dei poteri tra stato e regioni. Invece Todde, anziché approfittare della finestra aperta dalla nuova ricontrattazione delle autonomie regionali, è impegnata esclusivamente in una battaglia di retroguardia.

Tutto dipenderà dal dibattito che i Comitati riusciranno a far innescare, dall’agenda imposta alla politica e dal coinvolgimento attivo dei cittadini, sia che si parli di resistenza fisica ai camion che trasportano pale, sia che si tratti di andare a firmare per la legge popolare.

Questo in atto è un percorso dall’esito ancora incerto, ma che può avere successo solo se riusciremo ad imporre una nuova interpretazione della fase politica sarda attuale, lontana dalle urla sovrapposte tra destra e sinistra italiana, parodia in piccolo di talk show televisivi statali.
È necessario un cambio di paradigma culturale per poter rovesciare il tavolo legislativo.

Succedeva 1 anno fa

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Evitate, però, Quirra, Teulada, Sarroch, Portovesme, Macchiareddu.


Immagine: fondazionesardinia.eu

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